Perché confidare in chi non ti può salvare?
Lectio Ger 2,1-14
di p. Attilio Franco Fabris
Messaggio centrale
Geremia ci presenta un processo intentato da Dio contro il suo popolo Israele. Quest’ultimo infatti senza alcuna giustificazione, lo ha abbandonato per seguire stoltamente “idoli vuoti”. Ha preferito attingere illusoriamente sicurezza e vita lontano da Dio piuttosto che abbeverarsi con abbondanza alle sorgenti della sua vita. Israele non ha dunque dato fiducia alla Promessa di Dio! Ancora una volta viene denunciata e messa in luce la resistenza del cuore alla Parola e l’allontanamento progressivo da essa. Le orecchie rimangono chiuse e il cuore rimane rivolto agli idoli.
Con il capitolo secondo inizia la raccolta vera e propria degli oracoli del profeta Geremia. Esso si apre con un’aspra requisitoria (rib) contro l’idolatria dilagante nel regno di Giuda. L’andamento del testo segue lo schema classico della contesa giudiziaria comune anche alle culture dei popoli limitrofi con i suoi elementi fondamentali: chi intenta la causa richiama l’attenzione sia dell’accusato che dei testimoni, passa dunque a una rassegna storica dei benefici compiuti, segue un elenco di accuse spesso formulate in forma interrogativa e termina con la proposta di un ultimatum o con la richiesta di una condanna definitiva. Tutti questi elementi figurano al capitolo 2 di Geremia facendo sì che il testo appaia steso come un resoconto di un atto giudiziario vero e proprio.
L’apertura del testo è data da Dio che consegna la sua parola al profeta che la deve indirizzare, o meglio, “gridare” alle “orecchie” di Gerusalemme:
1 Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. 3 Israele era cosa sacra al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti ne mangiavano dovevano pagarla, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore.
Geremia riceve l’incarico di profetizzare: la parola che pronuncia è perciò quella stessa di Dio. Si tratta di un ruolo che lo vede nella veste di un annunciatore che deve “gridare” le parole consegnate alle orecchie del destinatario/Gerusalemme: ma perché occorre “gridare” se non perché le orecchie del destinatario sono sorde alla Parola?[1] Il discorso prende avvio dalla rievocazione dei lontani e “felici” tempi dell’Esodo: si parte dalla liberazione dalla schiavitù egiziana, passando attraverso il ricordo del cammino attraverso il deserto per giungere poi all’entrata nella terra promessa (v7). Nella lettura di queste vicende legate all’esperienza dell’esodo prima e del cammino nel deserto poi Geremia (e Osea prima di lui) intravedono in filigrana il tempo di una sorta di fidanzamento affettuoso e ideale (h’esed sta a dire la “tenerezza/simpatia” dello scambio d’amore) tra JHWH e il suo popolo. Questo straordinario tempo di fidanzamento aveva preceduto e preparato la solenne alleanza del Sinai: alleanza che prevedeva essenzialmente un impegno di reciproca fedeltà: “Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12). Questo ovviamente implicava una gelosa esclusività di rapporti. Non per nulla nell’ Esodo JHWH spesso si definisce come un “Dio geloso”: “Tu non devi prostrarti ad altro Dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso” (Es 34,14).
Nel tempo del fidanzamento questa reciproca fedeltà era ideale pur in mezzo alle fatiche e alle prove del cammino nel deserto (cfr Dt 8): “mi seguivi nel deserto”. “Seguire” è il verbo che sta a significare sia il contratto matrimoniale per cui la moglie è tenuta a “seguire” il marito sia, per analogia, la fedeltà all’adesione di fede ovvero all’alleanza[2]. In virtù di questa elezione e relazione con il “suo” Dio Israele era divenuto “cosa sacra al Signore” (“qadosh”: cfr Es 19,6; Lv 11,44s; 19,2; 20,26; Dt 7,6; Is 62,12): proprietà esclusiva di Dio, e partecipazione alla sua “santità” (intesa nel senso di radicale diversità e separazione da tutti gli altri popoli). Israele in quanto “figlio primogenito” per elezione (Es 4,22) era “intoccabile”; è per questo che Dio lo ha sempre difeso gelosamente dai nemici (cfr Es 17,8-16; Nm 21,31-35; Nm 31).
Ma questo tempo di tenerezza e fedeltà è durato ben poco! Ecco infatti Dio invocare l’attenzione dell’interpellato affinché prenda coscienza della sua “ingiustizia”:
4 Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe, voi, famiglie tutte della casa di Israele! 5 Così dice il Signore: Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri, per allontanarsi da me? Essi seguirono ciò ch’è vano, diventarono loro stessi vanità 6 e non si domandarono: Dov’è il Signore che ci fece uscire dal paese d’Egitto, ci guidò nel deserto, per una terra di steppe e di frane, per una terra arida e tenebrosa, per una terra che nessuno attraversa e dove nessuno dimora? 7 Io vi ho condotti in una terra da giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio. 8 Neppure i sacerdoti si domandarono: Dov’è il Signore? I detentori della legge non mi hanno conosciuto, i pastori mi si sono ribellati, i profeti hanno predetto nel nome di Baal e hanno seguito esseri inutili.
