Alcune piste di riflessione sul tema
della misericordia
Ogni
cosa ha inizio nella tua misericordia
e nella tua misericordia finisce
(s.
Faustina Kowalska)
1 –
Introduzione
"Siate misericordiosi, come è
misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,36) che riecheggia la
massima di Matteo: "Siate voi dunque
perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Matteo 5, 48;
cfr Lev 19, 2: "Siate santi come io
sono santo")). Imitare la perfezione
divina e imitarne la misericordia. E se il nostro destino è diventare
familiari di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza, assimilarne la
misericordia è essenziale allo sviluppo della nostra vita spirituale.
Ci facciamo una prima domanda: “Che
posto ha questa parola – misericordia – nel nostro linguaggio abituale?” Di
fatto essa è praticamente assente. E’ un termine, che viene usato infatti quasi
esclusivamente nel linguaggio religioso.
Ma attenzione anche in questo ambito la misericordia sembra essere piuttosto un accessorio
d'obbligo della fede, ma non una
prospettiva centrale. L'Enciclopedia Catholicisme
("Cattolicesimo") trattando questo argomento comincia così: "Il sostantivo "misericordia" come
l'aggettivo "misericordioso" sono termini in disuso, che non
appartengono ora che al linguaggio religioso, più precisamente liturgico, e
solo in qualche rara occasione. Mentre si tratta di un tema biblico ed
evangelico che dà una rivelazione essenziale del mistero di Dio e del mistero
di Gesù". Queste poche parole dicono tutto: da un lato il posto centrale della misericordia nella
rivelazione e di fatto la sua condizione di marginalità nel cattolicesimo di
oggi.
Probabilmente siamo
eredi di una certa filosofia. Per Platone, la misericordia è una
debolezza (cfr. Leggi XI, Repubblica X). Nella morale di Aristotele, la
misericordia non è una virtù, ma una mancanza, che si può scusare solo negli
anziani e nei fanciulli (Etica a Nicomano 2,4). Per gli stoici, è una malattia
dell'anima perché l'uomo maturo deve saper dominare con la ragione queste
manifestazioni di affettività (cfr. Seneca, De Clementia 2, 3-4). Bisogna
arrivare a Cicerone per una denuncia del concetto stoico come assurdo, e per
riconoscere che la misericordia per il vero filosofo è la saggezza: Viri boni esse misereri (Pro Murena 29,61).
Ci facciamo allora una seconda domanda: “Dobbiamo dedurre che si tratta di una dimensione completamente
assente nella nostra vita oggi, nella nostra società attuale?”. Non ci
nascondiamo che oggi stiamo assistendo ad un dilagare della "globalizzazione dell'indifferenza"
(papa Francesco), di una violenza talvolta spietata che non esita di usare
anche persone innocenti, di una economia dello scarto che elimina di fatto i
più deboli e indifesi nella logica della legge del più forte. Tuttavia qualche
barlume rimane: anni fa il giornalista Marco Garzonio in un’intervista pose al
cardinal Martini questa domanda: “E’
praticabile la misericordia nel mondo contemporaneo?”. E il cardinale
rispose: “Se non lo fosse, il mondo sarebbe già
morto, ci saremmo uccisi e mangiati come cannibali. Se sopravviviamo è perché
c’è tra noi gente, che ha cura degli altri, di chi non sa aiutarsi, che
perdona. La misericordia comincia dal piccolo. Per esempio una madre che
accoglie il bambino, lo cura per anni, mentre il bambino non ha nulla da
restituire. Tutto è gratuito”. Un buon esercizio è farci attenti a
cogliere questi segni forse impercettibili di misericordia e che tuttavia fanno
sempre sperare che il mondo non si autodistrugga.
2
– Considerazioni sulla formulazione della beatitudine
"Beati i misericordiosi i misericordiosi,
perché troveranno misericordia": da parte di chi riceveranno un trattamento
misericordioso? Dagli altri? Beh, la nostra esperienza non mostra proprio che chi
fa misericordia, riceve a sua volta trattamenti misericordiosi. La nostra
esperienza mostra piuttosto il contrario: le persone misericordiose finiscono spesso
schiacciate dai prepotenti. Gesù infinitamente misericordioso è finito in
croce.
Il testo originale greco usa un futuro passivo (eleémon). Supponiamo che nella lingua italiana esista il verbo “misericordiare”: la nostra beatitudine
allora dovrebbe essere resa così: “Beati
coloro che misericordiano, perché saranno misericordiati”. Il cristiano di
origine ebraica, che si imbatteva in questo futuro passivo (saranno misericordiati) capiva subito da
chi: da Dio.
