Il dono della fortezza infonde coraggio
Giosuè
1,6Sii coraggioso e forte,
poiché tu dovrai assegnare a questo popolo la terra che ho giurato ai loro
padri di dare loro. 7Tu dunque sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pratica tutta la
legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né
a sinistra, e così avrai successo in ogni tua impresa. 8Non
si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e
notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così
porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo. 9Non
ti ho forse comandato: "Sii forte e
coraggioso"? Non aver paura e non spaventarti, perché il Signore, tuo Dio,
è con te, dovunque tu vada".
L'invito di Mosè a Giosué
nel momento del mandato di condurre il popolo nella terra della promessa è di
essere "forte e molto coraggioso".
Il termine "forte"
etimologicamente in italiano fa riferimento al "portare".
Invece il termine "coraggio",
sul quale ci soffermeremo nella meditazione fa riferimento al "cuore".
Il
dono della fortezza è la capacità di "portare" unitamente "con
il cuore".
Coraggio richiama la nostra dimensione
passionale ed emotiva che concentra in sé la maggior parte delle nostre
energie: esso ci permette di compiere
scelte dove la razionalità pura metterebbe molteplici "ma" e
"se". Esso va oltre il calcolo razionale delle perdite che esso
può comportare: solo il coraggio spinge a buttarsi. Il coraggioso accetta il non calcolabile, il rischio,
l'incertezza. Conosce la paura, la
sente, ma la affronta. Un po' come nella scena biblica del giovane Davide
dinanzi a Golia.
Il coraggio è una forza che ci spinge a far passare
dall'intenzione all'atto concreto.
Vari tipi di coraggio
Esiste un cattivo coraggio: quello amorale e
violento che sfida la legalità o mette in atto azioni criminali.
Esiste un coraggio stupido: è quello delle prove
di coraggio tipiche di un certo mondo giovanile in cui non poche volte ci si
rimette la vita.
Esiste un coraggio sapiente che è definito tale dal suo fine: quello di chi uscendo dal proprio
mondo ristretto e sicuro compie scelte
in vista di un bene maggiore, di un ideale. E' la capacità di rischiare se
stesse per realtà grandi in cui si crede. Pensiamo al coraggio di Gandhi quando
senza alcuna violenza osò sfidare il governo inglese.
Questo
coraggio mostra che l'uomo è capace di trascendenza, di
andare oltre se stesso, di avere come
fine non solo il proprio tornaconto, la propria realizzazione e sicurezza. In
tal senso il coraggio ci fa uscire dal
nostro ego ristretto.
Dove attinge forza il coraggio?
Questo ci conduce ad allacciare il discorso sul coraggio al tema
del senso della vita. Per che cosa
sono disposto a dare la vita? Solo chi ha un motivo per cui morire ha anche un
motivo per vivere. Agostino dirà: "Il
coraggio è un amore che sopporta facilmente ogni cosa in vista di ciò che ama".
E allora il coraggio ci chiede che cosa amiamo a tal
punto da osare andare oltre noi stessi e anche contro il nostro tornaconto
nell'agire, nel parlare, nel vivere.
Fortezza-coraggio: la decisione
Il
coraggio è proprio della persona che sa decidere. 1Macc 2,41Presero in quel giorno
stesso questa decisione: "Combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in
giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei
nascondigli".
Dove la decisione (dal lat. de-cisus: tagliare via) è l'atto risoluto di chi tra diverse
possibilità ne sceglie solo una, vincendo le resistenze che indurrebbero
all'inazione o paralizzerebbero nell'inerzia.
Un
testo adatto alla riflessione potrebbe essere un brano tratto dall'Antologia di Spon River di E.L.
Master. Si tratta di un breve epitaffio dedicato ad un certo George Gray.
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito;
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione,
ma la mia vita.
Poiché l’amore mi si offrì
e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta,
e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò,
ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame
di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine
e del vano desiderio –
è una barca che anela al mare
eppure lo teme.
Nell'atto coraggioso emerge la forza di un "sì" che
viene pronunciato, anzi vissuto, come talmente luminoso da oscurare i tanti
"no" creati dalla decisione stessa.
In
tal senso il coraggio esige la virtù della fortezza.
Questa vince la codardia e la viltà che ci minacciano e ci consigliano di restare
nel chiuso delle nostre sicurezze fornendoci tanti alibi ragionevoli al non
agire.
