Acab e Michea
ovvero della rivalità del “mi spezzo ma non mi piego!”
1Re 22,1-38
di p. Attilio Franco Fabris
La controrisonanza della rivalità si scontra con la risonanza della coscienza dell’altro, di fronte alla verità. Come si rivela? Si manifesta nella fatica di dire: “Ho sbagliato!”, “scusa”.
Cedere alla verità che mi si rivela mediante l’altro lo vivo come un perdere, un darla vinta, una sconfitta.
Per cui il confronto con l’altro appare faticoso, a volte doloroso e ci pone sulle difensive.
Il confronto con l’altro lo si vive in modo conflittuale: l’altro appare un pericolo, una minaccia, se l’altro è o ha un “di più”, questo di più invece di rallegrarmi, mi affligge.
Ci si pone sempre in un atteggiamento di competitività con l’altro: devo dimostrare a me e agli altri di essere più bravo, intelligente, forte, ricco, bello… Desidero la sconfitta dell’altro, e pretendo l’emergere di me stesso, la mia vittoria sull’altro.
L’incontro con l’altro perciò è avvertito come rischioso, viene evitato o, se vi è, vi si entra con un atteggiamento di polemica, di aggressività nel caso non si riesca a manipolare l’altro.
Esiste una rivalità aperta ma anche una occulta, mimetizzata, difficile da individuare. Ci può essere infatti un apparente consenso in cui scindo la coscienza dalla sua manifestazione.
Si ricerca la vittoria, ma la rivalità ottiene una vittoria fasulla, perché appoggiata a quel nulla che è la menzogna.
Non vi è ricerca della verità ma semplicemente l’angoscia di padroneggiare sull’altro.
L’uomo si chiude alla verità a causa della rivalità, si isola barricandosi e facendo battaglia contro tutto e tutti.
Solo l’umile lasciarsi con-vincere dalla verità e il rinunciare alla verità può aprire all’esperienza di comunione vera.
* * *
Antecedenti
Il matrimonio di Ioram figlio del re Giosafat con Atalia sorella di Acab sigillò un’alleanza politico-militare tra i regni di Israele e di Giuda che si concretizzò ben presto nel progetto della riconquista della città di Ramot rimasta in mano agli Aramei..
Giosafat accetta la spedizione alla condizione che si consultino, secondo l’antica usanza, gli oracoli di JHWH al fine di conoscere l’esito della battaglia.. Acab così deve convocare circa quattrocento profeti di corte che gli assicureranno il successo…
1. Trascorsero tre anni senza guerra…
La pace costruita dall’uomo è sempre fragile e pronta ad essere distrutta per qualcosa che si ritiene più importante. All’altare dei propri interessi e tornaconti viene spesso sacrificata la pace.
La pace rischia di divenire solo un più o meno breve intervallo tra due guerre.
Vi è l’aspirazione messianica ad una pace che duri che tuttavia sembra inevitabilmente delusa.
fece visita…
Ciò che è compito della politica è il prodigarsi per il bene comune: “Coloro che sono rivestiti d’autorità, la devono esercitare come un servizio” (CCC 2235).
La politica è il più delle volte solo un gioco di alleanze in vista di interessi da ambo le parti. Il fine è sempre identico: accrescere e conservare il potere. La massima aspirazione dell’uomo è il potere divinità al quale l’uomo è disposto a sacrificare tutto.
E il bene comune che dovrebbe essere la prima e unica preoccupazione dell’uomo di governo? Esso viene messo troppe volte in secondo piano se non addirittura disatteso!
3. Ramot di Gaalad: città assediata dai Siriani, situata nella transgiordania settentrionale. Una città assediata e conquistata significa ricchezza aggiunta, espansione di dominio e di potere.
Tutti abbiamo mete ambiziose al fine di accrescere dominio e potere.