A questo punto diventa d’obbligo rilevare una seconda cosa. La prima
interpretazione, che spontaneamente diamo della beatitudine è questa: se tu ti comporti in maniera misericordiosa,
otterrai sicuramente la misericordia di Dio. Ma se ci pensate bene per un
attimo, non potete non rilevare che è un ragionamento sorretto da una logica
errata. Infatti una caratteristica fondamentale dell’amore misericordioso è la gratuità. Quindi è impensabile che l’amore misericordioso di Dio debba dipendere dal mio
comportamento misericordioso. E’
impensabile che Dio mi conceda il suo amore misericordioso in maniera
condizionata. Ne va dell’assoluta gratuità dell’amore misericordioso di Dio.
Se così fosse sarebbe completamente rovesciato il rapporto tra grazia e buone
opere, e si distruggerebbe il carattere di pura gratuità della misericordia
divina solennemente proclamato da Dio davanti a Mosè: “Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia
di chi vorrò aver misericordia” (Es 33,19).
3 - Una relazione circolare
Come va intesa allora la beatitudine: essa di fatto esprime una relazione circolare.
All’inizio di tutto
c’è l’amore misericordioso di Dio, che mi viene offerto da Dio in maniera
assolutamente gratuita.
Ma per accoglierlo devo riconoscere la mia condizione di peccato, di bisogno, di
fragilità, di non autosufficienza. Ecco perché all'uomo d'oggi è difficile fare
esperienza di misericordia e di donare misericordia.
Questo trovarmi amato misericordiosamente/gratuitamente da Dio al di là di
ogni mio merito, anzi nonostante i miei demeriti, provoca in me due conseguenze.
Prima conseguenza: la beatitudine,
la gioia di sentirmi amato. Sal 63,4
Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode.
Seconda conseguenza: mi trovo
educato ad essere a mia volta misericordioso con coloro che mi stanno
intorno, che come me hanno limiti, difetti, debolezze, peccati.
L’esperienza della misericordia di Dio deve rendermi a mia volta
misericordioso. Gesù è categorico nel
richiamare questa conseguenza. La parabola dei due servitori (Mt 18, 23
ss,) è la chiave per interpretare correttamente il rapporto tra misericordia
ricevuto e da dare. Lì si vede come è il padrone che, per primo, senza
condizioni, rimette un debito immenso al servo (diecimila talenti!) ed è
proprio la sua generosità che avrebbe dovuto spingere il servo ad avere pietà
di colui che gli doveva la misera somma di cento denari.
Dobbiamo dunque avere
misericordia perché abbiamo ricevuto misericordia, non per
ricevere misericordia; però dobbiamo avere
misericordia, altrimenti la misericordia di Dio non avrà effetto per noi e
ci verrà ritirata, come il padrone della parabola la ritirò al servo spietato.
Se mi lascio rendere misericordioso dall’esperienza della misericordia di Dio,
si allargherà in me la disponibilità ad accogliere l’infinito amore
misericordioso di Dio, ne avvertirò sempre più la straordinaria ricchezza e
quindi cresceranno in me sia la gioia sia la mia propensione ad essere
misericordioso con gli altri.
La grazia “previene”
sempre ed è essa che crea il dovere: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”, scrive san Paolo ai
Colossesi (Col 3,13). “Il giudizio, scrive
infatti san Giacomo, sarà senza misericordia contro chi non avrà usato
misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,13).
Questa circolarità chiama in causa ciascuno di noi:
come sto di fronte
alla misericordia di Dio?
Riconosco di averne
bisogno?
Quando l'ho
sperimentata?
Se mi manca l’umiltà,
mi manca la disponibilità a ricevere la misericordia di Dio! Ricordate la parabola
del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14)? Se vivo per la mia autoaffermazione,
non sentirò il bisogno della misericordia.
Traduco la mia
esperienza della misericordia di Dio in offerta di misericordia all’altro?
4 – Che
cosa è la misericordia?
Nel Primo Testamento si fa ricorso alla terminologia della misericordia per
ben quasi 400 volte! Ne comprendiamo la centralità.
Noi traduciamo con la terminologia di misericordia due espressioni
ebraiche:
a) rahamim – viscere – che è il plurale di rechem, il grembo materno: nel grembo materno le viscere fanno spazio
alla vita nuova del figlio e per via di questo rapporto tra madre e figlio
si stabilisce un attaccamento affettivo viscerale, di fortissima condivisione,
di intensissima com-passione. Questo
rapporto perdura anche dopo il parto: una
madre partecipa profondamente, in maniera viscerale, alle gioie e alle
sofferenze del figlio.
