Caino e Abele:
ovvero il conflitto irrisolto
lectio di Gen.
4,1-16
1Adamo
conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: "Ho
acquistato un uomo grazie al Signore". 2Poi
partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre
Caino era lavoratore del suolo.3Trascorso del
tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, 4mentre
Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il
Signore gradì Abele e la sua offerta, 5ma non
gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era
abbattuto. 6Il Signore disse allora a Caino:
"Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7Se
agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato
è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo
dominerai".8Caino parlò al fratello Abele.
Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo
uccise. 9Allora il Signore disse a Caino:
"Dov'è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono
forse io il custode di mio fratello?". 10Riprese:
"Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha
aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. 12Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più
i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra". 13Disse
Caino al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. 14Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò
nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque
mi incontrerà mi ucciderà".
Riandiamo,
come abbiamo fatto altre volte, alla sapienza delle parole racchiusa nella loro
etimologia sempre ricca e stimolante in quanto ci aiuta a penetrare la scorza
talvolta scontata del loro semplice e banale utilizzo. "Conflitto" deriva
da un verbo composto latino "cum
(insieme)-fligere (urtare)",
ovvero "cozzare insieme", "scontrarsi". La parola indica due forze o realtà che si
contrappongono violentemente con l'intento da entrambe le parti di eliminare
l'altra. Ora la parola conflitto è più che
altro usata nell'ambito del linguaggio
sociale o giuridico, oppure in ambito psicoanalitico. Umberto Galimberti ad esempio scrive : "L’ira è un sentimento mentale ed emotivo di
conflitto con il mondo esterno o con se stessi che controlliamo poco e
maneggiamo peggio perché, in preda all’ira, non siamo più padroni delle nostre
azioni" (I vizi capitali e i nuovi vizi). E' difficile gestire, o
addirittura "accarezzare" come dice papa Francesco, il conflitto. Non
sappiamo "maneggiarlo" con... cura. Il più delle volte ci sfugge di
mano causando ferite talvolta insanabili nelle nostre relazioni. Quando questo
accade la vita diventa faticosa perché vogliamo trasportare il peso
spropositato del nostro io gonfiato che vuole ad ogni costo avere la rivalsa e
la supremazia, uccidendo anche se non fisicamente, tutto e su tutti. Ma Dio ci
ha creati per la comunione. E' questo il nostro destino. Convivere col
conflitto è pretendere di vivere al di fuori di tale destino, e quindi si è
destinati alla non realizzazione di noi stessi.
Cosa ci dice
la Parola di Dio riguardo a tutto questo? Come lo descrive? Dove ne colloca
l'origine? E soprattutto quali strade indica per risolverlo? Ascolteremo il
brano che nella genesi parla del "conflitto originale", falsariga su
cui si costruiscono anche i nostri stessi conflitti.
Ma chiediamo
anzitutto il dono dello Spirito d'amore prima i porci in ascolto della Parola:
Vieni in noi, Spirito di comunione, che
costruisci la tua Chiesa come un prezioso tessuto in cui ogni filo trova la sua
perfetta collocazione in vista di quel disegno misterioso e straordinario che è
nel cuore di Dio. Donaci di poterci consegnare gli uni agli altri nella
fiducia, nella gioia che, insieme con te, stiamo costruendo il Regno. Vieni,
Spirito di comunione, abbattendo in noi tutte quelle barriere fatte di paura,
presunzione, interessi, rivendicazioni, gelosie, che ci impediscono di
abbracciare nella pace il fratello, la sorella che ci vive accanto. Che nessuno
viva per se stesso, ma che la vita divenga disponibilità ad entrare in quel
mosaico a cui tu, da tutta l’eternità, pazientemente stai lavorando.
Lectio
Il testo che
abbiamo letto e commentato appartiene al genere letterario detto "mitico".
Questo genere letterario è la descrizione di una dinamica che è valida per
tutti e per sempre; si dice ‘mitologica’ un’esperienza talmente comune che la
si può raccontare e riassumere in una sola storia.
Con il
racconto della discordia tra Caino e Abele che degenera in assassinio siamo
alla seconda parabola, alla seconda porta, attraverso cui il peccato entra nel
mondo. La prima porta è il sospetto da parte di Adamo ed Eva della gelosia di
Dio e il voler essere "dio" eliminando Dio. La terza porta sarà la
presunzione di creare una torre-città frutto dell'ingegno e della tecnica che
possa competere con l'onnipotenza e la sapienza di Dio. Caino ed Abele sono il prototipo della
fraternità distrutta. E nella scrittura i fratelli entreranno sempre in conflitto violento
fortunatamente con esiti diversi (Giacobbe e Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli,
ecc...).
