La valle Sturla: sullo sfondo al centro l’abbazia
Il complesso abbaziale di Borzone sorge nella media Val Sturla, nell’entroterra chiavarese, in comune di Borzonasca ad un’altitudine di circa 350 mt.s.l.m. Immersa nel verde nell’immediata vicinanza del Parco dell’Aveto poggia su terreni terziari di età paleocenica, composti da scisti argillosi arenacei. Quest’ultimo materiale fu utilizzato per l’edificazione della torre e della chiesa.
Una cuoriosità interessante è che l’Abbazia è situata esattamente sulla cosiddetta “Linea Sacra di San Michele“; ovvero la direzione che collega a partire dall’Irlanda sino a giungere in Terrasanta diversi santuari e monasteri (i più famosi:Mont Saint Michel, la Sacra di san Michele e San Michele al Gargano) quasi tutti sorti nell’altomedioevo. Linea che, oltre ad indicare simbolicamente la rettitudine del credente in cammino verso Dio, coincide esattamente con l’allineamento del sole al tramonto nel sostizio d’estate.
Borzone fu certamente un significativo crocevia commerciale tra la costa e l’immediato entroterra. Per il suo ruolo strategico vi furono eretti roccaforti e castelli di difesa da parte dei conti di Lavagna, i Fieschi, che dominarono sul territorio fino all’epoca rinascimentale.Nel luogo in cui sorge l’abbazia di Borzone, in Val Sturla, i Bizantini eressero al tempo della “guerra gotica”, nella prima metà del VI sec., un baluardo difensivo sede di un distaccamento militare, a presidio di un itinerario transappenninico che dalla regione rivierasca conduceva in Val Padana.
I complesso abitativo denominato “Araxi”, in prossimità dell’Abbazia,
costituiva quasi sicuramente nell’VIII sec. il luogo doganale.
Purtroppo il sito sta andando incontro ad un notevole degrado
nonostante la sua importanza storica e architettonica.
Quando e da chi sulle rovine della fortezza bizantina fu edificata la chiesa con annesso monastero col titolo di Sant’Andrea continua ad essere motivo di incertezza e discussione storica.
Due documenti anche se controversi storicamente attesterebbero la presenza di un nucleo a Borzone di antica data: il primo è del 774 in cui Carlo Magno delimitando la giurisdizione del monastero di Bobbio cita Borzone, e il secondo è del 972 in cui Ottone I riconferma la giurisdizione di Bobbio citando espressamente “il monastero e la villa di Borzono“.
Un documento certo che menziona il monastero di Borzone è tuttavia una bolla dell’11 aprile 1120 di papa Callisto II (1119-1124) che ne conferma il possesso all’Abbazia di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia. In un altro documento notarile del 1128 il monastero di San Siro a Genova riceveva una pensione dal “monastero di Borzone“ di “denarios sex Bruniatenses”. Decima riconfermata dal papa Eugenio III.
Sembra dunque plausibile indicare come d’altrondee un’ininterrotta tradizione locale conferma che Borzone sia fondazione dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio, nell’Appennino piacentino, la quale nel VIII-IX secolo aveva esteso la sua influenza in tutta la Val Sturla sino al mare.
Ma le circostanze per cui il nome del monastero di Borzone non compaia negli antichi documenti bobbiesi insieme con l’altra che la bolla papale citi Borzone assieme ad altre dipendenze pervenute all’abbazia pavese, essa pure colombiniana per dotazione del re longobardo Liutprando (712-744), proporrebbero una retrodatazione della sua erezione di alcuni secoli.
Se tali ipotesi corrispondono a verità, anche il suo assoggettamento alla ricca e potente abbazia di Pavia potrebbe risalire alle origini, nella prima metà dell’VIII sec., ad opera dello stesso re Liutprando. D’altra parte abbiamo due altri insediamenti monastici nell’alta Val d’Aveto e la Val Trebbia che testimoniano dipendenze dall’abbazia pavese: si tratta di Alpepiana (a 4 km. da Rezzoaglio) dove in epoca romana era presente un “vicus”: qui trovò sede un monastero dipendente da san Pietro in Ciel d’Oro, e di Villa Cella situata sull’antico itineraraio che dalla Val Sturla immetteva in quella dell’Aveto: qui ancora rimangono resti di un monastero del XII sec. che fu anch’esso alla dipendenze di Pavia. Quindi non torna strano riconoscere anche in Borzone una delle antiche dipendenze dell’antico monastero pavese.