5. consulta JHWH: Perché Giosafat chiede questo e non Acab?[1]
Forse Giosafat non ritiene di dover far guerra, vi si vede costretto, ma deve far buon viso a cattivo gioco. Non ha fatto alleanza col re di Israele per rinsaldare il suo trono? E ora non si può dire di No. Che fare… forse l’oracolo del Signore potrebbe avvallare il suo desiderio. Ma allora questa ricerca di un consulto non denota un desiderio di porsi in ascolto della volontà di Dio, esso è strumentalizzato al fine dei propri obiettivi. Nei confronti di Dio spesso anche noi cerchiamo ansiosamente “consulti”, il più delle volte non per porci in ascolto della Parola ma per ricercare conferme o scappatoie dinanzi alla vita. Vogliamo da Dio la conferma dei nostri progetti.
6. convocò i profeti…: la richiesta di Giosafat urta il re di Israele. Egli non ha la minima intenzione di sentire oracoli; in cui suo ha già deciso! : “I miei piani erano già decisi. E ora l’alleato pone condizioni. Devo pagare lo scotto della richiesta per non perdermelo”.
Neppure lui allora vuole porsi in ascolto della parola.
Ma si vede costretto, e che fare se non convocare i quattrocento profeti di corte. Non lo hanno mai deluso, lo hanno sempre appoggiato. Più i profeti sono numerosi più si sincererà della “verità” e bontà della sua decisione. Così ricerchiamo sempre l’avvallo della maggioranza, tutti mi danno ragione… allora è vero! Rassicura ritrovarsi all’interno della maggioranza.
I due re non si stanno ponendo il problema di ricercare la Parola di Dio per il bene del popolo. L’uno cerca l’avvallo l’altro la scappatoia.
Non è così tante volte anche per noi?
Quelli risposero:” Sali pure…”: una risposta unanime, entusiasta di tutta una folla di profeti, che assicura l’immancabile vittoria. Questa unanimità al primo momento non fa suscitare compiacimento, soddisfazione, certezza di essere nel giusto? Perché dovrebbe essere sospettosa? Ma questa risposta così entusiasta da parte dei profeti come mai è così unanime? Quali risonanze nasconde?
Il desiderio non sarà forse quello di avvallare il potente nei suoi desideri, di non deluderlo. Perché? Perché così ci si assicura le sue grazie e i suoi benefici. Ce sempre da guadagnare nel servire e compiacere il potente.
Siamo disposti a negare la ricerca della verità, a tradire la nostra coscienza, pur di non perdere determinati vantaggi.
Certo, si corre un rischio perché la cosa andrà in porto nella misura in cui andrà in porto al potente, se fosse il contrario?… Allora rimane sempre la possibilità do “cambiare” potente schierandosi magari con quello avversario.
Il debole ha paura di deludere le aspettative del forte: paura delle conseguenze fatte di rifiuto, di condanna… è la controrisonanza della paura degli altri (cfr. la seconda controrisonanza).
Anche per questi quattrocento profeti il bene comune passa in secondo piano.
L’orizzonte è fatto solo dei propri interessi e ingaggi.
7. Non c’è nessun altro profeta?: Stranamente Giosafat, re di Samaria non si lascia almeno per il momento raggirare dal parere della maggioranza. Vuole la certezza di un responso.
Questo perché ha sfiducia nei confronti del re di Israele? Non si fida di lui? Insicurezza da parte sua? Dovere di coscienza? Potrebbero essere molteplici le motivazioni di questa sua insistenza…
8. v’è ancora un uomo che io detesto: la parzialità del re di Israele nell’interpellare JHWH è drammatica: ne andrà di mezzo lui stesso e il suo popolo. Egli sa e riconosce il ruolo di profeta da parte di Michea. Ma non vuole sentire ragioni contro le sue ragioni, campane diverse mi danno fastidio, le detesto, voglio sentire la musica che decido io non un’altra!
Pretendo che l’altro corrisponda alle mie attese, ai miei desideri. Se li delude diviene per me detestabile, non voglio aver a che fare con lui. (il grillo parlante di Pinocchio!). Voglio ascoltare solo quello che voglio ascoltare. In tal modo non sono disponibile ad una ricerca sincera della verità.
In questo malanimo e rifiuto di convocare Michea vi è la chiusura di Acab nei confronti della verità che giudica e pone in discussione la sua vita e le sue scelte. Acab non vuole che questo accada: ha già i suoi progetti. Pone in discussione il profeta (“non mi predice che sventure”) non la sua vita… a costo di rimetterci di persona!
