HESYCHIA, ESICASMO E PREGHIERA PURA
di B. De
Matteis
INDICE:
1. Hêsychia ed esicasmo
2. Il
termine hêsychia
3.
L’esicasmo
4. L’hêsychia esteriore
5. L’hêsychia interiore
1. Hêsychia ed esicasmo (1)
Il
significato primario del termine esicasmo rimanda ad un sistema particolare di
spiritualità, così antico da coincidere con l’origine del monachesimo orientale. Già questo dato fa emergere
come si tratti di una realtà complessa, non
riducibile alla “preghiera a Gesù” e che richiede un piccolo
approfondimento etimologico, storico e spirituale.
2. Il termine hêsychia
Nel greco “profano” la parola hêsychia indica uno stato di calma, riposo, tranquillità, quiete,
segno dell’avvenuta cessazione delle cause esterne che creavano agitazione e
disturbo.
Nel greco dei LXX il termine hêsychia conserva gli stessi
significati:
- la pace esteriore, l’assenza di guerra che
permette al popolo di vivere un periodo di pace e tranquillità (2);
- la calma interiore (3), il cui principio è
la fede in Dio, il timore del Signore e la sottomissione alla sua volontà (4);
- il silenzio (5) e
- l’assenza di inutili movimenti (6).
Nel N.T. lo si trova molto più raramente
rispetto all’A.T. e significa tacere (7),
osservare il riposo del sabato (8), smettere di importunare (9).
San Paolo
usa il termine hêsychia e i suoi
derivati per esortare a vivere in pace
(10), a trascorrere una vita tranquilla
(11), a lavorare in pace (12).
In
particolare, tre testi, due paolini e uno petrino, che contengono il termine hêsychia, sono indirizzati alle donne
(13):
- “La donna
impari in silenzio [...] se ne stia
in atteggiamento tranquillo”;
- “Il vostro
ornamento non sia quello esteriore [...]; cercate piuttosto di adornare
l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace”.
3. L’esicasmo
P. Adnès dà
dell’esicasmo questa definizione:
“Un sistema
spirituale d’orientamento essenzialmente contemplativo, che pone la
perfezione dell’uomo nell’unione con
Dio per mezzo della preghiera continua. Ma ciò che lo caratterizza è
l’affermazione dell’eccellenza, perfino della necessità, dell’hêsychia, o della quiete nel senso più lato,
per attendere a questa unione” (14). |
Non si
tratta quindi di quietismo perché l’esicasmo insegna che non si perviene a questa quiete senza sforzo o rinunce, senza ascesi;
e, d’altra parte, la stessa hêsychia non è il fine, ma un mezzo, forse anche
il migliore, per disporre l’anima nella sua ricerca di Dio.
A questo
fine, si rivelano di fondamentale importanza elementi quali la solitudine e il silenzio, senza i quali è ben difficile giungere al raccoglimento,
alla preghiera contemplativa, all’unione con Dio.
Possiamo
perciò distinguere due forme di hêsychia:
-
l’una esteriore, che coincide con
l’allontanamento dal mondo e dai suoi affari, dagli uomini;
- la seconda
interiore, che risiede nell’anima e
nelle sue facoltà, che è evidentemente più importante della prima, ma la
suppone.
L’esicasmo richiede, dunque, sia uno stile di vita
esteriore sia un cammino ascetico di vita interiore.
4. L’hêsychia esteriore (hêsychia-anacoresi)
Ciò che
contraddistingue il fenomeno storico dell’esicasmo è l’insistere sulla solitudine o anacoresi, al punto che
talvolta solitudine ed hêsychia sono
quasi sinonimi, ad indicare che solo nella solitudine, nel deserto, si
possa trovare la “quiete”. Solo in tempi successivi si arriverà a distinguere l’hêsychia
interiore dalla hêsychia-anacoresi, anche se in autori successivi la
sinonimia permane. Praticare l’hêsychia
è proprio del monaco che si rifugia nel deserto, fra le montagne e le grotte, o
che almeno vive in una cella separata dalle altre: egli si è allontanato dal
mondo per vivere il distacco e la solitudine. È questo amore per la solitudine
che fa denominare questi monaci anche amanti dell’hêsychia o esicasti.