Coraggio e libertà di essere se stessi
Necessaria
all'azione coraggiosa è la libertà: è coraggiosa solo un'azione
libera, se è costretta non lo è.
Nella
libertà l'uomo emerge nella sua unicità non condizionata dalla
paura di essere se stessi. Il coraggio ci fa uscire da questa paura per cui
impari ad esprimere la tua opinione anche se minoritaria e disprezzata da altri,
ci rende capaci di dire dei "no" fuggendo la facile tentazione di
compiacere l'altro o di adulare chi è più forte. Fa sì che osi te stesso.
Se
questo non avviene il prezzo è l'amarezza di aver compiuto un tradimento nei
confronti di se stessi.
Essere
se stessi significa assumere il coraggio della responsabilità personale. Il
coraggioso rifiuta il meccanismo
deresponsabilizzante della delega. Egli assume su di sé il peso e le
conseguenze dell'azione che compie, non la getta su altri. E poter dire:
"Questa cosa che bisogna fare io stesso devo farla, la voglio fare".
Percepiamo in ciò che siamo chiamare ad essere e a
fare un raggio di verità sulla vita e su noi stessi. In tal senso il
coraggio nasce nel buio dell'incertezza ma ha la forza di una illuminazione, di
una luce che ci indica la strada da percorrere per essere pienamente noi
stessi.
Coraggio e volontà
Ovvio allora che l'atto di
coraggio esige un pieno atto di volontà.
Ora l'atto di volontà è complesso
perché nel volere l'uomo è al tempo
stesso colui che comanda e colui che obbedisce: "volere" significa impegnarsi ad "obbedire" a ciò
che si vuole.
Questo esige sempre uno sforzo. Se ci lasciamo ammaliare da ciò che è
facile non costruiamo nulla di duraturo, saremmo
castelli fatti di sabbia. Tutte le costruzioni umane significative (una
relazione, una scelta di vita, un ideale...) richiedono tempo, fatica, sacrificio, pazienza. Ciò significa superare la logica infantile,
un po' di moda, del tutto e subito senza fatica.
Il coraggio è anche il
coraggio di darsi del tempo, di non vivere all'insegna della fretta che diviene
superficialità, della efficacia immediata: è osare l'alternativa contemplativa.
(papa Francesco ci offre il criterio del "Il tempo più grande dello spazio")
Il coraggio della normalità
Il
coraggio esige la fortezza che si manifesta nei confronti del tempo e della
realtà come capacità di dare inizio e di proseguire, di cominciare ma anche di
perseverare. il coraggio non si limita all'atto eroico
puntuale, ma si rinnova nel tempo divenendo pazienza , forza d'animo,
perseveranza. Diviene il coraggio della
quotidianità.
Coraggio
di affrontare le fatiche di ogni giorno, sopportando spesso il grigiore del momento in cui si spengono
i riflettori, e vengono tolti i festoni. E' sopportare la ripetitività del quotidiano mantenendo
viva l'illuminazione originaria quando all'orizzonte non appaia nulla di
straordinario.
La
fortezza diviene così resistenza ai rischi dell'intorpidimento del cuore e
dell'ottundimento della mente.
Il coraggio del nuovo
Aspetto importante del
coraggio del quotidiano è il coraggio
del nuovo. Quando nella Scrittura Dio affida un compito che apre uno
scenario totalmente nuovo nella vita del chiamato assicura anzitutto dicendo:
"Non temere!".
Spesso, troppo forse, ci adagiamo pigramente e percorriamo
sentieri già saputi, precludendoci paesaggi e scoperte nuove. Questo ci
priva del gusto del vivere e ci conduce senza che ce ne accorgiamo nella
situazione in cui non siamo più noi che
viviamo ma è l'abitudine che vive al nostro posto.
