di p. Attilio F. Fabris
Il brano segue immediatamente quello del fallito tentativo di arresto di Gesù da parte dei farisei e dei capi dei sacerdoti. Il clima attorno a Gesù è dunque molto teso. La nostra pericope è poi seguita dall’insegnamento di Gesù che si proclama luce del mondo, e il retto giudizio e retta testimonianza che necessitano per incontrarsi con lui (cfr. 8, 15.17).
v. 1: verso il Monte degli Ulivi
Siamo a Gerusalemme, nel Tempio. Gesù è ormai conosciuto. Sono molti quelli che lo incontrano e lo ascoltano.
Questo andare e venire dal Monte degli Ulivi al Tempio è un particolare che fa riferimento soprattutto all’ultima settimana della vita di Gesù (cfr Lc 21,37-38; 22,39; At 1,12). Indirettamente è un rimando al dramma della passione, dell’arresto, della condanna a morte di Gesù stesso.
v. 2 All’alba:
annotazione temporale. La scena si svolge sul far del giorno. L’adultera viene dunque sorpresa e arrestata dopo la notte.
v. 2: sedutosi li ammaestrava.
Sul far del mattino Gesù sale al Tempio. E qui svolge il suo insegnamento: è un insegnamento quotidiano che Gesù tiene a tutto il popolo (Lc 19,47; 20,1; 21,37).
Questo riferimento a “tutto” il popolo è espressione che rimanda a tutto il popolo di Israele quando si pone in ascolto della Parola di Dio: Neemia 8:9 «Neemia, che era il governatore, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge».
E’ immagine del nuovo popolo di Israele, la Chiesa, che si pone in ascolto della Parola. Ma ci interroghiamo: che spazio ha l’ascolto nel nostro vissuto comunitario?
Il suo insegnamento sembra qui prendere il posto del culto liturgico al santuario.
Gesù è nella posizione del maestro. “sedutosi”. La sua parola è una parola che intende “ammaestrare”, “istruire” (edidasken): riguardo chi? Che cosa? Sicuramente Gesù parlava del Regno di Dio che lui desiderava veder instaurarsi in Israele.
v. 3: scribi e farisei
Chi sono?
Gli “scribi” all’interno della struttura del popolo ebraico postesilico, e dopo la scomparsa dell’istituzione profetica, avevano assunto il ruolo di guida spirituale del popolo. Erano molto stimati e apprezzati dal popolo. Essi svolgevano un ruolo preminente nell’ambito sinagogale dove l’istituzione sacerdotale non era indispensabile. La loro preoccupazione era di difendere la purezza della legge “ergendole intorno una siepe” fatta di minuziosa casistica di comandi e proibizioni.
I “farisei” (“separati”) al tempo di Gesù si erano radunati in un partito politico-religioso. Essi si appoggiavano alla classe degli scribi e sull’istituzione sinagogale. Erano uomini “votati alla legge”. Erano forti del loro zelo e dell’ideaale religioso. Questa ricerca li opponeva al resto del popolo.
Sono costoro dunque che portano a Gesù la donna adultera che ha tradito la Legge di Dio.
Scribi e farisei rappresentano l’uomo nella sua ricerca di giustificazione di se stesso dinanzi a Dio e agli altri. Ma questa ricerca rischia di operare divisione, spaccatura, durezza, intransigenza perché è rifiuto costante di quel limite morale che comporta un’esperienza di morte nel cuore dell’uomo.
Una donna sorpresa in adulterio
Cerchiamo di identificare questa donna nella sue esperienza.
E’ una donna probabilmente sposata. Una donna del popolo che non è difesa da nessuno. Forse una poveraccia. Com’è la sua vita matrimoniale? Perché e da che cosa è dettato questo tradimento?Una donna, che probabilmente non ha mai visto Gesù. O se l’ha visto certamente non è stato per lei sinora un incontro determinante. Una donna che continua a “cercare” il senso della sua vita, ma su strade diverse, lontano dallo sguardo di Gesù. Questa donna vive una sua storia fatta di bisogni e di attese. Non gli basta quello che ha. Una storia forse che non ha neppure scelto né voluto. Una cosa comunque è certa: non ha trovato quello che cercava all’interno del suo legame familiare e nell’intimità della sua relazione matrimoniale. Non è riuscita a saziare la sua sete di amore ricevuto e dato. Come mai? Perché?
Ha sì cercato un incontro. Solo umano. Fatto di sotterfugi. Si accontenta. Si lascia cadere di una ricerca di soddisfazione che forse sa’ già che si rivelerà un’altra volta deludente.