All’esclusività rivendicata da Dio sulla base dell’Alleanza, Israele ha risposto con innumerevoli, costanti e ingiusti “tradimenti” che vanno dall’apostasia dichiarata, a un culto puramente formale svuotato però di un’autentica relazione vitale con Dio senza alcuna ricaduta sulla vita (cfr Isaia 1-2). Facendo così Israele ha trasgredito l’articolo fondamentale del Patto: “Dio allora pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. …Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano” (Es 20,1-5).
Per tale motivo Dio apre un vero e proprio contenzioso con Israele, in cui egli esplicita l’accusa. Un lungo e appassionato interrogativo apre il processo che il Signore ha istituito contro Israele/sposa dopo la sua apostasia. Dio domanda all’accusato se vi è stato qualche motivo valido per essersi allontanato da lui: “Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri, per allontanarsi da me?” (v5).
Agli interventi salvifici di JHWH in luogo di un’adesione di fede entusiasta e generosa Israele ha corrisposto assurdamente con l’affidarsi a “ciò che è vacuo” ovvero agli “idoli vani” (Hebel = vuoto, stupido, inconsistente, ingannevole…)[3] “che a nulla giovano”. Questo culto apostata ha profanato e contaminato la terra santa donata da Dio al suo popolo: ”avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio” (v.6). La conseguenza è che seguendo “hebel” Israele stesso è divenuto “hebel”! “Siano come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Sal 115,8; cfr 135,18). Israele dunque ha perso consistenza, solidità e forza: i nemici ora ne posson fare man bassa! Di chi la responsabilità di questo peccato? Geremia sembra additare in primo luogo i responsabili del popolo. Tutti costoro dovevano essere per Israele dei “buoni pastori” impegnati a far sì che tutto il popolo perseverasse nella fedeltà all’alleanza: tali non si sono rivelati. I sacerdoti non hanno cercato Dio, ma il proprio profitto; hanno coltivato un ritualismo vuoto, privo di ogni autentico rapporto con Dio. I dottori avrebbero dovuto essere fedeli interpreti della legge, ma anch’essi sono caduti in un vuoto legalismo pervertendo il senso della legge stessa. I politici invece di confidare in Dio hanno preferito ricorrere per risolvere i problemi a miseri calcoli umani di convenienza e tornaconto personale. I profeti si sono lasciati prezzolare, venduti al potere e ad altre false divinità. Lo stesso tema sarà ripreso in modo veemente anche da Ezechiele:«Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura” (Ez 34,2-6). Riassumendo: coloro che avrebbero dovuto fare da mediazione tra il popolo e Dio hanno stravolto il loro servizio.
9 Per questo intenterò ancora un processo contro di voi, – oracolo del Signore – e farò causa ai vostri nipoti. 10 Recatevi nelle isole del Kittìm e osservate, mandate pure a Kedàr e considerate bene; vedete se là è mai accaduta una cosa simile. 11 Ha mai un popolo cambiato dèi? Eppure quelli non sono dèi! Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria con un essere inutile e vano. 12 Stupitene, o cieli; inorridite come non mai. Oracolo del Signore. 13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua.
Il processo intentato procede apportando da parte dell’accusatore altre considerazioni che vengono ad aggravare l’accusa. Si domanda un dibattito giudiziario vero e proprio svolto dinanzi a testimoni cosmici (“i cieli”). Essi sono i testimoni notarili nella disputa (cfr Is 1,2); nella quale sono invitati a “stupirsi” sconcertati dinanzi all’insensatezza di Israele.
Viene posto dinanzi a Israele l’esempio dei popoli pagani che non conoscono rivelazione eppure rimangono fedeli alle loro divinità: neppure uno degli altri popoli, da oriente ad occidente (da Kittim=i fenici a Kedar: gli arabi) ha osato mai abbandonare il suo dio! Ma questo è avvenuto per Israele! Isaia, dinanzi a questa stessa amara constatazione, poneva come esempio gli animali senza ragione: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is 1,3). Paolo commenterà la stessa insensatezza, ma riferita all’umanità priva di ragione nella ricerca del Dio vivo, affermando nella lettera ai romani: “hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (1,23)
Israele dunque ha compiuto l’insensatezza di rincorrere stoltamente “idoli vani” in luogo del sottostare alla “Gloria di Dio” (Kabod) che gli avrebbe assicurato protezione e vita. “Kabod-Gloria” è in opposizione ad “Hebel-Idolo”: Kabod dice l’essere pesante, robusto, forte, sicuro, ed è la stessa gloria che Israele aveva contemplato mentre era in fuga dall’Egitto (Es 16,7-10) e nella teofania del Sinai (Es 24,6), nella tenda del convegno nel deserto (Nm 14,10.20): la sua manifestazione era costante richiamo all’azione salvifica e alla presenza costante di Dio.