Troppe volte forse noi come Acab ci rifiutiamo di porci in ascolto di chi sappiamo capace di dire la verità su noi stessi e sulle cose. Troppe volte come Pinocchio mettiamo anche noi a tacere, anche in modo violento, chi ci annuncia la verità.
La storia dell’umanità e della Chiesa è piena di testimonianze di questo rifiuto, barriera, ostracismo nei confronti del “profeta”.
Il re non dica queste cose: vi è sempre qualcuno o qualcosa che mi invita ad aprire la coscienza alla verità. Ma viene ascoltato?
10. nell’aia antistante la parta di Samaria: era l’aia usata per trebbiare il grano, che si stendeva davanti alla porta delle città antiche. E’ la grande piazza: il luogo più importante. La scena dunque è solenne. I due re al centro con gli abiti da cerimonia, abiti che proclamano il loro ruolo di potenti, di capi. (l’abito fa il monaco). Ben distinti dagli altri. Il potere esige sempre un apparato esteriore che lo avvalli e lo distingua dai “comuni mortali”.
11. si fece corni di ferro: I due sono circondati dai quattrocento profeti di corte che profetizzano alla loro presenza assicurando vittoria e successo all’impresa. Anche questo un apparato che ammalia e rassicura, e che nasconde la verità. E la coscienza viene messa a tacere
I profeti sono capeggiati da un capo: Sedecia figlio di Cheeanna. Anche lui impronta la sua sceneggiata: agita corni di ferro, come simbolo di forza. Con questo intende significare o forse produrre in modo magico la vittoria di Acab sugli Aramei. A questo capo si affiancano tutti gli altri. Il leader trascina sempre: affascina come una “star”.
Preferiamo troppo spesso circondarci di tanti e tanti “profeti” che ci accontentano pensandola come noi, cerchiamo applausi e consensi in ogni direzione. Amiamo circondarci di persone che sempre ci danno ragione: è molto più appagante e tranquillizzante. Ma il prezzo quale è?
13. il messaggero: strana figura questo personaggio che si reca da Michea. Gli comunica l’universale parere favorevole dei profeti di corte nei confronti dell’impresa. Egli vi crede o no? Il suo invito è quello di accodarsi, di non cantare fuori dal coro. Anche lui si rivela vittima e complice degli interessi di corte.
Perché quest’invito? …probabilmente avrà avuto un preciso ordine dall’alto di ingiungere al profeta di accodarsi al parere unanime degli altri. Altrimenti…!
Una cosa è certa: il pressante invito è di tradire la sua coscienza di profeta. E’ il ruolo di tentatore, di sabotatore della coscienza altrui.
Non capita a volte che noi stessi invitiamo l’altro ad agire in modo diverso da ciò che la coscienza gli detta, e questo per ottenere noi vantaggi diretti o indiretti? Per giustificare la nostra stessa falsa coscienza?
14. quel che JHWH mi dirà io annuncerò: Michea qui appare già nella statura dell’autentico profeta che fa suo il compito affidato: dire la parola di JHWH e solo quella.
Noi al contrario o non la diciamo per paura di deludere, oppure cerchiamo di adattarla, zuccherarla: “si… però…” “è vero tuttavia…”. La parola di Michea è una parola chiara, decisa non ambivalente o accomodante.
E’ la “parresia” dono dello Spirito: ovvero la franchezza nell’annunciare la Parola di Dio senza timore, anche a scapito di rimetterci la vita.
15. il re disse… il profeta rispose: Lì nella piazza dinanzi ai due re, ai quattrocento profeti, a tutto il popolo si svolge il dialogo col profeta. Alla domanda del re, Michea risponde ironicamente dando apparente assenso.
Michea conosce il cuore del re Acab, la sua incapacità di ascolto. Si prende gioco di lui, e in modo ironico ripete le stesse parole dei falsi profeti. E’ Dio stesso che prende atto di questa durezza di ascolto e d’incapacità di apertura alla verità. Questo tono ironico non è già forse un invito alla coscienza del re a prendere atto di questa sua chiusura?