Quali sono
le esigenze dell’hêsychia-anacoresi?
Oltre la solitudine, favorita
dall’isolamento materiale, il silenzio.
Una sintesi di questo modello di vita, la si può trovare nella vocazione di
Arsenio, raccontata negli Apophtegmi.
Arsenio si rivolse a Gesù chiedendogli cosa fosse necessario fare per essere
salvato. Gesù gli rispose: “Fuge, tace, quiesce -
fuggi, taci, resta tranquillo (15).
Se
l’esicasta si isola dal mondo, e difende la propria solitudine in modo
accanito, certo non si disinteressa dei
propri fratelli: fra gli esicasti troviamo molti padri spirituali (famosi
soprattutto gli "startsi"), che esercitavano questo
ministero con scritti e lettere. Questa paternità spirituale veniva però esercitata solo dopo la loro “guarigione
spirituale”, il perfezionamento nella solitudine e nella vita ascetica, e dopo
essere stati riempiti delle "energie divine" dello Spirito (16).
Con lo
sviluppo del cenobitismo si iniziò a suddividere i monaci in cenobiti ed
anacoreti (e/o reclusi) e questi ultimi erano chiamati anche esicasti.
L’esicasta non è un eremita radicale, anche se ci sono dei reclusi: più sovente
lo si trova in gruppi semi-anacoretici, che consentono comunque una certa
solitudine. Dal V-VI sec. si trovano monaci che, dopo aver trascorso un periodo
di formazione in un cenobio, chiedono la dispensa dalla vita comunitaria e
vivono in una cella isolata, anche all’interno dello stesso monastero, o nei
pressi di una laura (17). Altri esicasti vivranno in solitudine la maggior
parte del loro tempo, trovandosi con gli altri eremiti nel giorno del Signore
per la celebrazione eucaristica.
L’hêsychia, dì'altra parte, è
l’aspirazione di molti cenobiti: fra questi si può ricordare Evagrio Pontico
che ci ha lasciato, tra i tanti scritti e insegnamenti spirituali, il Sommario di
vita monastica che insegna come si debba esercitare l’ascesi e l’hêsychia (18): si
tratta, come dice lo stesso titolo, di un insegnamento tradizionale con il
quale l’autore ci trasmette quanto ha ricevuto dai monaci egiziani. (19).
Secondo quest’opera il monaco è colui che: ha abbandonato ogni realtà materiale
di questo mondo ed abbraccia l’hêsychia; è
impassibile; non ha concupiscenze; si attiene all’uso di cibi leggeri e poveri;
è attento ai poveri; ha un abbigliamento semplice, sobrio; preferisce il riposo
spirituale al riposo fisico; evita la compagnia di uomini legati alla materia o
implicati in affari e abita solo o con uomini distaccati e di un “unico
sentire”; ha una cella povera e semplice; cerca luoghi liberi da traffici e
solitari; teme le cadute ed è stabile nella propria cella; non si incontra
frequentemente con i propri amici; non abita con chi vive nella distrazione; si
occupa di una lavoro manuale per non essere di peso a nessuno; se non gli è
possibile vivere l’hêsychía cerca
almeno di vivere la xenitía
(estraneità, distacco, sradicamento: alcuni monaci sceglievano un paese
straniero, per vivere quello sradicamento che è ontologicamente di ogni
cristiano dal momento in cui il battesimo ne ha fatto uno straniero al mondo);
pensa alla propria morte e al giudizio finale; sa digiunare secondo le proprie
forze; sopporta le veglie e il dormire per terra; è un uomo di preghiera, una
preghiera compiuta nel timore e nel tremore e nella sobrietà.
5.
L’hêsychia interiore
Nell’esicasmo
si possono individuare alcuni tratti che permettono di indicare la sua
particolare fisionomia; sono essenzialmente quattro: amerimnia, népsis, ricordo di Dio, preghiera continua (20).
