Rivestitevi di tenerezza
Lectio di
Col 3,12-15
Scelti da Dio, santi e amati,
rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di
mansuetudine, di magnanimità, 13sopportandovi a vicenda e
perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei
riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14Ma
sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo
perfetto. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad
essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
"Non abbiate paura della tenerezza. Quando i
cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa
fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli
atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti dice: vai avanti, io sono
un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la
capacità di abbracciare e accarezzare". Sono parole di papa Francesco
che vediamo totalmente impegnato nel suo ministero a trasmettere alla Chiesa
l'invito a lasciar sempre più trasparire al mondo la tenerezza di Dio che non è
altro che uno dei molteplici volti della sua misericordia. La tenerezza di Dio
è il suo aspetto materno, accogliente, sempre disposto all'abbraccio del
perdono. E' il bacio, la carezza, che il padre dona al figlio prodigo che mille
volte ritorna dopo i suoi vagabondaggi.
Nella
Sequenza di Pentecoste chiediamo allo Spirito di scaldare in noi ciò che è
gelido e di piegare ciò che è rigido: di renderci teneri. Troppe volte nelle
nostre relazioni siamo gelidi e rigidi e per questo incapaci di trasmettere il
calore della misericordia di Dio. Chiediamolo nella preghiera: "Vieni Santo Spirito Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò ch'è
sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni".
Lectio
Paolo si
rivolge ai membri della comunità di Colossi, tentata di sincretismo e perciò
facile alla divisione; con un forte li richiama a ricordarsi di cosa comporti
essere stati battezzati. Troviamo
anzitutto l'invito a "rivestirsi"
(v.12), verbo che appartiene al linguaggio battesimale, dell'uomo nuovo fatto
ad immagine di Cristo. I battezzati,
attraverso il sacramento, hanno ricevuto in dono la fede e questo è stato per
pura grazia: sono stati "scelti"
per ricevere la dignità di figli di Dio, e di conseguenza sono "santi" in quanto il battesimo li ha
incorporati in Cristo, e questo unicamente perché da sempre essi sono gratuitamente
"amati" (v.12) per pura
iniziativa di Dio. Anche in Ef 2,8
Paolo afferma: "Per grazia infatti
siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio".
Ma di quale
veste bisogna rivestirsi? Nella
lettera ai Romani Paolo usa un' espressione similare: "Rivestitevi invece
del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della
carne" (13,14). Qui Paolo specifica:
"Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di
bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità". Queste sono le virtù che furono di Cristo di cui l'uomo
nuovo rinato nel battesimo deve rivestirsi affinché il sacramento trovi
effettivo riscontro nella vita nuova intrapresa.
Se poco prima, nella stessa lettera,
Paolo elencava cinque vizi che devono scomparire con la morte dell'uomo vecchio
(ira, collera, malignità, calunnia
oscenità: cfr 3,5.8) così ora egli
elenca in contrapposizione cinque nuove virtù ad essi opposte che dal battesimo
scaturiscono: tenerezza, bontà, umiltà,
mansuetudine, magnanimità.
Nel testo si usa il termine di rivestirsi di "sentimenti" (gr. splagkna)
più che virtù: è un termine che evidenzia che gli atteggiamenti richiesti
devono scaturire non tanto dalla volontà, d'altronde sempre necessaria, quanto piuttosto
dalla realtà centrale più profonda del cuore da cui tutti i dinamismi dell'uomo,
mente-affetti-volontà, mossi dallo Spirito scaturiscono. Questi sentimenti sono infatti frutto del dono ricevuto
dello Spirito di Cristo. E' lo Spirito che plasma il cuore del discepolo che ha
accolto la Buona Notizia, rendendolo simile al cuore di Cristo: "Il frutto
dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22;cfr Ef 5,9; Fil
1,11..). Ma essi possono svilupparsi a condizione che il cristiano abbia
sperimentato lui per primo la gratuità dell'amore di Dio, la sua accoglienza,
il suo perdono, la sua tenerezza, la sua pazienza. Tale esperienza personale diviene
così, quasi naturalmente, parametro del tipo di rapporto che egli deve
instaurare con il proprio fratello.