Si conclude questa parte di denuncia evidenziando da parte dell’accusatore che l’accusato ha commesso due gravi delitti: “Perché il mio popolo ha commesso due iniquità” (da notare che pur commettendo i due reti/peccati Israele rimane sempre per JHWH il “suo” popolo!). In cosa consistono questi due delitti? Il primo è di aver “abbandonato me, sorgente di acqua viva”. Il secondo è di aversi “scavato cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua”. L’antitesi tra il Dio vero e gli idoli vuoti è evidente. Nel nostro testo l’immagine della cisterna è legata in modo polemico al culto di Baal, il dio cananeo della fecondità che secondo i suoi seguaci garantiva la pioggia e l’acqua necessaria. Geremia ricorda ad Israele che solo il Signore è la sua vera fonte di vita: acqua di sorgente perenne e non discontinua come quella dei torrenti (cfr 15,18) alla quale attingere inesauribilmente: “poiché in te è la sorgente della vita” (Sal 36,10). Nel Nuovo Testamento Giovanni riprenderà questa immagine facendone simbolo della grazia che scaturisce dal mistero pasquale di Cristo.[4] Nonostante questo l’uomo preferisce andare a cercare acqua altrove! Da dove proverrà tale diffidenza e sospetto nei confronti di Dio? Siamo rimandati con questo a prendere in considerazione l’origine di tale atteggiamento ambiguo da parte dell’uomo nei confronti di Dio (cfr Gn 3).
per la riflessione
San Paolo apostolo ai cristiani di Corinto scrive: “O miei cari, fuggite l’idolatria!” (1Cor 10,14). Anche per noi sussiste il continuo rischio di rivolgerci, per ottenere salvezza, a “idoli vuoti” divenendo noi stessi inconsistenti, esistenze senza fondamento solido.
Possiamo andare anche noi in cerca di acqua, ovvero di vita, in “cisterne screpolate nel deserto” dimenticando che la sorgente di acqua viva è il costato trafitto di Cristo (cfr Gv 19,34) che testimonia la fedeltà di un Dio che si annuncia come “Amore”..
Questo a motivo della diffidenza che abita le profondità del nostro cuore per cui non fidandoci di Dio andiamo a cercare altrove una risposta all’ansia della vita che ci abita. E’ questa in definitiva la radice di ogni peccato.
Preghiera conclusiva
Piango il presente e detesto il passato, temo per il futuro la colpa che ho commesso: e nel mio orgoglio leggo il tuo giudizio. La tua bontà, Signore, supera la mia ingiuria: usala con dolcezza, come fa il padre col figlio: meno avessi peccato, minore sarebbe la tua grazia. (Mathurin Régnier (1573-1613))
[1] “Grida a squarciagola, non aver riguardo;come una tromba alza la voce;dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati” Is 58,1; “Chi fra di voi porge l’orecchio a ciò, vi fa attenzione e ascolta per il futuro?” Is 42,23; “A chi parlerò e chi scongiurerò perché mi ascoltino? Ecco, il loro orecchio non è circonciso, sono incapaci di prestare attenzione. Ecco, la parola del Signore è per loro oggetto di scherno; non la gustano” Gr 6,10; “ Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi procedettero secondo l’ostinazione del loro cuore malvagio e invece di voltarmi la faccia mi han voltato le spalle” Gr 7,24; cfr 11,8. Anche Giovanni il battezzatore dovrà “gridare” il suo Kerigma nel deserto di Giuda: “Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia». (Gv 1,23)
[2] Cfr il tema della “sequela” nei testi neotestamentari
[3] “Voi siete i miei testimoni – oracolo del Signore – miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà. Io, io sono il Signore, fuori di me non v’è salvatore (Is 43,10-11); “Così dice il re di Israele, il suo redentore, il Signore degli eserciti: «Io sono il primo e io l’ultimo; fuori di me non vi sono dèi. Chi è come me? Si faccia avanti e lo proclami, lo riveli di presenza e me lo esponga. Chi ha reso noto il futuro dal tempo antico? Ci annunzi ciò che succederà Non siate ansiosi e non temete: non forse già da molto tempo. (Is 44,6-8) ; “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore. Saranno confusi e svergognati quanti s’infuriano contro di lui; se ne andranno con ignominia i fabbricanti di idoli. Voi siete miei testimoni: C’è forse un dio fuori di me o una roccia che io non conosca?” (Is 45,15-16)
[4] Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,10-14);
“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». (Gv 7,37-38)
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