Riguardo al monastero di Villa Cella occorre ricordare che fu un importante nodo viario per tutto il medio evo, da essa passavano le antiche strade che dalla Val di Sturla immettevano in Val d’Aveto. Essa rappresenta uno dei primi insediamenti monastici della zona. Se si riuscirà ad analizzare nuove carte che attualmente sono disperse nei vari archivi, ed in particolare quelle dell’Archivio di Stato di Genova che giacciono sotto la denominazione generica di “Notai Antichi” si avrà probabilmente un quadro abbastanza completo della presenza monastica a Villa Cella (com. Rezzoaglio). Il cenobio di Villa Cella, già denominato “S. Michaelis de Petra Martina” nell’atto di fondazione risalente al 1103, forse per far riferimento ad un primo rudimentale insediamento situato nei pressi della omonima Rocca di Pietramartina, fu certamente un centro di notevole interesse sia civile che culturale, oltre che religioso. Legato già dalla metà del XII secolo all’influente “Comitato Fiescano” – occorre ricordare che il primo abate dell’Abbazia di Borzone fu appunto un certo Bernardo della Cella nel 1184, e che probabilmente Manfredo abate di S. Michele di Pietramartina nel 1162, altri non era, secondo Alfredo G. Remedi, colui che diventerà più tardi il Cardinale Manfredo da Lavagna-. Intorno al 1250 il monastero entra in crisi per le lotte di potere fra i monaci di Alpepiana fedeli a S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia e il “Clericus Magistro Armano de Sanguineto“, altre volte detto “Armano clerico de Melleto Januensis diocesis”, il quale aveva intentato una causa per il possesso della plebe di Alpepiana. I monaci di Villa Cella secondo Guglielmo abate di Alpepiana avevano nel frangente eletto il loro abate senza chiederne conferma ad Alpepiana, dalla quale formalmente la Cella di Pietramartina dipendeva (così M. Tosi). Condannato Armano de Melleto si indebolisce il prestigio di Pietramartina in campo religioso. Di quel periodo rimangono sul territorio di Villa Cella solo alcune tracce: il vecchio e abbandonato Mulino, che si dice sorto sulle fondamenta della Cella monastica, alcune vestigia di case che un dì forse appartennero alla “corte monastica” e il pozzo di raccolta a forma triangolare per l’acqua del mulino che si immette in un sottostante pozzetto di forma circolare con la relativa canalizzazione scavata sui fianchi del monte. Prima del prosciugamento del Lago della piana di Cabanne, nei pressi della località “La Scaletta”, vi era uno “Hospitale” benedettino che assisteva chi giungeva da Val di Taro.
Riguardo invece al monastero di Alpepiana (com. Rezzoaglio) che ha origini antichissime, essa compare citato per la prima volta nel: “Praeceptum Liutprandi regis Basilicae S. Petri Ticinensis” emanato in Pavia nel 714, più tardi nel: “Praeceptum Hugonis regis monasterio B. Petri in Celo Aureo” Pavia -( “…, id est inter caeteras res cortem illam quae dicitur Alpeplana,”). Da tali documenti risulta dunque che nel 718 Liutprando, re dei Longobardi, abbia donato al Monastero di S.Pietro in Ciel d’ Oro di Pavia molte terre in Val d’ Aveto fra le quali la zona di Alpepiana. Nel 962 l’ Imperatore di Germania Ottone I riconfermava all’ abate Norberto, tutte le donazioni avute dal re Liutprando comprese le terre Avetane. Nel 1120, Papa Callisto II decretava che la corte di Alpepiana, dalla quale dipendevano ben dieci chiese dell’ Appennino, pagasse ai monasteri di Villa Cella e Borzone le decime che per il passato erano state pagate a Pavia. Una tale importanza riconosciuta al monastero di Borzone
ne testimonierebbe primo la sua presenza già in quell’epoca e secondo la sua rilevanza.