Veniamo al nostro
testo.
"Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e
partorì Caino e disse: "Ho acquistato un uomo grazie al Signore" (v.1).
Colpisce l’uso del verbo acquistare: in ebraico ‘Caino’ e ‘acquistare’
hanno più o meno la stessa radice (qanah). Ma il
fatto che Eva usi proprio questo termine come se ci fosse una sorta di compravendita
tra lei e Dio che significa? Probabilmente che dopo il peccato ogni vita non è
più percepita dome dono. Ma perché le nostre vite sarebbero da pagare? Dopo il
peccato la relazione tra i progenitori tra loro e di loro nei confronti di Dio
è stata gravemente intaccata dal sospetto cosicché la relazione tra l'uomo e la
donna e di entrambi nei confronti di Dio degenera di una sorta di isolamento.
Che Eva "acquisti" un uomo tutto per sé, che voglia un'esclusività
sul figlio, non significa forse che voglia riscattare in malo modo la sua
solitudine in un amore tutto possessivo per sé? Infatti qui Adamo sembra non
c'entri nulla.
"Poi
partorì ancora Abele, suo fratello”(v.2).
Nel racconto il privilegio dell'attenzione e dell'amore è tutto dato a
Caino, al primogenito.
E' lui infatti il personaggio principale del
racconto. Di fatti il nome Abele, in ebraico hebel, significa "respiro", "alito", e ritorna spesso nel libro
del Qoelet: "Tutto è hebel" (1,1), tutta la
realtà è inconsistente, è un "soffio". Forse qui si vuole alludere
all’esiguità della vita di Abele?
Il destino
di Abele è posto essenzialmente nella relazione non tanto con i genitori quanto
col fratello. La narrazione infatti presenta
Abele non come figlio ma sempre come fratello (e la parola fratello è ripetuta
ben sette volte lungo il racconto!). Quindi l'autore vuole porre al centro il
tema della fraternità.
“Ora Abele
era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo” (v.2). E’ semplicemente descritto il primo elemento della dinamica del
conflitto ovvero la diversità: i due sono descritti subito come diversi: uno è
pastore e l’altro agricoltore. Teniamo presente che nel mondo antico pastori e
agricoltori rappresentavano le grandi due categorie del mondo. La cosa che
viene detta qui è che alla base delle nostre vite e delle nostre relazioni inevitabilmente
ci sono delle differenze, esse cominciano quando noi cominciamo a stare nel
mondo con un nostra individualità. Di questo bisogna semplicemente prendere
atto.
“Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del
suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del
suo gregge e il loro grasso” (v.3-4). Non si afferma, come talvolta arbitrariamente viene detto, che Caino
offrì frutti marci, ma semplicemente che l'azione di culto di Abele viene
preferita a quella di Caino, forse perché anticipa in certo qual modo l’istituzione
liturgica prescritta nell'alleanza del Sinai. Comunque se il perché di questo
gradimento da parte di Dio non viene esplicitato, ciò significa che non è
importante.
La
differenza emerge non tanto in rapporto tra i due fratelli, ma nella relazione
con un terzo, in questo caso Dio, del quale si dice che “Il Signore gradì
Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta”. Il Signore
gradisce l'offerta dell'uno uno e non quella dell'altro, ma non succede niente:
Dio non punisce affatto Caino e neppure privilegia in qualche modo Abele. Ma la
diversità con cui Abele è riconosciuto, viene vissuta solo come una minaccia
per Caino. Non essere il primo, il preferito, dà fastidio, anche se questo non
significa niente, anche se non ha una conseguenza.
Infatti “Caino
ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto” (v.5). Che il conflitto interno sempre traspaia
all'esterno è un dato di fatto: il volto è lo specchio dell’identità della
persona.
A questo
punto leggiamo due versetti curiosi dal punto di vista letterario e storico. "Il
Signore disse allora a Caino: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il
tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci
bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e
tu lo dominerai" (vv.5-7).
Tradotto in linguaggio più accessibile: "che cosa ti è successo Caino?
