Occorre pregare sempre,
senza stancarsi mai: Dio ascolterà
Diceva loro
una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2"In una città viveva un giudice, che non
temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In
quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva:
"Fammi giustizia contro il mio avversario". 4Per
un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo
Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che
questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga
continuamente a importunarmi"". 6E il
Signore soggiunse: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che
gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma
il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
Nei "Racconti di un pellegrino russo" il
protagonista, assetato di preghiera dice: «Cercai
nella mia Bibbia e anche lì trovai scritto che occorre pregare incessantemente,
pregare in ogni istante con lo spirito e levare le mani in preghiera in ogni
luogo…» . Anche gli antichi monaci non prendevano questo monito
come una devota esortazione, ma come un comandamento del Signore: «Non ci è stato prescritto – afferma
Evagrio Pontico – di lavorare, vegliare,
digiunare sempre; mentre ci è stata data la legge di pregare incessantemente».
Nei monasteri romeni spesso viene recitato ancora oggi il «salterio perpetuo»,
pratica che consiste nel fatto che in chiesa vi è sempre un monaco incaricato
di recitare i salmi, nei tempi liberi dagli altri impegni. Si tentarono nelle
diverse tradizioni spirituali diverse strade, talvolta fuorvianti, per
ottemperare a questa richiesta contenuta nella Scrittura. In ogni caso ciò
testimonia come la preghiera fosse ritenuta essenziale per la vita del
credente.
Tuttavia, tutti
questi sforzi, anche se lodevoli, non soddisfano il testo di san Paolo che
suppone che ogni cristiano, e non solo la comunità, preghi senza interruzione. La
soluzione classica al problema la possiamo leggere in Origene: «Prega sempre colui che unisce la preghiera
alle opere che deve fare, e le opere alla preghiera. Soltanto così possiamo
considerare realizzabile il precetto di pregare incessantemente». In questo
senso, tutta la vita del cristiano può essere considerata una grande preghiera,
di cui ciò che abbiamo l’abitudine di chiamare preghiera è soltanto una parte.
Pregare è il
respiro dell'anima; e come il corpo se non respira sempre muore, così è della
vita spirituale: senza preghiera muore. Pregare sempre è vitale, non è un
"optional" riservato a
qualche anima particolarmente devota.
Chiediamo anche noi
la grazia di sentire l'urgenza della preghiera, di riconoscere la sua importanza
fondamentale, e soprattutto chiediamo allo Spirito di insegnarci a "pregare sempre senza stancarci mai".
"O
Cristo Gesù, una volta i tuoi apostoli vennero a te domandando: “Signore,
insegnaci a pregare”. Perciò ti diciamo anche noi: “Signore, insegnaci a
pregare”. Insegnaci a comprendere che senza la preghiera il mio intimo
inaridisce e la mia vita perde consistenza e forza. Rimuovi da me le
chiacchiere degli avvenimenti e delle necessità, dietro le quali si nascondono
pigrizia e rivolta. Dammi serietà e salda decisione e aiutami, con l’obbedienza
e l’abnegazione, a imparare ciò che è indispensabile per la salvezza. Guidami
alla tua santa presenza. Insegnami a parlarti nella serietà della verità e
nell’intimità dell’amore. Amen. (Romano
Guardini, Preghiere teologiche).
Lectio
"Diceva loro una parabola sulla necessità di
pregare sempre, senza stancarsi mai" (v.1).
Immediatamente prima di questo versetto troviamo la cosiddetta "piccola
apocalisse" in cui Gesù annuncia il suo ritorno alla fine dei tempi
portando così a compimento il disegno del Padre. Ora qui egli ricorda, proprio
in vista di questo tempo di attesa, la necessità di non desistere dalla
preghiera di modo ché il cuore rimanga sempre vigile.