Dio si attribuisce
questo amore viscerale materno: Is 49,15: Si dimentica forse una
donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Michea dice che Dio “si compiace di avere misericordia” (Mi 7,18), cioè
prova piacere nel farlo.
Dio ricorre a questa terminologia dell’amore viscerale nella stessa autopresentazione solenne di Es, 34,6:
dopo il tradimento del popolo ebraico, che si è costruito il vitello d’oro, Dio
si presenta come il misericordioso: “Il Signore(Adonai / Jahvé), il Signore (Adonai
/ Jahvé), Dio (‘El) misericordioso (terminologia viscerale) e pietoso,
lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.
Qui si apre la riflessione sul tema della "sofferenza di Dio"
strettamente legato al tema della misericordia. Troviamo come commento
un bel testo in Origine: "Ecco
che “il Signore tuo Dio ha sopportato la tua condotta come un padre sopporta
suo figlio” (Dt 1,13). Come il Figlio di Dio “ha portato i nostri dolori” così
Dio stesso sopporta “la nostra condotta”. Neppure il Padre è impassibile… Egli
ha pietà, conosce qualcosa della passione d’amore, ha delle misericordie che
sembrerebbero dovergli essere impedite dalla sua maestà divina. Ma così non è".
(Origene, Om. In Ezec., VI). Amore viscerale,
com-passione indica allora la cura e
l'affetto che Dio ha per la sua creatura e, per l'uomo, l’atteggiamento benevolo verso il bisogno
dell’altro e che si esprime nelle cosiddette opere di misericordia (cfr libro di Tobia, il buon samaritano…).
b) Hesed: alla base del
termine vi è un riferimento all'alleanza. Si tratta dell’atteggiamento della parte più forte (Dio stesso) verso la parte
più debole e si esprime di solito
nel perdono delle infedeltà e delle colpe in relazione al patto stabilito. Il suo
simbolo più tragico e commovente non è forse quello del Libro di Osea, dello sposo tradito da una sposa
infedele, e che manifesta in questa prova - perché di una prova si tratta - la
grandezza della sua misericordia, attraverso il perdono che arriva a rinnovare
il cuore della stessa moglie infedele? E c'è forse bisogno di precisare che
questa moglie infedele, è ciascuno di noi?
Hesed perciò esprime la fedeltà ferma, forte, vigorosa con cui viene vissuta una relazione
di affetto, di alleanza tra due persone. Rappresentazione meravigliosa di
questo è la figura del padre, raccontato da Gesù nella parabola del padre misericordioso e dei suoi due figli.
E’ chiaro che tra hesed e rahamim (ambedue presenti nel padre della parabola) c’è correlazione: ti sono
così fedele, che nulla, neanche il tuo peccato, può distogliermi dalla mia
compassione per te. Da quanto detto possiamo dire che nella Bibbia l’amore misericordioso compone in sé
dimensione paterna e dimensione materna (cfr dipinto di Ruben: le
mani del padre).
5 - Cristo: il volto della
misericordia del Padre
Le beatitudini sono
l’autoritratto di Cristo: come ha vissuto Gesú la misericordia? Che cosa ci
dice la sua vita a riguardo di questa beatitudine?
Nella vita di Gesú risplendono entrambe gli
aspetti della misericordia (rahamin e hesed): egli infatti riflette la misericordia di Dio verso i peccatori, e si
impietosisce di fronte a tutte le sofferenze e i bisogni dei poveri.
Chiaro l'aspetto della misericordia nei confronti della sofferenza: di lui
l’evangelista dice: “Ha preso le nostre
infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17). Ma cosa significa
misericordia per i peccatori? Si intendono “i trasgressori deliberati e impenitenti della legge", in altre
parole i delinquenti comuni e i fuori legge del tempo?
Se fosse così, gli avversari di Gesú avevano effettivamente ragione di
scandalizzarsi e di ritenerlo persona irresponsabile e socialmente pericolosa.
Sarebbe come se oggi un sacerdote frequentasse abitualmente mafiosi, camorristi
e criminali in genere, e accettasse i loro inviti a pranzo, con il pretesto di
parlare loro di Dio.