A. L’amerimnia:
assenza di pensieri e di preoccupazioni
L’esicasta
sa bene che se la fuga dal mondo gli permette di allontanarsi dalla società e
dalla sua dissipazione, molto più grave
è la dissipazione del cuore, che, malgrado la solitudine, resta inquieto,
immerso nei suoi pensieri e preoccupazioni che lo hanno seguito anche nel
deserto.
L’esicasta è
chiamato a vivere perciò l’apatheia, l’impassibilità che governa tutte le passioni inferiori (21).
Questa impassibilità, è bene sottolinearlo, non è mai negligenza o acedia, ma
una virtù che ha il suo fondamento nella Scrittura: “Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che
hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e
l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e
questa rimane senza frutto” (22); “State
bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni,
ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso
improvviso...” (23); “Perciò vi dico:
per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche
per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del
cibo e il corpo più del vestito?” (24); “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa
delle cose del Signore, come possa piacere al Signore...” (25).
La scuola
sinaitica, ed in particolare Giovanni Climaco, ha posto una particolare
attenzione alla vigilanza sui pensieri
("logismoi") e alla necessità dell'hesychia (26). Riportiamo
il suo insegnamento tratto dalla Scala del Paradiso:
"Chi è ancora immerso tra le passioni non può lanciarsi nel dialogo
con Dio, ché correrebbe il rischio di chi si lanciasse a nuoto avvolto nelle
sue vesti. La cella dell'esicasta
circoscrive il suo corpo, e lì dentro egli dà spazio alla conoscenza.
Chi, ancora psichicamente ammalato e avvolto tra le passioni, volesse
cominciare a fare l'esicasta assomiglierebbe al navigante che si lanciasse
dalla nave credendo di poter raggiungere la terraferma aggrappato ad un asse
senza correre alcun pericolo. Chi combatte col fango a suo tempo potrà vivere
in esichia, se e quando abbia avuto
una guida. Poiché il solitario - parlo del solitario in senso stretto
- cioè nel corpo e nello spirito da vero e proprio esicasta deve
avere una forza angelica. Rinnegherebbe l'esichia e mentirebbe un tiepido che accondiscendesse agli
umani cavilli che lo spingessero a prendersi una vacanza dal suo stato di
esicasta. Lasciando la cella darà la colpa ai demoni, dimenticando che è lui
il demonio tentatore di se stesso. Ho
visto io cosa vuol dire essere esicasti: non facevano che rinfocolare le
fiamme del desiderio di Dio, riempiendosi e mai sentendosi abbastanza pieni;
aggiungere sempre fuoco a fuoco, amore ad amore, desiderio a desiderio.
L'esicasta è un angelo in terra; egli, liberatosi dall'accidia e dalla
pusillanimità, nella sua orazione scrive sulla carta del desiderio lettere
perfette che esprimono il suo impegno nell'amore. Era un esicasta
colui che gridava: «O Dio, è pronto il mio cuore» . Era un esicasta colui che
diceva: «Io
dormo, ma il mio cuore veglia» Chiudi
fisicamente la porta della cella per il tuo corpo, ferma la porta alla lingua
perché non parli, sbarra la porta dal di dentro contro gli spiriti. La mancanza di tante cose allora rivelerà provandola la fortezza
dell'esicasta, nel mezzogiorno quando la bonaccia mette alla prova la
resistenza del marinaio. Questi per impazienza si getterà nell'acqua a nuoto;
quello preso dal tedio bramerà tornare tra la folla. Tu non temere gli
scherzi di quelli che ti frastornano, poiché la compunzione non conosce viltà
né costernazione. Quanti hanno veramente appreso a pregare mentalmente sapranno instaurare il colloquio quasi
parlando all'orecchio del Re; quanti sanno fare preghiera vocale si prostreranno a Lui nella grande adunanza;
quanti vivono nel mondo pregheranno il Re tra il tumulto del suo popolo. Se hai imparato l'arte, intenderai quel che dico. Dall'alto della torre
sorveglia come ti ho spiegato; e allora potrai discernere come, quando e
donde, quanti e quali ladri entrino nella vigna a rubare i grappoli. Chi non
si stanca di fare la guardia, si alza e prega, ritornerà a star tranquillo,
attendendo con coraggio al suo lavoro. Così un tale ricco di questa
esperienza, che avrebbe voluto parlarne sottilmente e con esattezza, temendo
di rendere trasandati nel servizio di Dio i fervorosi ovvero di scoraggiare
quanti avevano scelto l'esichia al suono delle sue parole, se ne astenne. Chi
ne parla con sottigliezza e sapienza eccita contro di sé i demoni, perché
nessun altro potrebbe trionfare della loro malefica attività con sì felice
risultato. [L'esicasta vive nel silenzio per ascoltare Dio,
spiritualizzandosi: PG 11OOC-11O1B] 180. Chi
si impegna nell'esichia infatti riesce a penetrare le profondità dei misteri.