Al
primo posto è nominata la tenerezza (oiktìrmou), al secondo la bontà (crestòteta);
segue l’umiltà (tapeinophrosunen; cfr Fil 2,3-4), poi la mansuetudine (praùtheta; cfr
Gal 6,1) e infine la magnanimità (makrothymìan; cfr 1,11). Il loro denominatore
comune, se così vogliamo esprimerci, è da ricercarsi nella rinuncia a voler predominare
sugli altri, ad avere pretese, a volersi imporre e autoaffermarsi con la forza
e la violenza (ira, collera, malignità,
calunnia…). Al contrario viene indicata la via opposta dell'accoglienza calorosa
dell'altro, della disponibilità al servizio, dell'assenza di giudizio malevolo,
della pazienza benevola capace di perdono e tenerezza.
Il
testo offre un riscontro concreto per verificare se questi sentimenti sono vissuti
o no nella comunità: esso consiste nella disponibilità a perdonarsi
vicendevolmente "come il Signore vi
ha perdonato" (v.13; cfr Mt 6,12). La maturità spirituale della
comunità dei discepoli di Gesù sta proprio in questa verifica.
A
questo punto Paolo offre una sintesi: "sopra
tutte queste cose rivestitevi della carità" (v.14). Questa per Paolo è la virtù fondamentale in cui e da cui confluiscono e
scaturiscono tutte le altre virtù precedentemente elencate. La carità - l'agape - viene descritta come una sorta di legante in
grado di sorreggere l'esercizio di tutte le virtù del cristiano (che le unisce in modo perfetto). Non per
nulla nell'Inno della carità in 1Cor 13,2 Paolo scrive a più riprese che pur
esercitando grandi virtù "se non avessi la carità, non sarei nulla".
L’esortazione
si conclude con un augurio di "pace"
ma non di una pace generica: essa deve essere "la pace di Cristo"
(v.15) ovvero frutto del suo sacrificio.
In Ef
2,14 troviamo una espressione simile: "Egli (Cristo) è la nostra pace". La
pace di Cristo è la sua stessa presenza nella comunità. Il battesimo ha
introdotto i credenti nello spazio di pace che è la Chiesa popolo di
riconciliati dall'amore e dalla misericordia di Dio. Nella Chiesa sposa "regna" il Signore portatore di pace
(v.15; cfr 1,12-13) e questo deve suscitare ovviamente nei cuori di tutti il "rendimento di grazie" (cfr v.15).
Collatio
In una
conferenza Jean Vanier, fondatore dell'Arca, ebbe a dire: " Viviamo in una società competitiva. In
questa società c’è qualcuno che vince, che si sente in alto e poi una massa di
persone che perdono, che hanno fame, che non hanno lavoro, che sono ferite, che
sono emarginate, sia che siano gli emarginati della nostra società, sia che
siano quelli del mondo intero… Progressivamente ho scoperto che Gesù voleva un'
altra cosa: non voleva creare un mondo competitivo, come in una gerarchia
piramidale. Voleva creare un corpo. Io credo che il Signore voglia che proviamo
a creare comunità là dove siamo, attraverso un atteggiamento di bontà, di
comprensione, di apertura alle persone che ci sono accanto. Questo richiede che
noi troviamo questa forza all'interno, perché io non sia più questo uomo efficace
che marcia sui deboli ma al contrario divenga un uomo che si preoccupa degli
altri". Oggi, in un mondo sempre più cinico e indifferente, la Chiesa
ha il compito urgente di offrire al mondo la testimonianza di comunità in cui
si viva l'attenzione che si fa accoglienza e cura dell'altro. Papa Francesco
nel messaggio per la Giornata della Pace di quest'anno denunciava questa
cultura dell'indifferenza: "Certo è
che l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere
in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo
circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui, caratterizza
una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca della storia.
Tuttavia, ai nostri giorni esso ha superato decisamente l’ambito individuale
per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della
“globalizzazione dell’indifferenza"". Vi è perciò necessità che
le nostre comunità religiose non siano luoghi della competizione e
dell'indifferenza. Vi è bisogno di offrire al contrario spazi di tenerezza, di
cura dell'altro in tutti i suoi aspetti, luoghi che facciano pregustare la
bellezza e il calore del Regno di Dio annunciato da Gesù che "non voleva
un mondo competitivo".