La profezia non vuole conquistare alcunché, si pone solo al servizio lasciando che la verità si faccia strada da sé, non si impone con la violenza, si offre nella sua debolezza.
16. la verità nel nome di JHWH: Acab avverte cosa si nasconde dietro il tono con cui il profeta pronuncia le parole degli altri profeti.
Per non smentirsi nel suo potere Acab accetta una verità che venga dal di fuori della sua cerchia, ma per poi combatterla poiché il potere non può correre il rischio di indebolirsi. Ma è questa grettezza a segnare la fine di ogni potere che ricerca solo se stesso e non il bene comune.
Perché il profondo della coscienza opera un forte richiamo, non può tacere. Domanda la verità, anche se io cerco di farla tacere e la metterò a tacere. Si attua nella coscienza una sorta di doppiogioco di accogliere e nello stesso tempo negare la verità.
Da un lato non voglio udire la verità, dall’altro la mia coscienza me lo impone. E’ una battaglia strenua, implacabile. Mi sento diviso. Ma anche nel caso in cui lascerò la coscienza parlare ed aprirsi avrò ancora da combattere perché la mia controrisonanza mi domanderà di porla nuovamente a tacere. Mantener disponibile la coscienza alla verità è impresa ardua e sofferta.
17. disperso sui monti….: Michea pronuncia la sua profezia. La Parola è comunque detta per chi la richiede ed è comprensibile agli orecchi di chi sa ascoltarla. Se vi è questa richiesta in Acab, questa lotta per cui da un lato desidera conoscere e dall’altro no, allora il profeta coglie l’occasione, questo minimo spiraglio per comunicargli la Parola del Signore.
Le sue parole predicono esplicitamente la disfatta d’Israele e velatamente anche la morte del re. Israele sarà come un gregge disperso, senza pastore! A meno che… il re non cambi idea e rinunzi al suo progetto.
18. Non ti avevo detto…?: Sono le parole stizzite di Acab a Giosafat: “Ecco te la sei cercata e voluta. Che farmene di un profeta capace solo di preannunziare sventure?”.
Anche qui riscontriamo la chiusura della coscienza del re. Egli sospetta che deve aspettarsi una tal profezia, e in un certo senso se ne immunizza con la frase: “Ecco lo sapevo! Lo sapevo già che sarebbe andata a finire così!”. Una frase che dice ancora una volta la non volontà di porsi in ascolto e dunque in discussione: “So già cosa pensi, quindi è inutile che stiamo qui a discutere”.
E’ possibile un sincero ascolto e discernimento della volontà di Dio con queste premesse così grette?
Quante volte i nostri: “Lo sapevo!”, non fanno che confermarci nella nostra falsa coscienza e il nostro non ascolto?
Acab dinanzi a Giosafat, ai quattrocento profeti, al popolo come può piegarsi a dare ragione a quello “straccione di menagramo” che è il profeta Michea: sarebbe un perdere la faccia davanti a tutti. Non vuole certamente mostrarsi vulnerabile davanti a tutti. La sua reazione è dunque di disprezzo e di noncuranza: “Tanto lo sapevo!”.
19. L’intera schiera celeste: Michea non può far altro che portare a termine il suo compito di profeta. Descrive un’assise celeste. JHWH è antropomorficamente presentato come un sovrano terrestre che si consulta con i suoi consiglieri. Un immaginario dialogo per decidere la sorte di Acab.
21. lo spirito: è la personificazione dello spirito profetico, la forza mediante la quale Dio trasforma l’uomo in suo portavoce.
Certo riuscirai a sedurlo: quanto è facile all’uomo mettersi in ascolto dei falsi profeti. Essi promettono successo, gioie e realizzazione a basso costo e per vie facili e alettanti. Sono la porta e la via larga facili da percorrere ma che conducono alla perdizione.
Lo spirito di menzogna asseconda l’uomo nei suoi desideri e aspettative fatte di potere, successo, gloria, piacere. La seduzione è forte, irresistibile… l’uomo vi quasi trascinato incosapevolmente.