Ma non vi si cimenta senza aver prima affrontato il fragore dei flutti, il
soffiare dei venti diabolici; lo fa dopo avere visto, udito e fors'anche dopo
essersene contaminato. Lo conferma Paolo, che peraltro non avrebbe potuto
ascoltare arcane parole senza essere stato rapito in paradiso come in
esichia. Nell'esichia
l'orecchio intende le straordinarie parole che Dio gli fa sentire, perché
essa è ricca di sapienza; perciò fu questa a parlare con Giobbe in
quei termini: «Non intenderà forse il mio orecchio le straordinarie parole
che Egli mi ha fatto sentire?». Esicasta è chi fugge il mondo senza odiarlo; lo fugge come altri corre dietro alle sue mollezze, cioè perché non
vuole gli siano tagliate le dolcezze di Dio. Perciò lascialo immediatamente,
distribuisci il tuo tempo per potere pregando raggiungere l'esichia,
applicando a te le parole: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri» e le altre: «Prendi la tua
croce e seguimi» . Portando il peso dell'ubbidienza e sopportando
l'amaro taglio della tua volontà con tutta la tua forza, poi lo seguirai
aderendo alla beatissima esichia dove imparerai a vedere quanto operano e
come vivono beate le potenze spirituali che mai cessano di lodare il Creatore
per i secoli dei secoli; né tu sarai privo dei loro inni al Creatore, una
volta entrato nel cielo dell'esichia. Come gli esseri immateriali non si curano della materia, gli spirituali
uniti alla materia non si preoccupano di ciò che l'alimenta; i primi non
sentono il gusto del cibo e i secondi non hanno bisogno di procurarselo, in
quanto quelli non hanno beni di uso o di possesso cui badare e questi non
hanno mali spirituali da cui guardarsi da parte degli spiriti malvagi: gli
esseri celesti non hanno interesse a volgere lo sguardo alle creature
materiali e gli spirituali non hanno interesse per le forme sensibili una
volta che hanno diretto i loro desideri lassù. Come gli esseri celesti
progrediscono nell'amore senza mai cessar di migliorare, così gli spirituali non fanno che emulare ogni
giorno i celesti; gli uni sanno bene che tesoro sia quel progredire,
gli altri non ignorano il valore di amore che li fa salire continuamente fino
alla mèta dei Serafini, cioè fino a
diventare essi stessi angeli attraverso un cammino ben travagliato e mai
interrotto. Felice chi spera di giungere a tale stato, mille volte
beato chi per diventare angelo ha fatto di tutto per esserlo. (27) |
La vittoria sui logismoi non
è fine a se stessa, ma è in vista di disporsi alla contemplazione: Evagrio parla di una stretta
connessione tra la preghiera pura, liberata da tutto ciò che “non è Dio”, e
l’hêsychia; preghiera contemplativa
ed hêsychia sono praticamente
sinonimi.