Gesú non nega che
esista il peccato e che esistano i peccatori, non
giustifica le frodi di Zaccheo o l’adulterio della donna. Il fatto di
chiamarli “i malati” lo dimostra.
Quello che Gesú
condanna è di stabilire da sé qual è la vera giustizia, promuovendosi a
"giusti", e considerare tutti gli altri “ladri, ingiusti e adulteri”, negando loro perfino la possibilità di
cambiare. È significativo il modo in cui Luca introduce la parabola del fariseo e
del pubblicano: “Disse ancora questa
parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9). Gesú era
più severo verso coloro che, sprezzanti, condannavano i peccatori, che verso i
peccatori stessi. Egli, sbalorditivamente, come il pastore lascia le
novantanove pecore e va in cerca di quella perduta. La cosa più sorprendente,
annunciata da Gesù, circa la misericordia di Dio, è che egli prova gioia
nell’aver misericordia. La parabola della pecorella smarrita dice che “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore
convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15, 7). La donna
che ha ritrovato la dramma smarrita grida alle amiche: “Rallegratevi con me”. In un suo romanzo, Dostoevskij
descrive un quadretto che ha tutta l’aria di una scena osservata dal vero. Una
donna del popolo tiene in braccio il suo bambino di poche settimane, quando
questi per la prima volta, a detta di lei, le sorride. Tutta compunta, ella si
fa il segno della croce e a chi le chiede il perché di quel gesto risponde: “Ecco, allo stesso modo che una madre è felice quando
nota il primo sorriso del suo bimbo, così si rallegra Iddio ogni volta che un
peccatore si mette in ginocchio e rivolge a lui una preghiera fatta con tutto
il cuore” (L'idiota).
Gesú giustifica la sua condotta
"scandalosa" verso i peccatori dicendo che così agisce il Padre
celeste. Ai suoi oppositori egli ricorda la parola di Dio nei profeti: “Voglio la misericordia e non il sacrificio” (Mt 9,13). Essere
misericordiosi appare così come dicevamo all'inizio un aspetto essenziale dell’essere
“a immagine e somiglianza di Dio”. “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre
vostro” (Lc 6, 36).
6. Una Chiesa “ricca in misericordia”
La Chiesa del Dio “ricco di misericordia”, dives in misericordia, non può allora non
essere essa stessa dives in misericordia.
Dall’atteggiamento di
Cristo verso i peccatori esaminato sopra deduciamo alcuni criteri che valgono
anche per la Chiesa.
- Egli non banalizza il peccato,
ma trova il modo di non alienarsi mai i
peccatori, ma piuttosto di attirarli a sé.
- Non vede in essi
solo quello che sono, ma quello che possono divenire,
se si lasciano raggiungere dalla misericordia divina nel profondo della loro
miseria e disperazione.
- Non aspetta che
vengano da lui; spesso è lui che va a cercarli.
- Gesú è fermo e rigoroso nei
principi, ma sa quando un principio
deve cedere il passo a un principio superiore che è quello della misericordia
di Dio e la salvezza dell’uomo.
Come questi criteri desunti dall’agire di Cristo possano essere applicati
concretamente ai problemi nuovi che si pongono nella società e nel rapporto tra
Chiesa e il mondo dipende dalla paziente ricerca e dal discernimento del
magistero.
E ancora: anche nella vita della
Chiesa, come in quella di Gesú, devono risplendere insieme e la misericordia
delle mani e quella del cuore (rahamin e hesed).
7
– Come si pratica la misericordia?
“Rivestitevi dunque, come amati di Dio,
santi e diletti, di sentimenti [alla lettera: di viscere] di misericordia, di
bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e
perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi
degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi” (Col 3, 12-13).
La misericordia di Dio non è facile né da
accogliere (esige riconoscersi bisognosi di misericordia) e da praticare (il perdono e
l'accoglienza dell'altro è esigente). Di questa fatica il profeta Giona, che
fugge, che è recalcitrante di fronte alla missione, che Dio vuole affidargli è
emblematica: egli sbotterà con Dio dicendo: “Signore, non era forse
questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a
fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento
all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or
dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che
vivere!”. Ma il Signore gli rispose: “Ti sembra giusto essere sdegnato
così?”.
1.
Se la misericordia divina è all’inizio di tutto ed è essa che esige e rende
possibile la misericordia degli uni verso gli altri, allora la cosa più importante per noi è fare
un’esperienza rinnovata della misericordia di Dio.