Perché sei cambiato e non sei più te stesso? Cerca di reagire in modo
giusto". Dio (che nel racconto si rivolge sempre e solo a Caino!) con
queste domande dimostra il bene che vuole anche a lui: vuole aiutare a porsi in
ascolto della propria coscienza. Al peccato/conflitto che si è impadronito del
cuore di Caino il Signore, con un invito misericordioso, propone
un'alternativa: "verso di te è il suo (del peccato) istinto, e tu lo dominerai". C’è una
prima scelta tra agire bene e agire male, poi ce n’è una seconda: se hai scelto
male puoi comunque sempre ancora dominare il peccato per non rimanerne vittima
per sempre. Ma Caino non accoglie questo dono di grazia, si aggroviglia nel suo
pensiero senza la forza di contraddirlo con la parola che Dio gli ha rivolto.
Il racconto
prosegue in modo abbastanza sbrigativo: “Caino disse al fratello Abele:
«Andiamo in campagna». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il
fratello Abele e lo uccise”. Ancora una volta non c’è nessun motivo chiaro
del perché accada l'irrimediabile
tragedia del fratricidio. L'interesse del racconto infatti non è
sull'omicidio in se ma su ciò che lo provoca e su quello che ne consegue. Caino,
eliminando fisicamente il fratello Abele crede di aver eliminato il problema, di
fatto invece nega la sua realtà di fratello ovvero anche se stesso: e questa la
conseguenza disastrosa del peccato. La narrazione prosegue.
Dio ancora
una volta si rivolge a Caino: “Allora il Signore disse a Caino: "Dov'è
Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse io il
custode di mio fratello?»”(v.9).
Alla domanda Caino risponde negando la relazione fraterna, ponendo un muro di
divisione. Il conflitto volendo negare la fraternità di fatto distrugge chi lo
fa proprio. Un rabbino ebreo commentava: si parte dalla differenza e si arriva
all’indifferenza. L’inizio era la differenza tra Caino e Abele e la chiusura
del percorso è ora l’indifferenza. Caino nega ogni coinvolgimento con Abele.
"Dio riprese: "Che hai fatto? La voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!" (v.10). Abele,
che non ha mai parlato, una volta ucciso, fa ora sentire la voce della sua vita
stroncata con violenza (i morti parlano sempre!). Il male attira la maledizione
su chi lo compie e inquina tutta la terra che ne deve sopportare il peso: "Ora sii maledetto, lontano
dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla
tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti":
(vv.11-12).
Per chi opta per il male, che stronca la giusta relazione con Dio, gli
altri, il mondo, non resta che la solitudine, la paura, la fuga: "ramingo e fuggiasco sarai sulla terra" (v.12). La riposta di Caino al Signore è
dettata dal senso di colpa e dalla paura: "Troppo grande è la mia colpa per ottenere
perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da
te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi
ucciderà" (vv.13-14). Ripete parola per parola quello che Dio ha detto
aggiungendovi la sua paura (chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere),
che Dio non ha detto. Caino ora ha paura di essere ucciso a sua volta. Si è generata
una catena infinita di cui tutta la storia è testimone: l'omicida incontrerà
altri omicidi. Il peccato “originale” di Caino prolifererà in seno
all'umanità tanto che Lamek, discendente di Caino, intonerà a sua
volta un canto di una vendetta illimitata: “Lamech
disse alle mogli: «Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete
l'orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo
per un mio livido” (Gn 4,23). Una delle conseguenze del peccato originale è
il progressivo disprezzo della vita. Ma chi riuscirà a troncare questa catena?
Meditatio
La triste
vicenda di Caino e Abele vuole rispondere alla domanda: “Perché è difficile
accoglierci come fratelli? Perché è difficile e faticoso il nostro rapporto con
gli altri? Perché tanta violenza nel mondo?”. Sono le eterne domande: domande
che ci poniamo anche noi. Noi tendiamo a vedere la realtà secondo uno schema
binario: buono-cattivo, bello-brutto, vero-falso…; le nostre parole, i nostri
concetti, le nostre idee sono sempre a coppie, una cosa e il suo contrario. In
questa logica è inevitabile che ci si scontri, perché se io ho ragione tu hai
torto, se tu hai ragione io ho torto. La vita diventa una lotta e una fatica
estenuante. Scrive a proposito Giovanni Climaco ne "La Scala del
Paradiso": "Colui che ha
l’amore rende a sé estranea l’ira, ma chi coltiva l’odio raccoglie per sé
fatiche inopportune".