23. JHWH ha posto uno spirito di menzogna: non si distingue nella lingua semitica volontà iussiva e volontà permissiva.
24. Allora Sedecia…: la reazione del capo dei profeti di corte è immediata e violenta. Quando ci sentiamo minacciati nella nostra immagine ci difendiamo in ogni modo, anche a scapito della verità.
Ma la verità ha bisogno di essere difesa con la violenza o si impone da se stessa?
Sedecia rivendica violentemente l’esclusiva della “sua” verità. Ma quando vi è violenza nel voler difendere le proprie ragioni e la propria verità, vi è sempre la certezza che tale atteggiamento nasce solo dalla paura, dalla resistenza all’accettare la vera verità, si ha paura di scoprirsi vulnerabili.
Quello schiaffo dato a Michea rimanda allo schiaffo dato a Gesù da parte servo in casa del sommo sacerdote: “Così rispondi al sommo sacerdote?” (Gv 18,22). Anche in quel caso la risposta di Gesù è un appello ad aprirsi alla verità.
25 . Michea rispose: la reazione del profeta è controllata, non si lascia trascinare nel vortice della violenza dell’avversario. Egli rimanda solo al compimento della parola da lui annunciata. Il che vuol dire che rimette la sua causa e il suo diritto nella mani di Dio che lo ha mandato. Dio unica difesa e garante della verità della parola pronunciata. Non tocca a me difendere il diritto di Dio! A me il compito di testimoniarlo: “La mai difesa è nel Signore, egli salva i retti di cuore” (Sal 7,11).
26-27. Mettete costui in prigione: l’ordine è dato all’eunuco che l’aveva introdotto. Che il profeta sia consegnato all’ufficiale di giustizia. Ma quale “giustizia”? Che ha fatto di male il profeta?
La verità della Parola è scomoda, urta e destabilizza: deve essere rinchiusa affinché non disturbi i nostri piani e i nostri progetti.
Messa a tacere (ed è la sorte di tutti i profeti!) non per questo essa non agisce.
E’ la sorte questa di tutti i profeti antichi e nuovi, è la sorte di Gesù messo a tacere sulla croce.
27. finché non ritornerò sano e salvo: le false speranze sono dure a morire. Acab dimostra una sordità inaudita dinanzi alla parola. Non se ne lascia interpellare. La vita deve continuare secondo i suoi progetti e aspettative. Non vuole saggiamente nemmeno per un istante confrontarsi con la possibilità dello smacco e dell’insuccesso. Acab non vuole confrontarsi con la perdita! Nella vita pretende e si illude di dover essere sempre vincitore.
28. Se tu ritornerai…: Ancora, come ha fatto con Sedecia, Michea affida la sua causa e la sua giustizia a colui che lo inviato. La sua sorte è legata alla verità della parola che è stato inviato a dire. Non ad altro.
Michea non ricerca appoggi, non si piega ad accomodamenti.
29 –30. Io mi travestirò: gli eserciti di Samaria e di Giuda partono dunque per Ramot. La parola di Michea non è stata presa in considerazione. Non la si è voluta ascoltare.
Ma ecco che sul campo di battaglia Acab fa una richiesta alquanto “strana” al re di Samaria. Che Giosafat mantenga l’uniforme regale. Acab invece si travestirà da semplice comandante.
Questa misura è adottata da Acab dopo le parole di Michea allusive al pericolo a cui sarebbero stati esposti i capi? E’ la falsità e la codardia di chi si traveste per non farsi riconoscere.
La parola profetica dunque l’ha in certa misura destabilizzato. Acab avverte dentro di sé il disagio, la paura: “E se fosse vero”. Ma la sua rivalità nei confronti del profeta gli impedisce di cedere, di dar ragione, di rivedere le proprie posizioni. Va avanti nonostante tutto a testa bassa, cercando di adattare la realtà alle proprie paure e alle proprie false sicurezze. Si deve travestire perché ha paura di essere se stesso, di assumersi la totale responsabilità di ciò che accadrà.