Del 1145 è una convenzione stipulata tra i Fieschi e i Consoli di Genova nella quale si fa esplicito riferimento alla “Curia Borzoni”, ove il termine “curia” starebbe ad indicare un monastero parrocchiale con vasti possedimenti. Tale “curia Borzoni” appare a quell’epoca posta sotto la giurisdizione episcopale genovese. Venendo meno a Borzone la presenza monastica dipendente da san Pietro in Ciel d’Oro l’arcivescovo di Genova, divenuta nel frattempo diocesi metropolitana nel 1133, Ugo della Volta (1163-1188) accolse la richiesta di Lantelmo undicesimo abate de “La Chaise Dieu” (dal nome dell’Abbazia madre situata nell’Alvernia e allora già largamente rappresentata in Italia con diverse fondazioni) di poter essere presente in diocesi con una comunità monastica benedettina. Sarebbe interessante risalire alle motivazioni che spinsero sia i monaci francesi sia la curia genovese che la presenza della famiglia Fieschi-Ravaschieri a dare incremento nuovo al monastero di Borzone. Sicuramente vi era un interesse da tutte le parti.
L’ingresso dell’Abbazia de La Chaise Dieu
Il coro monastico dell’Abbazia della Chaise Dieu
al centro il sarcofago contenente le spoglie di papa Clemente VI
già monaco casaediano
Il 17 giugno 1184 con i monaci benedettini veniva dunque stipulato l’atto di donazione del monastero di Borzone. Erano presenti nel vescovado di Genova per la sottoscrizione 25 monaci tra cui solo due italiani. Nell’atto di fondazione si nomina esplicitamente il “Monasterium de Brossono cum omnibus…pertinentibus”: il che non può significare altro che in quell’anno il monastero con tutti i suoi vasti possedimenti esisteva già. Contestualmente all’insediamento dei monaci francesi il monastero fu elevato immediatamente dal vescovo Ugo nello stesso anno al rango di Abbazia il che comporta ovviamente la presenza già abitale di una struttura monastica atta allo scopo.
L’Atto recita: “Noi Ugone per grazia di Dio Aricivescovo di Genova, con i nostri fratelli, di cui sotto sono apposte le firme, accogliendo le pie richieste del Signor Abate di Case Dei Lantelmo, e dei suoi fratelli, che ci supplicavano di concedere loro una Chiesa nella nostra Diocesi per servire a Dio e offrirgli il sacificio di lode per noi, per gli altri benefattori e per tutti i cristiani, concediamo il Monastero di Borzone con tutto ciò che gli appartiene ora e nell’avvenire, salvo ogni diritto nostro e della Chiesa matrice nella forma da stabilire in appresso, affinché da essi e dai loro successori sia ordinato, retto e fatto prosperare spiritualmente e temporalmente”.
L’atto comporta di fatto che da tempo, in data imprecisata, la dipendenza dall’abbazia di san PIetro in Ciel d’Oro di Pavia fosse cessata e la proprietà fosse passata al patrimonio della chiesa metropolitana di Genova e non di Bobbio come invece era la situazione giuridica delle parrocchie limitrofe (vedi es. Caregli).
Gli abati benedettini si successero nel governo dell’abbazia dal 1184 al 1536. La maggior parte di essi appartennero a famiglie legate ai conti di Lavagna (soprattutto i Ravaschieri), i quali in tal modo si assicuravano un loro avamposto oltre che politico anche economico nell’entroterra.
Con l’erezione del monastero di Borzone ad Abbazia (1184), i monasteri italiani direttamente sottoposti alla casa madre della ChaseDieu salirono così ad otto:
– l’Abbazia di Santa Maria e San Claudio di Frassinoro sull’appennino modenese (1071),
– il Priorato di Monte San Quirico nei pressi di Lucca (1080),
– l’Abbazia di San Marino in Pavia (1107),
– l’Abbazia di San Sisto in Piacenza (1112),
– il Priorato di Santa Maria di Juso di Montepeloso in provincia di Matera (1133),
– il Priorato di S.Maria della Rocchetta nei pressi di Fornovo Taro in provincia di Parma (1139),
– il Priorato femminile di Santa Maria di Rocca a Rocca delle Donne in provincia di Alessandria (1167).
