Villa Cella
Villa Cella
è da ritenersi uno dei centri più importanti che il monachesimo benedettino
abbia espresso in qusta valle, e azzardiamo in senso
assoluto nel comprensorio della Riviera di Levante. Se si riuscirà ad
analizzare nuove carte che attualmente sono disperse nei vari archivi, ed in
particolare quelle dell’Archivio di Stato di Genova che giacciono sotto la
denominazione generica di "Notai Antichi" si avrà un quadro
abbastanza completo dell’accaduto.
Il cenobio
di Villa Cella, già denominato "S. Michaelis de
Petra Martina" nell’atto di fondazione risalente al 1103, forse per far
riferimento ad un primo rudimentale insediamento situato nei pressi della
omonima Rocca di Pietramartina, fu certamente un
centro di notevole interesse sia civile che culturale, oltre che religioso.
Legato già
dalla metà del XII secolo all’influente "Comitato Fliscano"
-occorre ricordare che il primo abate dell’Abbazia di Borzone
fu un certo Bernardo della Cella nel 1184, e che probabilmente Manfredo abate
di S. Michele di Pietramartina nel 1162, altri non
era, secondo Alfredo G. Remedi, colui che diventerà
più tardi il Cardinale Manfredo da Lavagna-. Intorno al 1250 il monastero entra
in crisi per le lotte di potere fra i monaci di Alpepiana
fedeli a S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia e il "Clericus
Magistro Armano de Sanguineto",
altre volte detto "Armano clerico de Melleto Januensis diocesis", il quale aveva intentato una causa per il
possesso della plebe di Alpepiana.
I monaci di
Villa Cella secondo Guglielmo abate di Alpepiana
avevano nel frangente eletto il loro abate senza chiederne conferma ad Alpepiana, dalla quale formalmente la Cella di Pietramartina dipendeva (così M. Tosi). Condannato Armano
de Melleto si indebolisce il prestigio di Pietramartina in campo religioso, che entra, sempre più,
nell’orbita Fliscana (o dei Fieschi) e probabilmente nell’esercizio del potere
temporale in combutta con i de Meleto- poi de Cella. Occorre
rammentare che il Conte Alberto Fieschi di Lavagna
inizia proprio nel 1250 a chiedere sommessamente "permesso di
pascolo" in Val d’Aveto
a Corrado Malaspina, portando così avanti una manovra
ben congegnata di infiltramento sul territorio.
Di quel
periodo rimangono sul territorio di Villa Cella alcune tracce: il vecchio e
abbandonato Mulino, che si dice sorto sulle fondamenta della Cella monastica,
alcune vestigia di case che un dì forse appartennero alla "corte
monastica" e il pozzo di raccolta a forma triangolare per l’acqua del
mulino che si immette in un sottostante pozzetto di forma circolare con la
relativa canalizzazione scavata sui fianchi del monte.
Una casa che
recava una scritta riguardante S. Pietro in Ciel d’Oro è stata malauguratamente
abbattuta da pochi anni, e non si sa che fine abbia fatto il portale così
prezioso. Le vecchie campane del monastero, come ben si sa, furono fuse nel
1852 per rifare le nuove che oggi si trovano nelle torre campanaria
dell’attuale Chiesa di S. Lorenzo.
Il calice in
argento appartenuto forse al monastero chiamato: " Il Calice
dell’Abate" fu venduto nel 1854. Pare dunque che il Monastero di Villa
Cella abbia seguito la "Parabola Fliscana"
e con essa si sia avviato al tramonto, colpito dalla stessa
"Maledizione". Villa Cella fu comunque un importante nodo viario per
tutto il medio evo, le antiche strade che dalla Val
di Sturla immettevano in Val
d’Aveto attraverso il "Passo delle Rocche"
o di "Bisinella" transitavano, prima del
prosciugamento del Lago della piana di Cabanne, in
direzione Villa Cella - Costafigara - Rezzoaglio.
