• 02 Feb

    La Via dei monaci

    di Pietra Martina

    Un antico itinerario percorso dai pellegrini valorizzato dalla Provincia di Genova

    Francesco Gambino

    In occasione del Giubileo del 2000 e nel quadro di una serie di iniziative volte a valorizzare il patrimonio culturale e storico del proprio territorio, la Provincia di Genova ha promosso, con l’iniziativa Sentieri della Memoria, la conoscenza e la valorizzazione di due percorsi utilizzati nell’antichità da pellegrini e viandanti. Lo ha fatto realizzando e distribuendo, con la collaborazione della sezione genovese dell’Associazione Italiana Cultura e Sport, un’originale brochure contraddistinta da un logo raffigurante un pellegrino in marcia e contenente: un passaporto da convalidare in appositi punti-tappa, la mappa del percorso e diverse schede con immagini a colori e notizie storico-artistiche. I punti più importanti del percorso sono stati poi segnalati con appositi cartelli informativi. L’invito era chiaro: stimolare cittadini e turisti a ripercorrere lento pede quelle antiche tracce e conoscere così località, beni storici e artistici spesso poco conosciuti.
    L’itinerario proposto si sviluppa nel levante del territorio provinciale e può essere considerato come una delle numerose diramazioni di quell’importante rete di vie di comunicazione costituita dalla Via Francigena, percorsa a partire dall’XI secolo da migliaia di pellegrini diretti a Roma.
    Fu in questo periodo infatti che si diffuse il pellegrinaggio verso i più importanti luoghi di culto della cristianità, con la nascita di importanti vie di comunicazione che dal nord Europa portavano verso il sepolcro di Cristo in Terra Santa, le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e verso Santiago di Compostela in Galizia dove erano conservate le spoglie dell’apostolo Giacomo (Santiago in spagnolo). Su questi itinerari sorse una costellazione di chiese, monasteri, luoghi di sosta con hospitalis che costituiscono tuttora un immenso patrimonio di arte e cultura.
    Una delle direttrici più importanti era proprio la Via Francigena, così denominata perché attraversava la Francia nel suo lungo percorso da Canterbury verso Roma. In realtà, più che di una via, è forse più corretto parlare di un’area di transito, un insieme di itinerari che da nord convergevano a sud scavalcando le Alpi attraverso i valichi del Moncenisio e del Gran San Bernardo.
    La via dei monaci di Pietra Martina inizia nel territorio di Rezzoaglio, in Val d’Aveto, e giunge sulla costa a Chiavari, passando per i territori di Borzonasca, Mezzanego, San Colombano Certenoli, Carasco e Cogorno. Il suo itinerario originario saliva a Villa Cella da Rezzoaglio e proseguiva poi per il passo delle Rocche e, toccando le frazioni di Temossi e Caregli, scendeva direttamente a Borzonasca. Da qui giungeva poi a Chiavari passando per Carasco e la località di Ri.
    Il percorso prende il nome dalla località di Petramartina, dove nel 1103 frate Alberto e altri sette monaci benedettini del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia fondarono un piccolo cenobio dedicandolo a San Michele (sostituito nel 1655 con San Lorenzo). La piccola cella monastica fu collocata nella zona in cui oggi sorge il borgo di Villa Cella (da cui il toponimo), in prossimità del Passo delle Rocche, dove l’antica strada che da Rezzoaglio portava alla Valle Sturla e poi al litorale superava il crinale: ciò a dimostrazione dell’importanza di queste vie di transito appenniniche che da un lato portavano verso il pavese e dall’altro verso la Valle Sturla e la costa.
    L’insediamento monastico era compreso nel territorio della Corte di Alpepiana, anch’essa dipendente dal monastero pavese, verso il quale i monaci si erano impegnati a versare annualmente 20 soldi, 20 forme di formaggio e 20 libbre d’olio. Proprio la produzione dell’olio, ricavato da possedimenti terrieri sulle alture di Rapallo, dimostra i rapporti della cella con l’area costiera. Il fatto poi che Gerardo di Cogorno sia stato abate di Sancti Michaelis de Petramartina nel 1232 e successivamente del monastero di Sant’Andrea di Borzone nel 1244 conferma i collegamenti tra la Val d’Aveto e la Valle Sturla.
    L’insediamento religioso si caratterizzò non solo per l’attività di assistenza a pellegrini e viandanti, ma anche per quella relativa alla cura del territorio: agli stessi monaci benedettini sono attribuiti lo svuotamento e la bonifica del lago-palude che occupava la piana di Cabanne, un tempo feudo dei Della Cella, famiglia che si sostituì ai de Meleto ricoprendo un ruolo primario nel controllo dei traffici commerciali della zona.

    Punto di partenza dell’itinerario è Rezzoaglio, centro turistico dell’alta Val d’Aveto. Citato per la prima volta nel 1211 in un documento di permuta con la locale famiglia dei de Meleto, fu feudo dei Malaspina per investitura di Federico Barbarossa.