le fondazioni casaediane in Italia
Di questi furono sottomessi alla giusridizione diretta della ChaiseDieu per volere del papa ben tre monasteri: Frassinoro, S.Marino di Pavia e San Sisto di Piacenza (il primo e il terzo dietro suggerimento di Matilde di Canossa). altri due monasteri furono sottomessi all’abbazia francese da monasteri preesistenti, ovvero Montepeloso (ad opera di re Ruggero re di Sicilia) e appunto Borzone (ad opera del vescovo di Genova Ugo della Volta). teniamo presente che la rappresentanza ufficiale presso l’abbazia madre francese fu in un primo tempo affidata all’abbazia di Frassinoro successivamente fu ricoperta dal priore della Rocchetta in Val di Taro. infine si tenga presente che la dipendenza dall’abbazzia francese dei monasteri e priorati italiani (ad eccezione di Montepeloso) ebbe fine all’inizio dello scisma d’Occidente nel 1378. Nato come strascico della cosiddetta “cattività avignonese” del papato, lo scisma lacerò la cristianità sino al 1417 . In quegli anni ai pontefici romani furono opposti antipapi che stabilirono la loro sede ad Avignone. Ora mentre le abbazie e i priorati italiani dipendenti dalla ChaiseDieu si mantennero nell’obbedienza al papa di Roma, l’abbazia madre si schierò con il papa avignonese motivo per cui i legami con questa si allentarono fino a interrompersi definitivamente.
Stemma degli Abati Ravaschieri
Il primo abate fu Dom Bernardo della Cella, eletto il 20 maggio 1184, quindi prima ancora della firma ufficiale della convenzione con la diocesi genovese e l’abate della Chaise Dieu. Ricordiamo quest’abate come rivendicatore nei confronti del vescovo di Piacenza dei diritti già precedenti del monastero di Borzone sulla Chiesa di S. Maria del Taro. La causa giunta sino a papa Innocenzo III fu vinta dall’abate.
Altro abate che occorre ricordare fu Dom Gerardo “de Cogurno natus”. Sotto il suo governo si ebbero i più notevoli interventi di ritrutturazione e ampliamento dell’abbazia, della chiesa e della torre. Una lapide posta sul lato est della torre ricorda la sua opera. L’abate Gerardo era probabilmente parente di Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna, che fu papa col nome di Innocenzo IV (1243-1254) il quale contribuì generosamente al restauro del complesso di Borzone. Sulla base di varie osservazioni si può giungere all’ipotesi che l’anno riportata sulla lapide (1243) e l’espressione “fecit fieri” indicherebbe non un rifacimento della chiesa e della torre a partire dalle fondamenta ma soltanto una ripresa delle strutture edilizie che il tempo e gli avvenimenti avevano consunto. Sempre papa Innocenzo IV da un documento perduto nel 1245 devolse la cifra di Lire 200 “in utilitate dicti Monasterii et specialiter in fabrica ecllesiae praedictae“.
Nel 1460, quando abate era dom Cristoforo Ravaschieri, i monaci abbandonarono l’abbazia a causa delle turbolenze che travagliavano la Val Sturla. Il suo suiccessore, Alessandro Ravaschieri dei conti di Lavagna nel 1453 portò la residenza abbaziale nel monastero di Sant’Antonio di Pre’ a Genova, monastero dipendente da Borzone, ma prima della sua morte riuscì a riportare i monaci a Borzone e lui stesso vi trascorse gli ultimi anni di vita. Il suo titolo di merito, ricordato nella lapide funeraria posta sulla parete a sinistra del presbiterio, è d’esser stato “reparator monasterii“.
La serie degli abati regolari termina con la figura di un altro Alessandro Ravaschieri (1529-1535), il quale ricoprì anche l’incarico di rettore della chiesa di S. Giovanni Battista a Chiavari dove abitualmente ormai risiedeva. Fu anche parroco di Ri, di S. Martino di Maxena e di S. Antonio di Sanguineto.
il piazzale dell’abbazia negli anni ’20
Nell’epoca più florida, ovvero durante la serie degli abati regolari, l’Abbazia di Borzone dominava tutto il bacino dello Sturla e aveva sotto il suo patronato diverse chiese, priorati e ospizi.
Li elenchiamo:
In diocesi di Genova
– Acero
-Borgonovo
-Celesia
-Chiavari: priorato “La Casa di Dio” (o Cadé)
-Cichero
-Foce
-Genova: priorato ddi Sant’Antonio di Pré
(questo monastero fu distrutto nel 1881 per far posto all’attuale stazione ferroviaria di Porta Principe).
-Graveglia priorato dei ss. Eufemiano e Giustiniano:
con annesse chiese di Breccanecca, Sanguineto e Maxena.
-Levaggi
-Mezzanego
-Montemoggio
-Porcile (oggi Belpiano)
-Prati: con chiese annesse di Mezzanego
-Pratosopralacroce: chiesa di santa Maria e di san Martino di L.