Sempre
questo autore ci ha lasciato un’opera estremamente importante: Sul discernimento delle passioni e dei
pensieri (28), un trattato di terapeutica del IV sec.
che si prefigge di far conoscere all’uomo la sua vera natura fatta “ad
immagine e somiglianza di Dio”, e di insegnare a liberarla da tutto ciò che la
nasconde o la deforma. In questo senso, per Evagrio, il termine apatheia
si può intendere anche come “stato non patologico” e la
conversione, per usare parole di san Giovanni Damasceno “consiste nel ritornare da ciò che
è contrario alla natura a ciò che le è proprio” (29).
Il cammino
spirituale nel pensiero di Evagrio è contrassegnato da tre tappe (l'ascesi
pratica - osservanza dei
comandamenti ed esercizio delle
virtù) e conduce al perfetto dominio degli istinti passionali. Questo
dischiude la prima forma della conoscenza: la contemplazione, non colorata da
passionalità, delle creature corporee ed incorporee, e la comprensione della
parola divina che è la ragione di essere di ciascuna creatura. Superata questa
forma di conoscenza, si raggiunge la contemplazione di Dio al di là di tutte le
forme e di tutti i concetti distinti e separati.
B. La
népsis: vigilanza e attenzione
È
l’attitudine di un’anima pronta, presente a se stessa e a Dio, vigilante e
attenta a non lasciarsi sorprendere dall’Avversario e dai logismoi. Evagrio distingue otto
loghismoi, pensieri, che sono otto
sintomi di una malattia dello spirito:
1. gastrimargía-gola
(Cassiano tradurrà: de spiritu
gastrimarigiae): non è solo golosità, ma ogni patologia orale;
2. philargyría-avarizia
(de spiritu philaguriae): non solo
l’avarizia, ma tutte le forme di stitichezza dell’essere e di patologia anale;
3. porneia-lussuria (de spiritu fornicationis): non solo fornicazione, masturbazione,
ma ogni forma di ossessione sessuale, di deviazione e di compensazione della
pulsione genitale;
4. ofré-ira (de spiritu irae): la collera,
patologia dell’irascibile;
5. lypé-tristezza
(de spiritu tristitiae): depressione,
tristezza, malinconia;
6. akédia-accidia (de spiritu acediae): acedia,
depressione con tendenza suicida, disperazione, pulsione di morte;
7. kenodoxia-vanagloria
(de spiritu cenodoxiae): vanagloria, inflazione dell’ego;
8. hyperéphanía-superbia (de spiritu superbiae): orgoglio,
paranoia, delirio schizofrenico.
Il demone della sensualità stimola le bramosie carnali, e con
astute insidie muove all'assalto degli astinenti, cercando di dissuaderli
dalla loro austerità, presentandola come sterile per loro stessi. Con queste
suggestioni inquina la loro anima, per spingerli a compiere azioni sensuali,
e li mette nell'occasione di dire ed ascoltare quelle parole solite a chi
commette atti di lussuria. Il demone dell'avidità di denaro suggerisce pensieri di prudenza
per l'età avanzata, per quando le forze verranno meno ed il solitario non potrà
più lavorare con le sue mani, gli rappresenta la fame, la malattia,
l'asprezza del bisogno, il peso di dover accettare dagli altri il necessario
per il sostentamento fisico. La mancata soddisfazione di un desiderio o, alle volte,
l'irascibilità stimolano le suggestioni del risentimento. Quando c'è la
mancata soddisfazione di desideri, tutto il lavorio dei pensieri del
risentimento si svolge così: tornano prima i ricordi dei conforti che il
solitario aveva avanti di abbracciare la vita dell'ascesi. L'iracondia è il più vivace di tutti gli istinti passionali. Sorge
e s'infiamma contro chi ci ha fatto, o sembra averci fatto una qualche
offesa. Rende l'anima sempre più inflessibile; il suo tempo preferito è
quello della preghiera; in quel momento presenta vividamente la figura di chi
ha recato l'offesa. Alle volte si radica nell'anima e diventa inimicizia,
produce notturni incubi ed immagini di torture, di morte orrenda, di assalti