E’ accaduto l’imprevisto. Un fatto drammatico. Ancora una volta essa prende coscienza di essere fatta solo strumento, e forse per l’ultima volta! Strumento di un uomo che ha approfittato di lei per poi abbandonarla senza cercare di difenderla… Dopo averla usata l’abbandona al suo destino in modo irresponsabile. E quante volte il più debole è abbandonato alla sua sorte nello stesso modo! L’amante si salva la vita a scapito di quella donna. Ma l’amore dov’era?
E’ vittima di una violenza, che le toglie l’intimità, l’identità, la dignità… Scopre l’amarezza e il disgusto per essersi accontentata degli uomini…
Come hanno fatto a scoprirla? Chi l’ha scoperta? Il marito? Un complotto ordito da lui?
Cosa passa nel suo cuore nel momento in cui viene scoperta?
Cosa prova mentre viene trascinata da Gesù?
Cosa fa? Cosa dice?
La gente la vede? Cosa fa? Cosa dice?
Lei vedendo la folla che la osserva come reagisce?
La donna tra le mani di quegli scribi e farisei è nuovamente uno “strumento”: essi infatti vogliono “usarla” per scopi che neppure lei lontanamente immagina….
Proviamo ad analizzare le risonanze che si stanno muovendo nel cuore degli accusatori che stanno trascinando la donna da Gesù. Come decidono di portarla da Gesù?
Perché stanno facendo questo? Il testo parla di un “tranello” che vogliono tendere al giovane rabbi. Ma quale il motivo di fondo che detta l’orchestare di questo “tranello”?
Cosa vogliono dimostrare? Che cosa vogliono difendere? Quale l’obiettivo che vogliono raggiungere? Raggirare Gesù: perché?
Una cosa è certa: essi stanno comportandosi con cuore doppio, con un secondo obiettivo (quello vero che non è esplicitato).
Postala nel mezzo:
E’ l’atteggiamento dell’interrogatorio giudiziale (cfr At 4,7).
Quella donna è lì al centro: in piedi dinanzi a tutti. Nella sua veste strappata e nel ruolo di condannata, vede dinanzi a sé immediatamente la fine tragica della sua vita così sbandata. Nei suoi occhi vediamo il terrore e la solitudine.
E’ sola, pur in mezzo alla folla, posta al centro degli sguardi perfidi e perversi dei suoi accusatori e di tutti i presenti. Sotto gli occhi della Legge di quel Dio nel Tempio che è la sua dimora e nel quale ora si trova. (cf Dt 22,22ss; Lv 18,20; 20,10; Es 20,14)).
Per l’accusa erano indispensabili due testimoni escluso il marito (Dt 19,15).
Proviamo ad ascoltare le sue risonanze
v. 5: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.
Vi è qui un raccordo tra Gesù che “insegna” al popolo e l’appellativo e la richiesta da parte di costoro di un verdetto dinanzi ad un fatto incontestabile: “Maestro – Didàskale…”. Ossequiosi quanto al titolo da dare, certamente! L’etichetta è rispettata, ma nella coscienza ben altro si muove.
“ci ha comandato di lapidare” (cfr Lv 20,10; Dt 22,21; Ez 16, 38-40).
E’ la condanna a morte decretata per adulterio.
L’accusa è chiara. Senza appello di giustificazioni o di ricerca dei motivi. Quel che conta è l’accaduto criminoso e basta. Il vissuto della donna a loro non interessa minimamente. Gli interessi sono rivolti ad altro: la Legge deve essere difesa a scapito della persona! Per cui se la situazione per loro è quanto mai chiara allora la condanna è già decisa. Probabilmente non è stato ancora pronunciato il giudizio ufficiale del tribunale religioso. (nel 30 dC viene tolto la sinedrio lo “jus gladii”).
Ma allora che cosa vogliono da Gesù? Qual è il loro vero obiettivo?“Tu che ne dici?. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo”.
Quindi l’obiettivo che vogliono raggiungere in realtà è un altro. E’ quel che si suol dire: “Prendere due piccioni con una fava”!.
Essi sperano all’interno di un confronto religioso-giuridico con Gesù di aver di che per condannarlo. La situazione vuole essere un tranello teso a Gesù: egli avrebbe dovuto pronunciarsi pro o contro il diritto giudaico, oppure contro il diritto romano che non permetteva ai giudei la pena di morte e quindi passare per un rivoluzionario (vedi il racconto del tributo a Cesare: Mt 22,15-22).