Ricordiamo come la raccomandazione di "pregare senza stancarsi" è una
costante soprattutto nel vangelo di Luca, negli Atti come anche molte volte nel
resto del Nuovo Testamento. Il testo sottolinea la "necessità" della preghiera. In greco viene utilizzata la
parola "dein" che nel nuovo
testamento è quasi sempre posta in relazione alla passione colta come passaggio
obbligato per il compimento della missione del Messia. Usandola qui si ricorda
alla comunità che la preghiera è un momento indispensabile per chi desidera
seguire fedelmente i passi del Maestro senza disertare dalla croce.
Si accenna poi alla preghiera vissuta “senza stancarsi”. Qui Luca riporta una
espressione tipicamente paolina: "mē
enkakéin" che significa “senza
lasciar cadere le braccia, senza scoraggiarsi”. Sembra qui che il testo ci
rimandi alle braccia alzate di Mosè che intercedeva per la salvezza del popolo
impegnato in battaglia. Nel linguaggio paolino con tale espressione non si fa dunque
tanto riferimento alla stanchezza fisica, quanto all'abbandono delle armi da
parte di un soldato durante il combattimento, il disertare il campo in preda
allo scoraggiamento e alla paura.
In effetti la nostra parabola non punta solo sulla
necessità della preghiera, quanto sulla certezza in Dio che, nonostante il
ritardo, farà alla fine certamente giustizia ai suoi fedeli.
vv. 2-3: In una
città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In
quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva:
"Fammi giustizia contro il mio avversario". Qui vengono
delineate le caratteristiche dei due protagonisti della parabola: un giudice e
una vedova.
Il giudice è descritto in modo conciso come la figura tipica dell’empio, che "non
teme Dio" e "non si cura del suo prossimo".
Anche la vedova viene descritta in modo essenziale.
Nella Scrittura le vedove, insieme agli orfani, rappresentano la categoria indifesa
dei "poveri di JHWH", esposta all’oppressione degli sfruttatori e dei
prepotenti (cfr. Es 22,21-23; Is 1,17.23; 9,16; Ger 7,6; 22,3). Tuttavia la
nostra vedova pur appartenendo a questa categoria, non è disposta a subire il
sopruso di cui è vittima, perciò si rivolge al giudice per avere giustizia.
vv. 4-5: Per un po'
di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non
ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò
giustizia perché non venga continuamente a importunarmi". Il giudice non
vorrebbe interessarsi del caso presentatogli dalla vedova. Per lui è totalmente
insignificante e quindi rimanda a tempo indeterminato il suo intervento. Il
giudice appare come una persona cinica alla quale interessa soltanto il proprio
interesse e non i bisogni delle persone.
Ma la donna non si rassegna e fa ricorso
all’unica sua possibilità, ovvero l’insistenza. All’insistenza della donna il
giudice cambia pensiero. L’evangelista usa qui il termine “importunarmi”, letteralmente è “a
farmi un occhio nero”. Non significa tanto che questa vedova desideri
colpire con un pugno il giudice, ma era un’espressione che significava “danneggiare la reputazione”. Quindi alla
fine il giudice, se non altro per liberarsi dalla molestia, cede e le fa
giustizia (ekdikeô): ciò che prevale
in lui non è il senso del dovere, ma il desiderio di non essere più
importunato.
vv. 6-7: E il
Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà
forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li
farà forse aspettare a lungo? Gesù a questo punto offre l'interpretazione della parabola. Questa lettura è data
dalla domanda che egli pone: «Ma Dio non
farà giustizia per i suoi eletti che gridano a lui giorno e notte?». L'accento non è
posto sull'insistenza della vedova, ma sulla figura del giudice. Se un
giudice ingiusto per motivi egoistici acconsente alle richieste insistenti di
una vedova, quanto più Dio, che è padre buono, ascolterà le grida di
implorazione dei suoi eletti. Basandosi sul metodo rabbinico chiamato "qal wahomer" (ragionamento a
fortiori), egli afferma che, se un giudice empio, alla fine si decide a fare
giustizia alla vedova, a maggior ragione Dio farà farà giustizia per i suoi
eletti, dal momento che è Padre.