Il punto
d'origine del conflitto tra persone, gruppi, popoli, è che l'altro nella sua
diversità mi provoca, mi destabilizza, mi mette in discussione e la reazione
spesso dettata dalla paura di perdere è quella dell’aggressività. Si tratta di
un'esperienza che tutti facciamo all'interno delle nostre relazioni e in ogni
ambito. Chiunque abbia fratelli e sorelle sa che è un legame fortissimo,
inevitabile, ma molto complicato. E’ molto più difficile andar d’accordo con i
fratelli e le sorelle che con gli amici perché il rapporto tra fratelli e
sorelle è sempre visibilmente conflittuale.
In questa
luce il
peccato di Caino consiste nel non accettare di essere amato dal Signore in modo
diverso dal fratello minore: un amore che egli misura quantitativamente, mentre
esso è qualitativamente diverso ma uguale per ciascuno. Infatti Dio ci ama
diversamente di un amore unico e infinito perché ciascuno di noi ai suoi occhi
è unico. Invidioso del positivo che c’è tra Dio e il fratello, Caino non vede
più tutto il positivo che c’è tra il Signore e lui stesso: è scontento di sé al
punto di essere scontento di JHWH il quale paradossalmente intrattiene un
dialogo solo con lui mostrando così la sua tenerezza. Così il primo omicidio della
storia si perpetra per una contesa riguardante Dio! Ci si può uccidere tra
fratelli usando il nome di Dio!
La grande
fatica di ciascuno è diventare se stesso senza voler eliminare l'altro. Questo compito
è anche la nostra costante fatica e sofferenza perché tutte le volte che uno è
se stesso inevitabilmente è diverso dall'altro creando inevitabilmente un
confronto. Perciò sembra inevitabile che questo compito si debba portare avanti
sempre a discapito o di noi stessi o degli altri. Da qui il conflitto.
Caino è
insofferente verso la diversità del fratello, e dunque soffre anche per la
propria diversità: egli vorrebbe essere come suo fratello o migliore di lui
innescando un'impossibile competizione perché io non potrò mai essere l'altro! È il peccato di colui che non sa interpretare
l’altro diverso da sé se non come una minaccia per la propria identità: è il
rifiuto del mistero dell’altro (cfr 2,18-21).
che
paradossalmente diviene un rifiuto del proprio mistero (“è lo stesso Caino che si è eliminato da sé” commenterà
intelligentemente il filosofo ebreo Filone d’Alessandria). Caino rifiutando il
fratello rifiuta la sua identità di fratello: "Non lo so sono forse il
custode di mio fratello?".
Oggi è molto
di moda la retorica sul diritto alla propria differenza. La cultura occidentale
esalta l'obiettivo di ciascuno diverso dall'altro, ma questo in un orizzonte
individualistico e indifferente in cui l'altro o scompare o viene eliminato in
quanto presunta costante minaccia al mio "diritto" di essere
pienamente me stesso: viviamo di conseguenza in una società estremamente
conflittuale e violenta, indifferente. E l’indifferenza (interessante il
termine indifferenza, cioè in-differenza) è uno dei tanti modi che abbiamo
inventato per sopportare la differenza; quando si è troppo vigliacchi persino
per uccidere ce ne freghiamo dell'altro. La differenza è facile solo quando è
molto distante, guardata da lontano - una cultura altra, un luogo altro, dei
ritmi altri - è molto poetica... ma quando avviene l'incontro il conflitto tra
le due differenze viene prima o poi all'evidenza.
Ora, guardando
il conflitto più in profondità, ci accorgiamo però di un ulteriore aspetto. Noi
abbiamo l’idea che la differenza sia solo tra me e l'altro, tra il mio gruppo e
un altro gruppo, un paese e un altro. Di fatto però la differenza non è un
discorso a due, ma a tre: io, un altro e un terzo che vuole più bene a lui che
a me, che dà ragione a lui e torto a me. Questo terzo, nei nostri ragionamenti
sul conflitto, generalmente non lo contiamo mai; il terzo può essere anche qualsiasi
realtà: un altro, una cosa, , un obiettivo, un riconoscimento... Perché non
riusciamo talvolta ad uscire dai conflitti relazionali, familiari, comunitari,
nazionali, globali? Perché una cosa che nasce a tre non si risolve, se noi la
esaminiamo a due. Se il problema è solo ragione-torto, se tutta la vita
funziona sempre sulla logica del due, alla fine non ne veniamo fuori, perché se
uno vince l’altro perde. Il problema di Caino è stato di non intraprendere un
dialogo con Dio, e di porsi solo in dialettica con Abele. Lo avesse fatto forse
avrebbe capito che l'amore di Dio per lui non era in discussione.