E’ una sfida nella quale vuole uscire vincitore con l’inganno. Ma è possibile ingannare così la propria coscienza? E’ possibile eluderla attraverso inganni e travestimenti? O la realtà prima o dopo mi imporrà di venire allo scoperto e di mostrarmi nudo per quel che sono?
Troppe volte per eludere la verità della coscienza ci si traveste… inutilmente.
31. Combattete contro il solo re d’Israele: è la vita stessa che si impegna a porre in scacco la menzogna e la falsità. Prima o dopo essa la verità e serietà della vita domanda il conto a chi si illude di sfuggirle.
32-33. I comandanti videro Giosafat: l’apparenza a volte inganna. Giosafat lancia un grido di guerra o di soccorso? O grido di aiuto rivolto al Signore suo Dio facendo conoscere agli assalitori che non si trattava del re di Israele? Fortunatamente per Giosafat viene riconosciuto per quello che è veramente è. Nella vita se siamo quello che siamo, senza travestirci ci salviamo.
34. Ma un uomo scoccò una freccia a caso: : Una freccia tirata a caso colpisce Acab. La corazza era un giubbotto di cuoio o di stoffa su cui erano fissate placche di metallo somiglianti a squame. La freccia riesce ad infilarsi mortalmente nelle carni del re.
(Proviamo ad ascoltare le risonanze di Acab nel momento in cui viene ferito a morte:…..)
35. se ne stette ritto sul carro… il sangue colò sul fondo del carro: Ad Acab vengono a mancare le forze. Sta male. Al carrista ordina di portarlo fuori dalla mischia.
Logica vorrebbe che se sta male si facesse curare, che tornasse all’accampamento, facesse terminare la battaglia mettendo in salvo i suoi giovani guerrieri, logica vorrebbe che riconoscesse la tragicità del momento e si arrendesse dinanzi alla verità, all’evidenza.
Ma tutto questo non accade. Come mai? Cosa si muove nel cuore di Acab? Perché non si ricrede riconoscendo il proprio errore?
Cedere significherebbe riconoscere lo sbaglio, il torto di non aver dato retto al profeta e alla sua parola. Significherebbe riconoscere a se stesso e dinanzi al popolo di non aver agito correttamente. Ma tutto questo implica un cedere, un “perdere” dinanzi al quale Acab moribondo non si arrende. Neanche nel punto di esalare l’ultimo respiro!
A costo di far cadere tutto il suo esercito sotto la spada del nemico e di consegnare il suo popolo allo sbaraglio più compelto Acab non si arrende. Stringe i denti nei confronti della vita che gli sfugge inesorabile tra le mani. Lo sa… ma non cede!
Una controrisonanza dunque fortissima. Un rifiuto della verità a costo di rimettere la propria vita e la vita degli altri. Fino all’ultimo l’uomo si illude di padroneggiare la situazione e di fuggire il confronto con la verità.
(Proviamo ad ascoltare le risonanze di Acab che ritto sul carro vede il suo sangue, la sua vita svanire sul fondo del carro e la disfatta dinanzi ai suoi occhi….)
36. Al calar del sole un grido: il re è morto!: alla sera, dopo una giornata di combattimento, ecco il grido che dice la disfatta e l’inutilità di tutto quel spargimento di sangue, la follia di quella guerra conclusasi con nulla di fatto. Solo morte, dolore, sofferenza. Colui che doveva assicurare il bene al suo popolo è morto causando la morte di tanti e tanti altri.
Questo è il frutto di morte dell’uomo quando si chiude alla verità volendo perseguire ad ogni costo progetti, ideali che si basano solo sulla rivalità, nel non voler dar ragione all’altro, nel non ascolto.
38. dove si lavavano le prostitute: Il corpo è seppellito in terra straniera. Il carro lavato nella piscina della prostitute. Un particolare che aggiunge disonore a disonore.
Secondo la parola che HJHW aveva pronunciato: una parola, quella di Dio, infallibile che fa quel che dice e dice quel che fa.
Una parola che dice che alla verità ci si può solo arrendere, rinunciando ad ogni sorta di potere su di essa. Occorre abbandonarsi ad essa liberandosi dalla pretesa di essere dio a se stessi.
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