L’espressione «fare giustizia (ekdikêsin)», usata sia per il giudice
che per Dio, significa difendere i diritti di una persona, darle ragione,
garantirle quello che le spetta. Per gli eletti ciò significa a certezza che Dio
interverrà in loro difesa mettendosi dalla loro parte: questo è il punto
saliente della parabola.
Ma Gesù aggiunge ancora una domanda: «E
tarderà nei loro riguardi?». Da questo interrogativo sembrerebbe che il
tempo dell’attesa sarà breve: Dio farà presto giustizia agli eletti che gridano
a lui. Ma questo non è in sintonia con quanto Luca più volte ripete nel suo
vangelo, e cioè che la venuta finale del regno di Dio non è imminente. Perciò sembra
più corretto interpretare queste parole non come una domanda, ma piuttosto come
una frase concessiva: «Anche se egli ha
pazienza (makrothymei) con loro». In altre parole: Gesù esorta la sua
comunità a non spaventarsi per il fatto che Dio tarda a intervenire. Al momento
opportuno, che solo lui conosce, certamente interverrà.
v. 8: Io vi dico che farà loro
giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede
sulla terra?. Questa ulteriore domanda fa sì che la comunità si
interroghi se vive in un'incessante e fiduciosa pazienza, certa che Dio
risponderà anche se tarda. Perciò Gesù conclude
rassicurando i suoi discepoli: «Dio farà
giustizia con celerità (en tachei)», che bisognerebbe però tradurre meglio con «improvvisamente».
Dio, dopo aver lungamente pazientato, interverrà quando meno gli uomini se lo
aspettano e farà giustizia ai suoi eletti.
La parte finale del v. 8 chiude con una
domanda che è una aggiunta posteriore che ha lo scopo di sollecitare la
perseveranza nella fede. Il ritardo della risposta da parte di Dio alla
preghiera può portare ad un raffreddamento della fede. È necessario avere molta
fede per continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di non vedere subito
il risultato. Perciò i discepoli devono mantenere un atteggiamento di
vigilanza, perché Gesù al suo ritorno non li trovi impreparati.
Meditatio
S. Paolo afferma: "State sempre lieti, pregate incessantemente,
in ogni cosa rendete grazie"; "pregate senza mai smettere con ogni sorta di preghiera e di suppliche
nello spirito"; "perseverate
nella preghiera e vegliate in essa", "giorno e notte" (1Tess.
5,16 ss.; Ef. 6,18; Col. 4,2; 1Tim. 5,5). Ma come faremo a stare sempre
in preghiera? Credo che la risposta si trovi nel cercare di mantenere l’orientamento
permanente dell’anima verso Dio.
Spesso si sente dire che il lavoro, la
sofferenza e l’attività umana sono già preghiera; lo possono diventare ma non automaticamente.
Lo diventano solamente se il cristiano ha intrapreso un serio cammino di
orazione, se ha imparato ad unire la sua volontà alla volontà di Dio, se vive e
agisce all'ombra dell’amore di Dio. Solo
allora possiamo far nostre le parole di Paolo: "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi
altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" (1Cor 10,31). In questo modo la nostra preghiera permeerà la vita
poiché si estenderà ad ogni istante della nostra esistenza. S. Girolamo descrive una bellissima
scena che dovrebbe realizzarsi in tutti i nostri luoghi di lavoro: "In questo luogo di Cristo dove dimoro (parla
di Betlemme) tutto è semplicità, tutto è
silenzio, fuorché il canto dei Salmi. Dovunque ti volgi, il contadino che ara,
tenendo l’aratro, canta l’alleluia; il mietitore che suda si esprime con i
salmi; il vignaiuolo che pota la vite, canta qualche strofa di Davide. Questi
sono i canti della campagna; queste, come suol dirsi, le canzoni di amore,
questo il fischio dei pastori, queste le armi dell’agricoltura".