Qui i monaci
eressero la loro "Cella" per esser di conforto ai pellegrini che si
avventuravano su queste "non facili" strade, qui impartirono le prime
lezioni del viver civile agli abitanti di codeste plaghe, qui pregarono,
amarono, forse odiarono. A qualche chilometro dal "Passo delle
Rocche" c’è la "Cappelletta delle
Lame", posta sulla strada di crinale che certamente nella buona stagione
veniva sfruttata dai pellegrini per giungere dopo aver transitato per ii "Passo della Gonnella" e quello di "Pre de Lame" verso il "Passo dell’ Incisa"
nei cui pressi in località "La Scaletta" vi era uno "Hospitale" benedettino che assisteva chi giungeva da Val di Taro.
La Valle
dell’Aveto, dunque, è stata sinora una miniera a
cielo aperto, ove ci si poteva imbattere in tesori appena intristiti dal tempo,
ma occorre fare presto: "La salvaguardia di questo patrimonio, che è di
tutti, è spesso avversata da cumuli di buone intenzioni ".
Casa del Bottazzo
Lungo l’Aveto sulla strada che un dì doveva esser stata quella di
fondovalle intorno al 1600 -1800 , poco discosta da Rocca Martina, si trovano,
ahimè, solo i ruderi della cosiddetta "Casa del Bottazzo".
Anticamente doveva esser stata una "Casa di Posta o Cambio", ovvero
una specie di "Osteria-rifugio" atta allo
scambio dei cavalli e dei muli che avevan i vetturini
che compievano lunghi viaggi fra Genova e i territori della Padania, anche se
invero l’appellativo "Bottazzo" rimembra un
antico mulino. Ai primi del 900 era stata abitata da un pittore chiamato
"Il prete matto" che si diceva avesse dipinto la famosa etichetta del
Fernet Branca.
Balena del Malsapello
Proseguendo
sulla strada Provinciale si giunge al luogo ove si scorge la famosa
"Balena del Masapello" un roccione dipinto nei cui pressi esisteva l’antico
sbarramento sull’Aveto provocato da una frana
staccatasi in epoca quaternaria che aveva trasformato la piana di Cabanne in Lago-palude.
Qui i monaci
di Villacella secondo la tradizione operarono
instancabili per tagliare le rocce e far defluire le acque onde iniziare una
grande opera di bonifica, una scala intagliata nella roccia confermerebbe tale
ipotesi - si trova presso il cossidetto
"Passo dei morti", ovvero il guado verso cui transitavano i morti di
Villa Piano e Brignole per essere tumulati a Villa
Cella-. Poco distante è il sito del "Castelluzzo
dei de Meleto" e poco discosto è l’attuale bivio per Villa Cella
proprio di fronte ad una Cappelletta votiva eretta da
certi Cella della famiglia dei "Monatti".
Mulino di Cabanne
A lato,
presso il rivo che giunge da Villa Cella, vi sono i resti di un antico Mulino
che era gestito ancor nel 900 da una famiglia di Farfanosa.
Potrebbe trattarsi dell’antico "Mulino di Cabanne"
citato in atti tardo-seicenteschi dal notaio Nicolò Repetto
ed andato in locazione dopo un’asta -col rito: "sino a consunzione della
candela"- ad un certo cognominato Merlo di Cabanne (il toponimo "Ca’ de Merli" in Cabanne confermerebbe tale ipotesi).
Cappelletta della Madona dell’Alpe
Salendo
verso Villa Cella si incontra la "Cappelletta
dell’Arpe", costruita secondo il G. Fontana alla metà del 1800 sulle
rovine di una più antica risalente forse al tempo dei frati, ove sostavano i
pellegrini diretti alla "Rasella" (ovvero
La Cella) provenienti dalla strada Costafigara-Rezzoaglio
e dai paesi siti nell’Alta valle dell’Aveto.