Il brano
biblico ci ha richiamato ad una rinnovata consapevolezza di essere stati
scelti, santificati e amati gratuitamente realtà tutte da cui scaturisce la
necessità di rivestirci dei sentimenti di Cristo: la sua misericordia, la sua benevolenza,
la sua umiltà, la sua mansuetudine e pazienza.
Avere “sentimenti
di misericordia” - di "tenerezza"
- significa possedere la virtù dell'empatia, ovvero la capacità di una sincera com-passione per l'altro. Significa che
non gli passeremo accanto voltandoci dall'altra parte come fecero il sacerdote
e il levita della parabola. Accetteremo al contrario di entrare in relazione,
di patire-con (cum-patere) l'altro,
non stendendo, compiaciuti del nostro gesto, la mano dall'alto in basso ma nel
farci suo compagno di viaggio, standogli accanto nella sua situazione, magari caricandolo
sulle nostre spalle come vediamo raffigurato nel logo del Giubileo. Ci
domandiamo: abbiamo questa capacità e disponibilità nelle nostre comunità? Dove
e come si manifesta? Prendiamo a cuore i problemi, le sofferenze di coloro che
incontriamo o pensiamo sempre e unicamente a noi stessi, ai nostri problemi
quasi fossero i più gravi e urgenti da risolvere e di fronte ai quali tutto
passa in secondo piano o addirittura non viene preso in considerazione?
La “bontà”
è la "gentilezza" che permette una convivenza serena, gioiosa,
attenta. Abbiamo infinite occasioni ogni giorno per esprimere questa virtù
tenera e signorile per cui l'altro incontrandoci si sente a suo agio, accolto,
riconosciuto, stimato. O forse siamo spigolosi, acidi, frettolosi, sgarbati con
chi incontriamo. Le nostre parole e gesti appaiono di pura convenienza o trasmettono
calore, interesse, reale coinvolgimento? In una comunità, in una famiglia,
sappiamo dirci l'un l'altro, come insegna papa Francesco: "permesso, grazie, scusa"? Sono modi
concreti di vivere la "bontà".
L’ “umiltà”
è la rinuncia a volerci imporre, a voler prevaricare e dominare sull'altro, usandolo
per i nostri interessi. Essa non consiste nel metterci "sotto"
disistimandoci, quanto piuttosto è la capacità di stare esattamente al nostro
posto, lì dove è richiesto il nostro servizio fatto con amore, dedizione,
generosità, in modo non competitivo. E' la rinuncia alle immagini idealizzate
di noi stessi sempre tese a volerci mettere in mostra, a voler essere il centro
attorno al quale tutto e tutti devono gravitare. E' la virtù che ci dona di imitare
Cristo il quale, pur essendo Dio, "umiliò
se stesso divenendo in tutto simile a noi" (cfr Fil 6,11).
La “mansuetudine”
è la capacità di subire torti e offese piuttosto che infliggerli, è non lasciare
che ira, invidia o amarezza prendano possesso del nostro cuore avvelenandolo. La
contemplazione di Cristo nella sua passione è stimolo forte a far nostra la sua
straordinaria mansuetudine. Essa non è certamente virtù dei deboli perché esige
al contrario molta forza interiore, equilibrio, energia per poter vincere i
moti istintivi della vendetta e del rancore di cui a volte siamo vittime
nonostante mille propositi. Credo che la mansuetudine sia frutto di anni e anni
di autentica vita spirituale tesa ad imparare a riconoscere e gestire tutto
quel tumulto di passioni contrastanti che abitano il nostro cuore. Siamo vigili
nell'estromettere dal cuore i sentimenti di rancore, vendetta, astio nei
confronti di chi crediamo ci abbia fatto torto? Oppure li coltiviamo magari da
anni? Non è raro che questo capiti anche nei nostri ambienti religiosi.
Infine ci
viene indicata la virtù della "pazienza".
Spesso siamo impazienti con noi stessi e con gli altri, talvolta anche con Dio.