-Temossi
-Vignolo
In diocesi di Piacenza:
– Priorato e ospizio di Santa Maria del Taro (ancor prima dell’arrivo dei benedettini de La Chaise Dieu, il monastero di Borzone aveva giurisdizione sulla chiesa di Santa Maria del Taro come attesta il processo intentato immediatamente tra il vescovo di Piacenza e il primo abate presso la Santa Sede che diede ragione a quest’ultimo )
Presso S.Maria del Taro, nel comune di Tornolo ai piedi del Passo dell’Incisa, sussistono ancora i ruderi dell’ospizio fondato dai monaci di Borzone. La località è tuttora chiamata “Ouspia” (Ospedale) (foto Paolo Boggiano)
In diocesi di Luni-Sarzana:
– Ospizio e Chiesa di s. Maria della Cervara (Pontremoli)
– Monastero di Santa Maria di Mulazzo
l’antico priorato di S.Maria del Monte Mulazzo, nei pressi di Pontremoli, dipendente dall’abbazia di Borzone
Tra le chiese dipendenti va annoverata anche l’antichissima chiesa romanica, eretta nell’XI Secolo dai Benedettini dell’Abbazia di Borzone, di San Martino di Liciorno che fu per lungo tempo la principale chiesa parrocchiale dell’intero comprensorio. Dal 1181 al 1536 fu amministrata dai monaci Benedettini di Borzone. Trattandosi di una fondazione di regola monastica, i sacerdoti che gestivano la pieve erano tenuti a offrire ospitalità a viandanti e pellegrini, e non è da escludere che il complesso fosse in origine dotato di strutture apposite, ora scomparse. Nei pressi della chiesa, comunque, era documentato anche un piccolo cimitero, del quale si sono perse le tracce. Nel XV secolo, San Martino venne sostituita come parrocchiale dalla chiesa di Nostra Signora Assunta di Prato-Sopralacroce, e utilizzata solo per particolari festività. Definitivamente abbandonata nel XIX Secolo, oggi è solo un suggestivo rudere perso nei fitti boschi della Val Penna.
i ruderi di san Martino di Liciorno (foto Renato Polo)
Nel 1535, con la morte dell’ultimo abate Alessandro Ravaschieri, cessò la presenza monastica a Borzone. Nel 1536 papa Paolo III eresse l’abbazia di Borzone in Commenda Parrocchiale. Questa realtà perdurò per ben 311 anni ovvero sino al 1847.
L’abbandono da parte della comunità monastica fu causato da diversi motivi: vi fu in quel periodo un succedersi di gravi pestilenze che devastò l’intera Liguria e anche il suo entroterra, a questo dramma si aggiunsero anche violenti faide tra potenti famiglie e fazioni che da Genova si ripercuotevano anche nell’entroterra dando luogo al triste fenomeno del brigantaggio (come quello famoso del Corvo che cominciò ad operare proprio nel 1535).
Il periodo della commenda del monastero di borzone si può grossomodo dividere in tre grandi fasi.
Dal 1536 al 1574 abbiamo una serie di cardinali Abati-Commendatari. Tra questi ricordiamo soprattutto il card. Michele Ghislieri (dal 1561 al 1566), il futuro papa – e poi santo – Pio V.
Dal 1574 al 1802 troviamo la presenza di sacerdoti secolari Abati-Commendatari. Tra questi ricordiamo don Benedetto Borzone (1583-1609) il quale ottenne dalla santa Sede il permesso di non dimorare a Borzone perché a causa della lotta tra i Fregoso e gli Adorno egli era stato più volte minacciato di morte. Egli scrive che “la parte contraria più volte è entrata nell’abbazia medesima per amazzarlo, e l’avrebbero fatto se l’avessero trovato”.
Infine una terza fase dal 1803 al 1847 anni in cui il titolo di abate commendatario viene affidato agli Arcivescovi di Genova che governavano la parrocchia attraverso la presenza di un “vicario”.
Dal 1847 al 1890 abbiamo un periodo anomalo nel quale , dopo la morte dell’ultimo abate commendatario nella figura di mons. Tadini arcivescovo di Genova l’abbazia rimane senza più titolo abbaziale.