In questo subdolo atteggiamento vediamo svelata tanta malignità nel cuore dell’uomo. Egli spesso non si confronta con la realtà nella ricerca spassionata della verità ma vuole sottomettere la realtà e la verità ai suoi meschini obiettivi che sono in questo caso di potere. La realtà non conta ma contano i miei progetti e le mete che mi prefiggo.
v. 6b: tracciava segni per terra:
Gesù non intende intervenire. Vuole spostare la questione su un altro livello. Gesù non si fa’ immediatamente incontrare da dalla donna né dai suoi accusatori. E’ chino a terra a testa bassa.
Che risonanze prova dentro di sé mentre è chino a terra? Annoiato. Amareggiato. Silenzioso. Sofferente?
Comprende l’animo doppio degli accusatori a cui non interessa la ricerca della verità ma solo trovare un espediente per la condanna della donna e sua. I fin dei conti lì gli accusati sono due: Gesù e l’adultera!
vv.7-8 E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Alla fine dietro le loro insistenze impazienti e malignamente ansiose, Gesù volge uno sguardo alla donna, un sussulto di infinita tenerezza. Deve liberarla dalla mano degli assassini: amante e scribi. Sente di doverla riconsegnare a se stessa nella libertà.
“scagli la prima pietra“: occorre confrontare l’importanza data al primo che scagliava la pietra: “La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire; poi la mano di tutto il popolo; così estirperai il male in mezzo a te” (Dt 17,7). I testimoni lancino la prima pietra.
In fin dei conti Gesù, con queste parole “lapidarie”, ribalta il dettame della legge: se lì è il testimone del male che condanna qui dev’essere la cosceinza di chi è senza peccato. Gesù mette così a confronto gli accusatori non con la legge, ma con la loro coscienza.
Gesù non si lascia intrappolare da scribi e farisei in una discussione di tipo giuridico-religiosa. Pronuncia sì una sentenza di giustizia penale ma in termini religiosi e non semplicemente giuridici. Gesù non si ferma alla lettera della legge ma discende in profondità per cogliervi lo spirito che la anima e senza il quale essa è solo portatrice di morte.
Gesù invita a passare dalla legge da eseguire e obbedire ad una legge da assimilare interiormente e che interpella la coscienza e la responsabilità personale.
v. 9 se ne andarono
Tutti se ne vanno. (anche la folla?).
Proprio tutti: dal più anziano al più giovane. Dai più “autorevoli” agli ultimi. Perché in quest’ordine?
v. 10 Rimasero solo loro due
Sono ormai soli, finalmente, lui e la donna. La donna lo guarda in modo interrogativo. “Relicti sunt duo, misera et misericordia” (Agostino).
Gesù trae fuori dalla sua solitudine e dalla sua angoscia quella donna e le apre un nuovo orizzonte. Gesù non vuole giudicare né condannare in base alla legge. Non vuole un giudizio che prenda in considerazione la persona nel suo passato.
La donna si rende conto di essere stata salvata da lui: ma perché? Si rasserena. Finalmente incontra il suo sguardo.
Una domanda Gesù le rivolge: “Nessuno ti ha condannata?”. Una domanda evasiva, scontata ma è un ponte gettato tra Lui e lei.
Non potrà avvenire infatti un incontro con lui se non nella dignità, nella libertà, nel desiderio di incontrarlo. Quella donna se avesse potuto sarebbe scappata ovunque. Certamente non avrebbe mai voluto trovarsi lì. E finalmente vi può essere l’incontro che riconsegna la donna a se stessa rimettendola in cammino nella sua dignità.
Nei cortili del Tempio, luogo della salvaguardia della Legge divina, Gesù libera una donna peccatrice dalla morte. E’ un annuncio solenne che Dio è il Dio della vita e non della morte.
v. 11 Va’ in pace e non peccare più
Una sola parola esce dalla bocca di Gesù. L’invito a vivere il suo futuro in una nuova condizione quella inaugurata dal dono. Gesù le restituisce la sua libertà e dignità, le dice di cercare ancora ma oltre ciò che aveva cercato fino a quel momento. Un invito a non continuare a sbagliare il bersaglio nella sua ricerca di vita e di amore.
Il peccato non è più stabilito in rapporto alla legge, ma alla libertà. La condizione per vivere nella libertà da quella condanna che fa leva sulla legge, coincide con la libertà di non peccare più. Ma questo è un dono non un imperativo di tipo morale. La legge condanna al passato la parola di Gesù, la sua buona notizia, libera puntando al futuro.
Certo che questo schierarsi di Gesù dalla parte della libertà e della vita diverrà per lui ulteriore capo di accusa e motivo di odio.
Se egli libera la donna assume però su di sé il peso del suo peccato. Ancora una volta contempliamo l’amore-dono che preferisce perdere la sua vita per donarla all’uomo nella gratuità più grande, “fino alla fine”, “fino alla morte”.