    Da qui l’itinerario originario saliva a Villa Cella, dove i resti dell’insediamento religioso fondato dai monaci pavesi sono ancora oggi riconoscibili anche se inglobati nella costruzione di un mulino ad acqua attivo fino al dopoguerra. Toccando poi le frazioni di Temossi e Caregli, scendeva direttamente a Borzonasca.
    Antico centro dell’alta Valle Sturla, Borzonasca conserva nel suo territorio uno dei più importanti complessi monastici medievali e una delle più antiche fondazioni benedettine della Liguria: l’abbazia di Sant’Andrea nella località di Borzone, lungo quell’importante via di comunicazione che collegava le antiche saline di Chiavari alla Val Padana. La sua fondazione trova origine nell’impulso del re longobardo Liutprando che, alla fine del VII secolo, affidò ai monaci di Bobbio la costruzione del monastero. L’abbazia fu eretta così nel 1184 dal benedettino Ugone della Volta ed è monumento nazionale dal 1910. La sua attuale struttura, con la caratteristica torre quadrata, risale alla ricostruzione avvenuta nel 1244 e che una lapide sulla parete est della torre attribuisce al già citato abate Gerardo di Cogorno.
    Nei pressi di Borzonasca, nella frazione di Levaggi, è possibile vedere l’Oratorio di N.S. del Perpetuo Soccorso che presenta tuttora le caratteristiche tipiche dell’hospitalis per pellegrini: portico ad ampie arcate e corpo centrale allungato per l’ospitalità e il riparo notturno, con il piano superiore probabilmente destinato al ristoro e alla degenza dei malati.
    La via dei pellegrini continua toccando le località di Borgonovo e Prati, entrambe frazioni di Mezzanego, centro abitato della valle Sturla che vanta nel suo territorio numerosi ponti medievali che, insieme agli ospedali, erano strutture fondamentali per il transito dei pellegrini. Spesso, nel Medioevo, lo stesso termine ponte aveva un significato più ampio di quello attuale, indicando un complesso di strutture ricettive situate accanto o nei pressi dello stesso ponte costruzione. Si ipotizza che una di queste strutture possa rinvenirsi proprio a Prati di Mezzanego dove un’antica costruzione in pietra fa corpo unico con il ponte costruito sul Rio Carnella.
    Proseguendo si entra nel territorio di San Colombano Certenoli, borgo cresciuto in epoca romana intorno al monastero benedettino intitolato proprio a San Colombano, il monaco irlandese fondatore nel 614 del monastero di Bobbio.
    Il tragitto tocca poi Carasco, centro di convergenza di diversi itinerari tra la riviera e la catena appenninica e importante nodo commerciale durante il Medioevo. Posseduto in parte dal monastero di San Giovanni di Pavia, Carasco conserva nelle sue frazioni numerose testimonianze di insediamenti religiosi. Poco prima del paese, situata sulla sponda sinistra del torrente Sturla, sorge la chiesa di Santa Maria di Sturla (detta di San Pellegrino) già citata in documenti risalenti al 1253. Nella località di Comorga sono rinvenibili invece i resti -di epoca anteriore al X secolo- di uno dei primi insediamenti bobbiesi della zona.
    Di rilievo è poi la Prioria di Graveglia, situata alla confluenza dell’omonimo torrente in una località che figurava già intorno al Mille su diplomi imperiali e bolle pontificie. Dal XIV al XVI secolo la giurisdizione su Graveglia fu affidata all’Abbazia di Borzone, retta dai monaci benedettini francesi di Clermont. Oltre Carasco, nella frazione di San Lazzaro, sorge l’omonima cappella con annesso hospitale fondata dalla famiglia dei Fieschi e ricordata nel testamento del cardinale Luca Fieschi del 1252.
    Una deviazione verso levante porta alla Basilica dei Fieschi nella località di San Salvatore di Cogorno, uno dei più importanti e meglio conservati monumenti romanico-gotici della Liguria fatto erigere nel 1245 da Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna (poi Papa Innocenzo IV) e ultimato dal nipote Cardinale Ottobono Fieschi, poi Papa Adriano V.
    Proseguendo in direzione del litorale e di Chiavari, l’itinerario tocca il luogo dove sorgeva l’antico borgo di Ri con la chiesa-ospedale di Maria Maddalena: i resti della pieve medievale sono ora incorporati in un abitazione privata. Nella zona, caratterizzata dalla presenza dell’Entella e ricordata anche da Dante nella Divina Commedia, erano presenti anche altre strutture religiose destinate all’assistenza dei viandanti come l’hospitale di San Cristoforo e, sulla collina che separa Chiavari da Zoagli, l’importante Santuario di Nostra Signora delle Grazie. Edificato alla fine del XIV secolo, l’edificio presenta in facciata il caratteristico porticato simbolo dell’antica funzione di ricovero e riparo.
    I numerosi edifici religiosi costituiscono un ricchissimo patrimonio architettonico e storico della stessa Chiavari, importante centro costiero del levante genovese di origini antichissime. Risale infatti al 1959 la scoperta di una necropoli protostorica, testimonianza della presenza di un insediamento organizzato sulle sponde del Rupinaro già 2700 anni fa. Nodo stradale in epoca romana, la cittadina è attraversata dai caratteristici porticati medievali.
    La sua chiesa più antica è quella di San Giacomo di Rupinaro, originaria del VII secolo, più volte distrutta e ricostruita. Il suo nome originario era San Giacomo dell’Arena, a conferma che prima del 1300 la località probabilmente si affacciava su una spiaggia e che il mare giungeva fin quasi ai piedi della collina. Poco distante sorgeva un altro edificio con funzioni di assistenza, l’hospitale di San Giacomo di Rupinaro: ulteriore testimonianza che queste località rappresentarono luoghi di transito su quei lunghi e faticosi itinerari percorsi dai pellegrini verso le loro mete devozionali.
    Queste vie divennero poi grandi arterie di comunicazione e favorirono la circolazione di uomini, conoscenze, idee e tradizioni, stimolando un fervido scambio culturale tra le genti d’Europa e lo sviluppo di traffici e relazioni commerciali.


    Posted by attilio @ 11:54

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