Fu il sacerdote don Pietro Repetto che, con l’ausilio di don Giovanni Brizzolara autore della prima pregevole storia dell’abbazia, si ottenne da Roma che il titolo di abate fosse nuovamente riconosciuto ai rispettivi parroci di Borzone. Papa Leone XIII riconosceva valida la richiesta nominando don Repetto Abate-Parroco nel 1890. A don Pietro Repetto dobbiamo importanti lavori tra cui il coro collocato nella parete absidale nel 1894 e il rifacimento del pavimento della chiesa. Don Repetto fu parroco abate per ben oltre un cinquantennio ed è sepolto nel piccolo cimitero parrocchiale di Borzone.
RIguardo ad interventi strutturali dell’edificio della chiesa occorre ricordare quelli avvenuti in eposa barocca. Vi furono infatti erette sei arcate aderenti alle pareti laterali per crearvi altrettante cappelle. Sulla parete meridionale e sulla facciata furono aperte finestre quadrilobate poi richiuse. La sopraelevatura della navata con l’inserimento di 7 grandi finestroni semilunati e l’allargamento del presbiterio sono risalenti invece alla metà del XIX secolo. L’allargamento del presbiterio obbligò l’abbattimento del grande muro che proseguiva allineato la linea della torre (i resti delle fondamenti furono riportati in luce nei restauri del 1959-60). Nel 1843 fu rifatto completamente l’antico pavimento coprendo così gli antichi sepolcreti. Fu l’abate Repetto che arredò il presbiterio con il pregevole coro e la sede abaziale.
Un importante avvenimento fu il 10 marzo 1910 data in cui il complesso abbaziale veniva ufficialmente riconosciuto come Monumento Nazionale.
Dopo l’abate Pietro Repetto ricordiamo don Michele Bracco (1925-1947) che diede forte impulso alla vita spirituale non solo della parrocchia ma dell’intera zona con i suoi “Ritiri per sacerdoti” e i “Ritiri di perseveranza” per i laici. Per sua iniziativa iniziarono i lavori per la costruzione della strada che da Borzonasca conduce a Borzone. Anch’egli è sepolto a Borzone.
Seguirono don Giovanni Garbarino (1948-1959), don Mario Podestà (1960-1967). A questi il merito della collocazione sulla torre del concerto di campane in sol bemolle fuse dalla Ditta Picasso di Avegno. Ricordiamo ancora don Vittorio Gotelli (1967-1977), don Luigi Olivieri e don Angelo Adami. Dal 1977 al 2007 il parroco abate non ebbe più residenza a Borzone.
Ad iniziare dall’anno 2000 – su progetto dell’arch. B. Repetto e con il contributo di Cariplo, Carige e della Provincia di Genova e CEI – si è proceduto ad un restauro conservativo dell’intero complesso abbaziale. Gli importanti lavori di restauro conservativo della Chiesa Abbaziale sono terminati nel giugno 2008. Si è proceduto in questa occasione a provvedere anche all’installazione del nuovo impianto di illuminazione e di riscaldamento.
l’interno della chiesa prima dei restauri
Con il 18 febbraio 2007 l’Abbazia di Borzone acquistò la fisionomia di “Casa di Preghiera“. Nello stesso giorno iniziava il suo servizio di responsabile della casa e di abate-parroco padre Attilio Fabris cp.
Con questa iniziativa si è voluto che l’abbazia di Borzone, ricollegandosi idealmente al suo passato, ritornasse ad essere un luogo di preghiera e contemplazione e un punto di riferimento per la crescita cristiana e spirituale per tutti coloro che lo desiderano.
Il 26 luglio 2009 con in occasione della festa patronale di Sant’Anna presieduta da mons. Francesco Isetti e la presenza del sindaco Giuseppino Maschio e della popolazione viene inaugurata la chiesa abbaziale a lavori di restauro utimati. Sono durati più di un anno di lavoro. I risultati sono stati apprezzati da tutti coloro che on la loro competenza hanno potuto prendere atto del lavoro svolto.
In data 27 maggio 2010 l’intero complesso monastico è dichiarato con speciale decreto dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali di “interesse storico artistico particolarmente importante in quanto il complasso abbaziale di Sant’Andrea, le cui prime testimonianze risalgono al secolo XII costituisce uno straordinario esempio di architettura monastica, nonché uno dei più antichi insediamenti religiosi della Liguria“.
Un riconoscimento importante onde evitare un ulteriore degrado. Il complesso si trova, o meglio si trovava, in un contesto di un paesaggio verde incontaminato. Con l’attuale decreto si riconosce finalmente e fattivamente il valore del complesso monumentale e se ne tutela per noi e per i posteri la preziosità che se protetta ricadrà a beneficio di tutta la zona e non solo.