eseguiti da velenosi serpenti e mostri bestiali. Questi quattro fenomeni sono
il segno che nell'anima nasce l'inimicizia, che è attorniata da numerosi
pensieri tormentosi; chi osserva se stesso può capire che dico il vero. Il demone dello scoramento detto il demone meridiano, è il più opprimente di
tutti. Assale ordinariamente il monaco verso le dieci del mattino, lo assedia
fino alle quattordici. Comincia col far notare, in modo deprimente, il lento
girare del sole, tanto lento da sembrare immoto, il giorno appare di
cinquanta ore. Dopo spinge il monaco a occhieggiare spesso dalla finestra, o
ad uscire dalla cella ed osservare il sole per fare il computo del tempo che
manca ad arrivare alle quindici; contemporaneamente lo fa guardare a destra e
a sinistra per vedere se qualche frate venga a trovarlo. Quindi lo assale con
il disgusto del posto, del genere di vita e di impegno scelti, suggerendogli
considerazioni come queste: tra i frati non c'è amore, nessuno è pronto a
darti un conforto. Se nei giorni di prova, qualche frate gli ha recato
offesa, il demone glielo ricorda e lo vessa con tale pensiero. Da queste
suggestioni, lo spirito del male, provoca nel solitario il desiderio di
vivere in altro luogo, dove più agevole sia trovare il necessario, e dove l'impegno
ascetico sia più lieve e proficuo. I pensieri malvagi sussurrano che il
piacere a Dio non dipende dal posto ove uno è, perchè Dio può esser venerato
ovunque. Insieme a questi pensieri, unisce il ricordo del benessere goduto
prima della solitudine; e prospetta il lungo tempo che ancora dovrà vivere
nell'asprezza dell'ascesi; si serve, in una parola, di tutte le sue astuzie
per spingere il monaco ad abbandonare la sua cella, e interrompere il suo
impegno. Il demone che segue lo scoramento, è il più sottilmente malizioso
di tutti, è quello della vanagloria. Svolge la sua opera nel cuore di chi ha
raggiunto il giusto dominio delle forze vitali. L'assalto comincia con il
compiacimento dello sforzo ascetico compiuto e con gli elogi mossi dagli
altri uomini. Il solitario vede sorgere, per l'incantesimo della fantasia, le
urla dei demoni fugati dalla sua presenza, la guarigione delle donne
ammalate, la turba degli infermi che l'attornia per esser guarita dal solo
contatto delle sue vesti. Sente profetizzarsi la dignità sacerdotale, vede
schiere di uomini alla sua porta per ricercarlo e consacrarlo prete, immagina
di rifiutare e si scorge legato e costretto ad accettare il sacerdozio contro
la sua volontà. Una volta accese queste speranze, lo spirito del male se ne
va lasciando il campo ad altre tentazioni, quelle del demone della superbia o
del risentimento che suggerisce pensieri opposti alle speranze nutrite. Può anche succedere che a
questo punto il demone impuro vinca il solitario che poco prima immaginava di
essere un santo e venerato sacerdote. Lo spirito malvagio della superbia causa le più gravi rovine
nell'anima. Suggerisce all'anima di non riconoscere Dio come l'unico
soccorritore, attribuendo solo al proprio sforzo ogni progresso nella bontà;
di collocarsi al di sopra degli altri frati, reputandoli ignoranti non avendo
essi pensieri sublimi come lui. La superbia ha sempre l'irrequietezza e il
malcontento, al suo seguito. L'ultimo stadio del superbo è la frenesia
mentale e la visione degli spiriti del male." (30) |
Questo
atteggiamento di vigilanza prende anche il nome di attenzione, difesa dello spirito, del cuore. Secondo Esichio il
Sinaita, per
fare un esempio, tutta l’ascesi sembra ricondursi alla népsis che è un “metodo
spirituale che libera interamente la persona, con il soccorso di Dio e per
mezzo di una pratica costante e decisa, dei pensieri e delle parole animati,
come delle azioni cattive” (31), e alla prosoché, l’attenzione data ai logismoi,
che in fondo esprime lo stesso impegno.