La fede come coraggio
Ebrei
11,32E
che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di
Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti; 33per fede, essi conquistarono regni, esercitarono
la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei
leoni, 34spensero la violenza del fuoco,
sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza,
divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. 35Alcune
donne riebbero, per risurrezione, i loro morti. Altri, poi, furono torturati,
non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore
risurrezione. 36Altri, infine, subirono insulti
e flagelli, catene e prigionia. 37Furono
lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro
coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - 38di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i
deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
Di tutti si dice che "per fede trassero forza dalla debolezza"
(ebr 11,34). Il coraggio della fede consiste non nel negare la debolezza, ma
nel riconoscerla e trasformandola assumendola. Esige coraggio accogliere anche ciò che realmente siamo,
rifiutando un perfezionismo che alla fin fine è fuga dalla realtà. E' accogliere la nostra debolezza come
luogo ove si manifesta la forza di Dio. Il coraggioso non è l'uomo tutto
d'un pezzo senza difetti, ma è colui che è in grado di conciliare in sé i
propri difetti e la propria imperfezione: "affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una
spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. 8A
causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. 9Ed
egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie
debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo". (2Cor 12). La
mia forza sta nel sentirmi voluto e amato da Dio. Si fonda sulla fiducia che
Dio ha in me prima che io in lui. Lui si rivolge a me continuamente dicendo:
"Non temere!".
Il coraggio di Gesù
Il nostro sguardo
contemplativo si volge a Gesù.
La
fede in Dio che abita in Gesù, la fiducia filiale nel Dio che egli chiama Abbà,
Padre, è la sorgente da cui scaturisce il suo coraggio e la sua forza.
Gesù si mostra sempre uomo totalmente libero interiormente,
capace di parresia e di gesti nuovi. Gesù è anticonformista perché non cerca l'applauso, non cerca il consenso,
il successo. Sua unica ansia è annunciare il Regno e la paternità di Dio.
Gesù
è capace di decisione piena e libera ("si consegnò volontariamente"): lui decide di dirigersi verso
Gerusalemme in piena consapevolezza: "ecco noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai
capi dei sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte e lo consegneranno
ai pagani" (Mc 10,33).
In Luca viene detto che
"Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme"
(Lc 9,51). Letteralmente: rese dura la
sua faccia. La sua è una decisione che impegna la totalità del suo essere.
Ma cosa significa "rendere dura la propria faccia"?
Nell'At troviamo almeno tre rimandi.
- un primo è quello del
"dirigersi verso", del
"prendere una direzione precisa"
cfr Gn 31,21; Gr 42,15.17: l'uomo forte
ha una direzione nella vita, una meta da raggiungere. Un fine da
perseguire.
- un secondo è il rinvio al servo di JHWH che "rese la sua faccia dura come pietra"
(Is 50,7) per resistere alle aggressioni e alle offese e custodire la fiducia
in Dio "sapendo di non restare
deluso"
- un terzo rinvio al profeta
Ezechiele: (6,2; 13,17; 15,7): qui la
risolutezza è necessaria per resistere in una situazione conflittuale, per
parlare con franchezza di fronte ai potenti.
Conclusione
Il coraggio-fortezza esige
la decisione. ma esistono le patologie
dell'indecisione che divengono un ostacolo grave all'accoglienza della parola
del Signore e al cammino di sequela.
- Si può manifestare nell'astensione della scelta (scelgo di non
scegliere)
- nell'attivismo (moltiplico gli impegni per non affrontare il senso della
perdita che mi viene dallo scegliere: è il caso di tanti giovani che si buttano
a capofitto in una marea di impegni di volontariato o altro)
- nel volontarismo (mi costringo nella logica della legge: ma questa
costrizione ha il respiro corto. Ben presto le mancano le energie e le
motivazioni del cuore)
Impareremo ad essere "determinati" nella
sequela di Cristo? Etimologicamente la parola rinvia a porre dei "termini", al separare mettendo confini,
assumendo il proprio limite (oggi significa andare contro il pensiero liquido e
unico dominante).
Questa
è fortezza cristiana: che non è ostentazione di forza, ma umile risolutezza mai
arrogante, ma convinta e tenace. E' un portare con il cuore
in noi il dolce giogo di Cristo. dobbiamo chiedere questo allo Spirito come
dono. Esso plasma il martire, il testimone, "colui che sta vincendo" (cfr Apocalisse).
O Spirito del Signore,
donaci il coraggio:
il coraggio per agire
e operare senza temerità.
Il coraggio dell’iniziativa
e il coraggio della disciplina,
il coraggio della continuità
e il coraggio del costante adattamento.
Il coraggio di saper star soli
E quello di ricominciare sempre,
con quelli che restano,
e con quelli che arrivano.
Il coraggio di non irritarci
anche in mezzo agli abbandoni.
Il coraggio di trovare sempre
il tempo per meditare e per pregare. (J. Lebret)