Ma cosa significa pregare sempre, senza
stancarsi mai? Che cosa dobbiamo chiedere di così importante?
Secondo le stesse parole di Gesù, una cosa
sola: lo Spirito Santo. Nel passo della vedova che importuna il giudice
disonesto (cfr. Lc 18,1-8) Gesù pronuncia una frase che suona contraddittoria:
come può dire che Dio esaudisce prontamente quando ha appena ricordato che i
suoi eletti debbono bussare giorno e notte nella speranza di essere un giorno esauditi?
La risposta va cercata in un altro passo: “Se
dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”
(Lc 11, 13). Dio esaudisce prontamente ogni richiesta di Spirito Santo, vale a
dire l'anelito del cuore che non si accontenta delle cose che provengono da
Dio, ma che cerca proprio Dio, l'incontro, l'intimità con Lui. Allora, per le
cose di cui abbiamo bisogno vivremo nella fiducia che Dio disporrà ogni cosa
per il nostro bene: "Cercate
piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta" (Lc
12,31). Così la preghiera diviene, come per la vedova importuna, la palestra
dell'addestramento all'arte dell'apprendere l'abbandono in Dio, del dare
credito al suo amore e cercare di stare con Lui, non di avere solo i suoi doni.
Se la preghiera è questo, allora non c'è preghiera che non venga esaudita. Dio
cerca adoratori "in spirito e verità" (Gv 4), non semplicemente
'consumatori', 'utenti', 'fruitori', 'clienti', termini che ben si addicono a
quanti ricercano, usando le parole di san Francesco di Sales, "le consolazioni di Dio e non il Dio delle
consolazioni".
Per noi che viviamo un'umanità senza
profondità e senza intimità, che abbiamo paura di mostrarci in verità, che
siamo prigionieri di un timore che portiamo latente dentro di noi, timore che
ci chiude in un certo disprezzo di noi stessi, nella diffidenza verso gli altri
e, per contrapposizione, come forma di autodifesa, nell'arroganza e
nell'aggressività, cosa significa cercare lo Spirito Santo? Almeno tre cose.
La prima è che la preghiera non è anzitutto questione
di concentrazione o di tecniche meditative. E’ invece un progressivo scendere
nel cuore dove si irradia la grazia del Signore vivente; dove scopriamo che il nostro
essere è creato ad immagine del Figlio. Dinanzi a questa scoperta il cuore si
allarga alla fiducia e alla gioia.
La seconda cosa è che lo Spirito abbraccia
tutta la nostra vita e con essa tutta la banda dei nostri sentimenti. Nella
preghiera temiamo di lasciare spazio ad essi, ne usiamo alcuni ma la maggior
parte di essi non ne sono coinvolti. Alla scuola della vedova della parola e dei
salmi al contrario constatiamo come essi divengano l'espressione di una umanità
che grida, impreca, implora, ringrazia, loda. In un contesto di fiducia, tutta
la gamma dei nostri sentimenti deve passare nella preghiera, senza timore,
perché tutto il cuore, in sincerità, stia aperto davanti a Dio. Purtroppo la
nostra preghiera priva di essi diventa solo un esercizio cerebrale. Quello che
mi sembra manchi al nostro desiderio di esperienza spirituale è il fatto che
non parte sinceramente dal cuore, ma piuttosto dalla testa.
Un terzo aspetto è che la preghiera autentica
deve diventare il luogo dell'incontro con l'Altro, della sua accoglienza nella
mia vita. Se non ci apriamo a questa dimensione tutto e tutti (compreso Dio)
sono in funzione di me, mi servo di essi per affermare me stesso, in una
pretesa solitudine autosufficiente. Ma noi siamo stati creati per la relazione,
la comunione, per l'incontro d'amore con l'altro, anzitutto con Dio. Ora la
preghiera è il luogo che svela al nostro cuore l' esigenza assoluta di essere
in relazione. Essa ci accompagna lungo la via per realizzare questa vocazione
fondamentale, perché fa cadere ogni pretesa di egoismo o autosufficienza, di
fronte a Colui che ci chiama a partecipare alla sua beatitudine dell'amore.