Lo scrittore Franz Kafka ha scritto un romanzo intitolato Il Processo. In esso si parla di
un uomo che un giorno, senza che nessuno sappia il perché, viene dichiarato in
arresto, pur continuando la sua solita vita e il suo lavoro di modesto
impiegato. Comincia un’estenuante ricerca per conoscere i motivi, il tribunale,
le imputazioni, le procedure. Ma nessuno sa dirgli niente, se non che c’è
veramente un processo in corso a suo carico. Finché un giorno verranno a
prelevarlo per l’esecuzione della sentenza. Nel corso della vicenda si viene a
sapere che vi sarebbero, per quest’uomo, tre possibilità: l’assoluzione vera,
l’assoluzione apparente e il rinvio. L’assoluzione apparente e il rinvio però
non risolverebbero nulla; servirebbero solo a tenere l’imputato in
un’incertezza mortale per tutta la vita. Nell’assoluzione vera invece “gli atti processuali devono essere totalmente
eliminati, scompaiono del tutto dal procedimento; non solo l’accusa, ma anche
il processo e persino la sentenza vengono distrutti, tutto viene distrutto”. Ma di queste
assoluzioni vere, tanto sospirate, non si sa se ne sia esistita mai alcuna; ci
sono solo voci in proposito, null’altro che “bellissime leggende”. L’opera finisce così, come tutte quelle
dell’autore: qualcosa che si intravede da lontano, si rincorre con affanno come
in un incubo notturno, ma senza possibilità alcuna di raggiungerlo.
A Pasqua la liturgia
della Chiesa ci trasmette l’incredibile notizia che l’assoluzione vera esiste
per l’uomo; non è solo una leggenda, una cosa bellissima ma irraggiungibile. Gesù ha
distrutto il “documento scritto
della nostra colpa; lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col 2, 14). Ha
distrutto tutto. “Non c’è più nessuna
condanna per quelli che sono in Cristo Gesù”, grida san Paolo (Rm 8, 1). Nessuna
condanna! Di nessun genere! Per quelli che credono in Cristo Gesù!
Questo dunque il primo passo: chiedere
allo Spirito di poter far esperienza dell'essere stati avvolti dall'amore
misericordioso di Dio, dalla gratuità del suo perdono.
2.
Veniamo al secondo aspetto: noi, a
nostra volta, dobbiamo operare misericordiosamente, a partire dal nostro essere
figli del Padre misericordioso e fratelli, che vivono grazie alla misericordia
del Padre. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,48) … Siate misericordiosi
come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36).
Diventa d’obbligo questa domanda allora: “Che peso gioca nella comprensione che ho di me questo mio essere figlio
di un Dio che è Padre misericordioso? Ha un qualche peso o non ne ha? Ha un
peso piuttosto marginale in quell’angolino ridotto che è la mia vita religiosa
o investe tutta la mia vita, al punto da diventare il criterio primo, sul quale
costruisco le mie relazioni?”. È la lezione del giudizio secondo il
capitolo venticinque di San Matteo: saremo giudicati per la misericordia che
avremo esercitato, più o meno consciamente, nei riguardi di Gesù stesso,
attraverso i nostri fratelli più derelitti, poveri, ammalati, affamati,
assetati, abbandonati.
3.
Nei confronti del peccato e dei peccatori: Popolo di Dio, peccatori
riscattati dalla morte e dalla Resurrezione di Cristo, peccatori perdonati,
chiamati a perdonare per essere perdonati, come diciamo - senza ben
comprenderlo - nel nostro Pater Noster quotidiano: "Perdona le nostre
offese, come noi perdoniamo".... In
questa capacità di perdonare sta l’espressione più alta della misericordia:
misericordia come fedeltà, che non
arretra, ma continua a sussistere anche di fronte al tradimento, al rifiuto e
si traduce in perdono, accoglienza, condivisione della propria vita. Non
era forse San Tommaso a dichiarare che "perdonare gli uomini, essere compassionevoli con loro, è opera
più grande della stessa creazione del mondo"?
Non viviamo in un modo utopico, ma in un mondo reale, segnato da profondi
impedimenti e dalla grazia, dall'aspra lotta tra peccato e virtù. Ci imbattiamo nella durezza degli uomini e
nella loro disperazione. E nell'uno e nell'altro caso ci si chiede di essere
misericordiosi, caritatevoli per gli uomini che soffrono e compassionevoli per
coloro che hanno durezza di cuore. Non è forse questo il paradosso del mondo
moderno: affabile con il peccato e duro con il peccatore? Inversamente,
dobbiamo, secondo l'esempio di Cristo con la donna adultera, condannare il peccato ed amare il peccatore.