C. Il ricordo
di Dio
Anche questo
è un tema tradizionale della spiritualità orientale, già presente fin negli Apophtegmi e nelle Vite dei Padri del deserto. I Padri orientali suggeriscono vari
modi per mantenere costante questo
ricordo, anche per mezzo di una breve formula verbale di preghiera, tratta
preferibilmente dalla Sacra Scrittura. Così il ricordo di Dio, che lentamente
si precisa come ricordo di Gesù, può divenire incancellabile.
E' sempre Giovanni
Climaco che stabilisce una
connessione del ricordo di Gesù con l’hêsychia:
“L’hêsychia
consiste nello stare in continua adorazione del Signore, sempre alla sua
presenza, con il ricordo di Gesù aderente al suo (dell’esicasta) respiro,
allora potrai toccare con mano i vantaggi dell’hêsychia” (32).
D. La
preghiera pura
La preghiera e l’hêsychia sono strettamente connesse: se l’hêsychia è il clima favorevole per la preghiera, la preghiera è ciò
che rende possibile l’hêsychia. La
ricerca della quiete interiore in vista della contemplazione è un tema classico
della spiritualità orientale, anche per autori che non si possono classificare
tra gli esicasti.
Per esempio,
Basilio scriveva: “L’hêsychia è un buon ausilio per la theoría, la contemplazione, l’attività
dello spirito per la quale noi siamo uniti a Dio” (33), a cui il Crisostomo
faceva eco dicendo che “se il Cristo se ne va solo sulla montagna o in luoghi
solitari per pregare, ciò che ci vuol dire è che il deserto è la madre dell’hêsychia e che la preghiera reclama,
come preparazione, molta hêsychia e
calma” (34).
Ma negli
autori esicasti si scorge qualcosa in più. L’hêsychia non è soltanto un mezzo, ma il
centro stesso della vita contemplativa e in un certo senso la vita contemplativa
stessa, e l’esicasta è la preghiera
fatta uomo.
Giovanni
Climaco ha scritto molto a questo proposito: “L’esicasta poi lotta per circoscrivere dentro il corporeo l’incorporeo,
cosa veramente straordinaria” (35). “Chi
conosce il pensiero d’un uomo che vive nell’hêsychia esteriore e interiore? La
forza dell’esicasta sta nella molta preghiera, come la forza di un re nelle
ricchezze e nel numero” (36).
Sant’Efrem, in un
testo di dubbia attribuzione (lo “condivide” con Giovanni Crisostomo), De patientia et consummatione, fa un
elogio dell’hêsychia partendo da una
figura del vangelo: Maria di Betania. Maria, che si era messa ai piedi di Gesù
e non aveva attenzione che per lui, è l’immagine dell’hêsychia. D’altra parte non è Gesù stesso che ha garantito il
riposo per chi fosse andato a lui? (37).
Simeone il Nuovo Teologo ci ha lasciato una descrizione delle
grazie della contemplazione promesse all’hêsychia,
ma non dimentica di sottolineare come non si possa chiamare riposo il non
compiere opere o hêsychia l’oziosità
e mettere questi atteggiamenti al di sopra della legge del Cristo: umiltà,
carità, servizio agli altri.
NOTE
1 P. Adnès, Hésychasme, in Dictionnaire
de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris 1969,
t. 7, coll. 381-399; E.
BEHR-SIGEL, Il luogo del cuore.
Iniziazione alla spiritualità ortodossa, Cinisello Balsamo 1993; J.-Y.
Leloup, L’Esicasmo. Che cos’è, come lo si
vive, Milano 1992; NICODIMO AGHIORITA e MACARIO DI CORINTO, op. cit.; K. Ware,
Philocalia, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et
histoire, Paris 1984, t. 12, coll. 1336-1352.
2 Cf. Gdc
3,11 (“Il paese rimase in pace...”; 3,30; 5,31; 8,28; ...).
3 Cf.
Is 7,4 (“Tu gli dirai: Fa’ attenzione
e sta’ tranquillo...”).
4 Cf.
Pv 1,33 (“... chi ascolta me [la
sapienza] vivrà tranquillo e sicuro dal timore del male”).