Pretendiamo subito i risultati sperati, non accettiamo dilazioni, puntiamo i
piedi come bambini capricciosi. Diveniamo così esigenti, intolleranti e forse
anche violenti nei confronti degli altri. Dio non agisce così con noi: è
paziente, longanime nei confronti dell'umanità e di ciascuno di noi: "Ma tu, nostro Dio, sei buono e veritiero,sei
paziente e tutto governi secondo
misericordia" (Sap 15,1). Il Signore è capace di pazienza verso di noi
sino all'ultimo istante, non pretende ma attende. Chiediamo di far nostra la
pazienza stessa di Dio: essa è espressione di misericordia.
Tutte queste
virtù non sono solo "belle virtù edificanti" a aspirare anime
particolarmente devote, ma atteggiamenti indispensabili a cui tendere da parte
di tutti al fine di poterci dire autentici discepoli del Signore. Se siamo
chiamati a seguire le orme di Cristo non è facoltativo tendere con tutte le
nostre forze a "rivestirci" dei sui "sentimenti". Dobbiamo
tendere con tutte le forze a far nostri i "sentimenti di Cristo", ma
dobbiamo fare attenzione: provare a mettere in pratica quanto ci viene richiesto
da Paolo nei versetti 12 e 13, senza il presupposto del calore e dell'energia
dell'agape non sarebbe altro che esercizio
ascetico di stampo legalistico. Riusciremmo forse ad indossare queste
caratteristiche per un po’ di tempo, ma questo finirebbe con l’irritarci
talmente la pelle, che non vorremmo fare altro se non sbarazzarcene
immediatamente. Non per nulla Paolo sottolinea: "Rivestitevi dell'amore che è il vincolo della perfezione" (v. 14).
Questo significa che la sorgente per far nostri i sentimenti di Cristo è
attingere alla fonte del suo amore che è il suo mistero pasquale. Qui sta il “il
vincolo della perfezione” da cui tutta la vita del cristiano scaturisce.
Se ci
radichiamo nell'amore di Cristo allora è possibile costruire comunità in cui
tenerezza, bontà, umiltà, misericordia e pazienza saranno presenti e vissute.
Lo stesso amore ci unirà in perfetta unità - “Chiamati per essere un solo
corpo” - da cui scaturirà il dono della "pace di Cristo".
E allora
lasciamo che la parola ci giudichi: chi ci accosta che clima avverte nella mia
comunità, nella mia famiglia, nella mia parrocchia? Percepisce relazioni
costruite sulla tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, servizio
vicendevole? Oppure si trova con grande disagio in contesti gelidi, di
giudizio, di tensioni, di insofferenze reciproche, di mutismi? Attenzione non ne
va solo della pratica personale delle virtù ma della credibilità stessa del
Vangelo offerta dalla nostra testimonianza. Il che non è poco.
Oratio
Terminiamo la nostra lectio con un brano del monaco siriaco Giacomo di
Sarug (451-521).
Egli fu teologo e poeta denominato “Flauto dello Spirito”. Fu vescovo
dell'attuale città turca di Suruç. Con le sue parole da cui traspare una grande
esperienza spirituale chiediamo che il nostro cuore si rivesta sempre più di
tenerezza e che in esso la fiamma dell'amore non si spenga mai:
"L’amore ama quelli che sono vicini, ama
quelli che sono lontani.
L’amore non può detestare neppure colui che
lo detesta.
L’amore tiene sempre lo sguardo fisso sul
Signore,
che ha sopportato la croce per noi.
Tu che vai in collera, vieni, fa’ la pace con
colui che detesti.
Se la collera resta in te, corrompe il cuore.
Per questo tu dici: ”La vostra collera non
deve durare dopo il tramonto del sole”.
Finché sei sveglio, allontana i sentimenti
malvagi,
metti amore nel tuo cuore e l’amore produrrà
i sogni di Dio.
Fin dalla sera, rappacifica il tuo spirito e
dormirai bene tutta la notte.
Quando il sole tramonta, l’amore si levi nel
tuo cuore.
La luce dell’amore è più forte della notte e
tu non sarai nell’oscurità.
Se il tuo nemico ti fa del male, che cosa
devi fare?
Ecco: amalo, sii nell’amore più forte di lui,
perché se tu detesti il nemico, è lui che
sarà più forte di te".
Attilio Franco Fabris
Monastero di
Sant'Andrea
Abbazia di Borzone
16041 Borzonasca - Ge
www.abbaziaborzone.it