Guardando poi all'insegnamento sulla
preghiera presente nella Scrittura mi sembrano emergano alcuni atteggiamenti
essenziali.
Anzitutto che la preghiera non sboccia in
conseguenza della capacità di usare un metodo più o meno appropriato, ma
unicamente in conseguenza della capacità di essere obbedienti ed umili, i due
segni di riconoscimento del pentimento. La povera vedova non si preoccupa del
metodo da adottare ma con umiltà e costanza fa presente la sua condizione
secondo verità. La concentrazione necessaria alla preghiera non deriva tanto dallo
sforzo di introspezione psicologica o di attenzione mentale, ma dalla intensità
del nostro pentimento, dal lucido riconoscimento del nostro essere poveri e bisognosi.
Talvolta non siamo sinceri davanti a Dio (ancor meno davanti agli altri e
spesso davanti a noi stessi). Dove non c'è sincerità non c'è intimità e dove
manca intimità l'incontro è freddo e banale. Imparare ad essere sinceri, fino
in fondo, senza barare, è la credenziale migliore alla porta del cielo.
Per imparare a pregare è poi necessario
disporsi alla lotta spirituale, alla lotta contro ogni tipo di ‘pensiero’ che
mira a possedere il nostro cuore alienandolo. La vedova "lotta" con
il giudice, non si distrae dalla sua supplica. Diversamente da quanto ci si
immagina, la preghiera, per diventare spontanea e forte, deve prima essere
tenace. Non è così facile pazientare con il proprio cuore, accettare i suoi
tempi, accettare i tempi di Dio, in tutta pace. Questo esige una
"lotta" contro la tentazione di desistere, del lasciar perdere non
vedendo subito i risultati, nel sospetto che la preghiera incessante sia alla
fin fine inutile. Vediamo in tutto questo che non è così agevole entrare nel
proprio cuore per poterlo offrire fiduciosamente, tutto, a Dio certi del suo
soccorso. Scrive san Giovanni Climaco nella sua "Scala": Non ci stanchiamo di pregare il Signore, noi
tutti che siamo ancora in balia delle passioni: per questa via dell’orazione
passarono tutti coloro che dalla passionalità giunsero all’impassibilità.
Quando è parecchio tempo che preghi non dire: non ho guadagnato nulla! Perché
hai guadagnato abbastanza: qual dono più sublime che aderire al signore e
perseverare con lui in questa adesione continuamente?... L’amore del soldato
verso il re lo mostra il tempo della guerra: l’amore del monaco verso Dio lo
prova il tempo dell’orazione e il rimanere alla sua presenza. La tua orazione
ti rivelerà il tuo stato: essa è chiamata dai teologi lo specchio del monaco…
Chi possiede il Signore non si prefigge più determinate formule nella sua
orazione perché allora c’è lo Spirito in lui che intercede per lui con gemiti
inenarrabili.
Oratio
Prega con coraggio
perché gli ostacoli non mancheranno,
a partire dal
diavolo,
avversario della tua
preghiera che,
come leone ruggente,
si aggira cercando
chi divorare,
fino alle mille
sollecitazioni
che ti vengono dall’esterno
e alla pigrizia innata che ti invade.
Ricordati della
promessa del profeta:
“Coraggio, figli miei,
pregate Dio:
egli vi strapperà
alla violenza
e alla mano dei vostri nemici”.
Al termine di questa
ricerca,
troverai la pace.
(Libro di vita delle Fraternità Monastiche di
Gerusalemme)
Attilio Franco Fabris
Monastero di Sant'Andrea
Abbazia di Borzone
16041 Borzonasca - Ge
www.abbaziaborzone.it