L’abbazia è visitata da circa cinquemila persone l’anno che salgono a Borzone appositamente per una visita. Per la maggior parte si tratta di un turismo intelligente da parte di turisti stranieri, ma non mancano fortunatamente anche scolaresche della zona e diversi gruppi culturali.
Una data che segna una nuova fase della storia dell’abbazia è il 14 settembre 2014. Nella domenica della festività della S. Croce, p. Attilio Franco della Santa Croce (Fabris), ha emesso nelle mani del vescovo Alberto Tanasini, durante la solenne celebrazione eucaristica, la sua professione monastica. E’ il primo monaco diocesano di Chiavari e il primo monaco che ritorna nel monastero di Borzone dopo ben 478 anni. Borzone ritorna così ad avere il suo piccolo monastero.
l’abbazia torna ad essere monastero sotto la protezione dell’apostolo Andrea
Approfondimenti vari
*. Atti notarili dell’Abbazia di Borzone negli anni 1445-1451
*. Il monastero di Borzone e la parrocchia di Sambuceto
*. Valore storico-ambientale della zona di Borzone-Borzonasca
*. Il santuario della Madonna di Mulazzo (Sp) antico priorato dell’Abbazia di Borzone
*. La via dei monaci (Pietro Martina)
*. L’ abbazia di Borzone e il suo priorato di sant’Eufemiano a Graveglia
*. VillaCella un monastero in Val d’Aveto dipendente dal monastero di s. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia
Vecchi scorci
vista sud della torre e del complesso monastico
Prospetto di una probabile evoluzione storica
del sito di Borzone
a cura dell’archit. prof. Osvaldo Garbarino
Il fortino militare di Borzone del sec. V-VI (dis. prof. Garbarino)
Il complesso abbaziale benedettino di Borzone nel XII sec. (dis. prof. Garbarino)
Il complesso abbaziale di Borzone nel XVIII sec. (dis. prof. Garbarino)
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Cristina Andenna, Roberto di Turlande tra nuove forme di vita religiosa e monachesimo tradizionale, in “Archivi e reti monastiche tra Alvernia e Basilicata”, Congedo editore, 2005
Cristina Andenna, Heiligenviten als stabilisierende Gedachtnisspeicher in Zeiten religiosen Wandels, in “Literarische und religiose Kommunikation in Mittelalter und Fruher Neuzeit, ed Walter de Gruyterm, 2006
Flavia Gattiglia, “Non è sacerdote scandaloso, né ch’io sappia solito commettere delitti” – Studio di un processo per omicidio nella Repubblica di Genova del XVII secolo, Tesi di Laurea – Università degli studi di Pisa – Facoltà Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Storia e civiltà, Anna accad. 2011-12 (la tesi tratta del processo Maschio-Botto in cui venne coinvolto purtroppo per omicidio l’abate di Borzone Giacomo Antonio Maschio n.d.c.)
Carlo Moggia, L’abbazia ligure di Sant’Andrea di Borzone tra il XII e il XIII sec., in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia” 2012 n. 1 pagg. 65-95. (studio importante soprattutto riguardo alla presenza monastica a Borzone anteriore al 1184).
Petruccelli Chiara, Sant’Andrea di Borzone: un’Abbazia “internazionale” nella Liguria dei secoli XII-XIII, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Firenze-Corzo di laurea Magistrale in Storia dell’arte, 2012-2013. (La tesi è alquanto interessante per il confronto alquanto innovativo che viene fatto con l’architettura medievale spagnola detta “mudejar“).
Emanuele Alessio, L’Abbazia di Sant’Andrea. Bilancio degli studi e prospettiva di ricerca archeologica, Tesi di Laurea. Università degli Studi di Genova – Facoltà di Lettere e filosofia, 2012-2013 (la tesi è importante sia per alcuni confronti architettonici nell’ambito ligure sia per gli spunti di possibili approfondimenti a livello archeologico)
Oriati Mirco e Rossana Rizzuto, Le pietre parlanti dell’Abbazia di Sant’Andrea di Borzone – Storia, arte e architettura del complesso abbaziale, Genova 2020, Eldon edizioni (un’ottima guida per una prima conoscenza).
Francesco Crisanti, Alla scoperta dell’Abbazia di Borzone, ed Melangolo, Genova 2021, (una agevole e piacevole guida per chi desidera conoscere la storia e l’architettura dell’abbazia)