Allora
"accarezzare il conflitto" cosa significa, come è possibile? I
conflitti si destrutturano in presenza dell’amore. Un esempio molto elementare
è dato dall’oscurità che si destruttura in presenza della luce; non è
necessario lottare contro le ombre, basta illuminarle. Solo se si pone un punto
distante, un punto di arretramento per cui i due soggetti consentono di far
circolare una vita si apre la possibilità di una via nuova che sembrava non
esistere. Concretamente significa da ambo le parti accettare la sfida
posta dal terzo elemento: capire alla sua luce che anche il
cattivo ha un pezzo buono e che forse anche il buono ha un pezzo di cattivo.
Occorre ascolto, apertura di cuore e di mente, docilità di coscienza per
vincere ogni sorta di rivalità. Per Caino e Abele si sarebbe trattato della
disponibilità a riconoscere, alla luce di Dio, che in ciascuno vi era qualcosa
di buono e di cattivo, qualcosa di accolto da Dio e qualcosa di rifiutato.
Costa
fatica? Certamente! Ma dobbiamo ormai aver capito che la vita è diversa dalla semplice
logica che vorrebbe sistemare tutto senza fatica e sofferenza. Caino ha ceduto
all'inganno di percorrere la via più semplice.
Non
spaventiamoci dei conflitti che si affacciano alla porta del nostro cuore.
Poniamoli alla luce del riflettore della Parola di Dio. Non pensiamo di
risolverli con la via più semplice della violenza o dell'estraneità, ma
accettiamo di entrarvi con umiltà come peccatori riconoscendo che attraverso di
essi ci è offerta la possibilità di crescere nell'amore, ovvero nella sequela
di Cristo. Scrive san Francesco in una sua lettera: ad un suo frate "Ecco da cosa riconoscerò che ami il Signore, e che mi ami, me, suo servo
e tuo: se qualunque fratello al mondo, dopo aver peccato quanto è possibile
peccare, può incontrare il tuo sguardo, chiederti perdono, e andarsene
perdonato. Se non ti chiede perdono, chiediglielo tu, se vuol essere perdonato.
E anche se dopo pecca ancora mille volte contro di te, amalo più di quanto ami
me, e ciò per ricondurlo al Signore. Abbi sempre pietà di questi disgraziati...".
Questo è alla fin fine "accarezzare il conflitto".
Oratio
Concludiamo con una preghiera che si riallaccia con
il Padre Nostro composta da Erasmo da Rotterdam, grande umanista
olandese (Rotterdam 1466 - Basilea 1536). Rimasto presto orfano fu educato in
un monastero agostiniano. Divenne poi religioso francescano e sacerdote.
Viaggiò molto. In Inghilterra scrisse la sua opera più celebre, l'Elogio
della pazzia. Nella preghiera che segue egli denuncia la religiosità falsa,
quella fatta di belle parole che di fatto però sono lontane dall'autentico amore
di Dio che si rispecchia nell'amore del fratello. Pregare il Pater, e lo facciamo ogni giorno,
richiede un deciso impegno nel cammino di guarigione dalle nostre relazioni
conflittuali con i fratelli e sorelle. Altrimenti... meglio forse tacere!
O labbra crudeli,
come potete
chiamare Dio vostro Padre,
quando togliete
la vita al fratello?
Voi dite: Sia
santificato il tuo nome.
Ma può essere
più disonorato
il nome di Dio da chi fa la guerra?
Voi dite: Venga
il tuo regno.
Ma si può pregare così,
quando si è
pronti a versare molto sangue?
Sia fatta la tua
volontà in cielo e in terra.
Ma Dio vuole la
pace e voi fate la guerra.
Chiedete al
vostro Padre il pane quotidiano,
e intanto
incendiate il campo del vostro fratello.
Non provate
vergogna a dire:
Rimetti a noi i
nostri debiti
voi che cercate di uccidere e far soffrire?
Voi pregate per
essere liberati da ogni male
ma intanto fate al fratello l’offesa peggiore:
lo fate soffrire
e lo uccidete.
Attilio Franco Fabris
Monastero di Sant'Andrea
Abbazia di Borzone
16041 Borzonasca - Ge
www.abbaziaborzone.it