5 Tacere:
Pv 11,12 (“L’uomo prudente ...
tace”).
6 Stare:
Pv 7,11 (“... non sa tenere i piedi
in casa sua). Cf. anche Lam 3,26 (“È
bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”) in cui si trovano entrambi i significati.
7 Lc
14,4 (“... essi tacquero”).
8 Lc
23,56 (“Il giorno di sabato osservarono il riposo)”.
9 At
21,14 (“... smettemmo di insistere...”).
10
1Tess 4,11 (“... attendere alle cose vostre...).
11 1Tm 2,2
(“perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla...”).
12
2Tess 3,12 (“... mangiare il proprio pane lavorando in pace”).
13 1Tm 2,11-12; 1Pt 3,4.
14 P. Adnès, Hésychasme, col. 384.
15
Apophtegmi, PG 65, 88c, cit. in: T. Š pidlík, La preghiera esicastica, in: E. Ancilli (cur.), La preghiera, Roma 19902, vol. II, p.
263; cf. anche J.-Y. Leloup, op. cit.,
pp. 27-46.
16 Ammonas
vede nell’hêsychia il fondamento
della sua genealogia delle virtù; S. Nilo afferma che bisogna abbracciare l’hêsychia o la “mónosis” che chiama “la
madre della filosofia”, cioè la vita monastica perfetta; un luogo comune della
letteratura esicasta definisce l’hêsychia
“genitrice di ogni bene”: cf. P. ADNÈS, Hésychasme,
col. 387.
17 Organizzazione
monastica bizantina, caratterizzata da un certo numero di celle separate di
anacoreti, aventi però la chiesa in comune.
18 EVAGRIO
MONACO, Sommario di vita monastica che
insegna come si debba esercitare l’ascesi e l’hêsychia, in Filocalia, vol. I, pp. 99-106.
19 Ibid
20 Cf. in part.: P. Adnès, Hésychasme, coll. 388-397.
21 Il termine apatheia, accettato da Evagrio e dalla sua scuola, manca negli esicasti
più antichi e non ha mai prevalso sul termine amerimnia: i due termini si richiamano a vicenda e spesso sono
associati. Cf. G. BARDY, Apatheia, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et
mystique, doctrine et histoire, Paris 1936, t. 1, coll. 727-746.
22 Mc 4,18-19.
23 Lc 21,34.
24 Mt 6,25.
25 1Cor
7,32.
26 GIOVANNI
CLIMACO, La scala del Paradiso, PG
88, 1109b, cit. in: P. Adnès, Hésychasme,
col. 391.
27
Ibid.
28 EVAGRIO MONACO, Sul discernimento delle passioni e dei pensieri, in Filocalia, vol. I, pp.
107-124.
29 Cit. in: J.-Y. Leloup, op. cit., p. 48.
30
Ibid., pp. 47-48. Per un approfondimento: EVAGRIO MONACO, op. cit.,; CASSIANO (IL) ROMANO, Al Vescovo Castore. Gli otto pensieri
viziosi, in Filocalia, vol. I, pp.
129-153; J.-Y. Leloup, op. cit., pp.
47-67.
31 ESICHIO
(IL) SINAITA, Centurie, I, 1, PG 93,
1480d, cit. in: P. Adnès, Hésychasme,
col. 392. J. Gouillard attribuisce quest’opera non al santo, ma a un monaco, di
nome Esichio, del monastero sinaitico di Batos.
32 GIOVANNI
CLIMACO, La scala del Paradiso, Roma
1995, p. 318.
33 BASILIO
DI CESAREA (Magno), Epistola, 9, 3,
PG 32, 272c, cit. in: P. Adnès, Hésychasme,
col. 394.
34 GIOVANNI
CRISOSTOMO, In Matthaeum, 50, 1, PG
58, 503-504, cit. in: P. Adnès, Hésychasme,
col. 395.
35 GIOVANNI
CLIMACO, La scala del Paradiso, Roma
1995, p. 306.
36 Ibid., p. 323.
37 Cf. Mt 11,28.