Questo è il cuore compassionevole, che anima una volontà ferma, perché esso si
radica in uno spirito retto. Giovanni Paolo II la definisce così nel capitolo
quinto della sua Enciclica Dives in
misericordia: "la misericordia è la
dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome e, al tempo
stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti
della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l'uomo". In altre
parole, noi parliamo dell'amore misericordioso perché esiste, tra amore e
misericordia, uno stretto vincolo di parentela, e tuttavia una differenza, che
è molto reale. Essa si fonda sulla presenza, nel mondo e in mezzo agli uomini,
del peccato. La misericordia è la forma assunta
dall'amore per affrancare l'uomo dal peccato e sottrarlo al male.
4.
Nei confronti delle
povertà e sofferenza dell'uomo. Nella parabola del buon
Samaritano Gesù ci mostra i tratti caratteristici della misericordia.
Primo tratto: vedere, accorgersi:
succede al sacerdote, al levita e al samaritano; ma non basta (il sacerdote e
il levita vedono e vanno oltre: non hanno nessun senso di prossimità).
Secondo tratto: la com-passione.
Questa com-passione è descritta molto bene da papa Ratzinger nel suo “Gesù di
Nazaret”: “Gli si spezza il cuore; il vangelo usa
la parola che in ebraico indicava in origine il grembo materno e la dedizione
materna. Vedere l’uomo in quelle condizioni lo prende «nelle viscere»… In virtù
del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso il
prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo” (pag. 234). Nel
samaritano il vedere genera la compassione intesa nel suo senso etimologico,
come capacità di soffrire insieme, di condividere la sofferenza, come simbiosi
dell’anima. la compassione mi rende vicino al più lontano fratello.
Terzo tratto è l’intervento: una
compassione, che non genera il passo operativo di soccorso, non è misericordia. Si
tratta di un atto di volontà, perché è proprio di un atto di volontà
che si tratta, e non di un mero impulso
emozionale, un atto di volontà che è governato dalla ragione, il quale ci
fa efficacemente detestare la miseria dell'altro e ci conduce ad agire per
liberarlo di questa miseria.
Concludendo
La misericordia appare come il compimento
di quella crescita spirituale alla quale tutti noi siamo chiamati, in Cristo Gesù,
attraverso l'impulso dello Spirito che egli ci ha dato. È così che si crea
l'umanità nuova, in opposizione, come contro corrente, all'umanità peccatrice.
La misericordia ci conduce al cuore
stesso della conversione cristiana, vera metanoia, se paragonata alle mode,
agli usi e ai principi che governano la vita degli uomini. Tale è l'uomo nuovo,
in Gesù Cristo. San Paolo non si stanca di ritornare su queste parènesi soffuse di un alito
liberatore. Ricordiamo il capitolo tre dell'Epistola ai Colossesi che ci esorta
a vivere la nostra nuova vita di battezzati nel Cristo risorto, rigettando gli
atteggiamenti dell'uomo vecchio: "Rivestitevi come eletti di Dio, santi ed amati, di viscera misericordiae,
di bontà, di umiltà, di dolcezza, di pazienza. Sopportatevi a vicenda; e se
qualcuno ha di che lagnarsi di un altro, perdonatevi scambievolmente: come vi
ha perdonato il Signore, così fate voi" (Colossesi 3, 12-13). Così fate
voi, è questo il principio essenziale: siate
imitatori del Cristo, come Cristo stesso è imitatore del Padre delle
misericordie
Confusi tra una pietà
condiscendente, tra il disprezzo e l'odio, tanti uomini del nostro tempo hanno
sete di vera tenerezza, una tenerezza che sia il riflesso e la promessa della
tenerezza di Dio. Non si tratta di convenienza morale o di necessità sociale, ma piuttosto
di esigenza evangelica. Vero monaco, scrive Isacco il Siro, è l'uomo permeato di
misericordia: è questo il criterio ultimo di discernimento per distinguere il
vero dal falso: Che
cos’è un cuore pieno di misericordia? È un cuore che brucia d’amore per la
creazione intera, per gli uomini, gli animali, anche per i demoni e per tutto
ciò che esiste. Un tale uomo non cessa di pregare anche per gli animali, per i
nemici della verità, per quelli che lo perseguitano, affinché questi siano
conservati e purificati. Egli prega anche per i rettili mosso dalla grande
pietà che è versata senza misura nel suo cuore, e attraverso la quale si
assimila a Dio.