• 21 Dic

    LE TRE COMPONENTI DELL’ ATTENZIONE
    NELL’ESICASMO CRISTIANO

    di PAOLO OTTAVI  PSICOLOGO

     

     

    PREMESSA

    Quella che presentiamo in queste pagine è una teoria dell’attenzione. Quantunque sia stata estrapolata a partire dalle opere di autori appartenenti ad un contesto particolare —il monachesimo cristiano antico— essa rappresenta comunque una teoria generale —ovvero un sistema di coordinate all’interno del quale è possibile inquadrare e spiegare una serie di dati osservativi— e la cui bontà o meno deve venire valutata come quella di qualunque altra teoria, cioè in funzione della quantità di dati dell’esperienza che riescono a trovare un ordine e un senso all’interno di essa.

    1. CHE COS’È L’ESICASMO

    L’Esicasmo (dal greco esychía, ‘quiete’) è una corrente della spiritualità cristiano-orientale di stampo prevalentemente monastico. Ciò a cui ci riferiamo con questo termine è una realtà che copre un arco di tempo assai vasto: dal IV sec., l’epoca dei Padri del Deserto e dei grandi legislatori monastici, al 1870, data di pubblicazione dei ‘Racconti sinceri di un pellegrino al suo padre spirituale’ definitivo suggello dell’Esicasmo russo.

    L’Esicasmo è pertanto quella tradizione che a diritto raccoglie l’eredità del monachesimo primitivo, quel monachesimo con una spiccata vocazione ascetica che fu dei primi Padri, a partire da s. Antonio; soltanto che traduce l’ascesi corporea in un’ascesi mentale, la lotta per il controllo del corpo in una lotta per il controllo della mente. In ciò esso assorbe anche la forte tendenza mistica propria dei grandi Padri cappadoci del IV secolo (Basilio Magno, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e soprattutto Evagrio Pontico), una mistica influenzata indubbiamente da neoplatonismo e origenismo, ma con notevoli tratti originali. Tra questi, la netta impronta ‘psicologica’ che distingue gli scritti già dei primi autori propriamente ‘esicasti’ —ovvero quelli della scuola del monte Sinai, fiorita tra il VI e VII sec. (Nilo, Giovanni Climaco, Esichio di Batos, Filoteo Sinaita)— e che si sviluppa e si arricchisce nelle varie tappe del suo lungo percorso storico.

    1. PERCHÉ L’ATTENZIONE? LA SFIDA DELLA PREGHIERA INCESSANTE

    Quali sono i motivi che portano dei monaci, dediti ad una vita solitaria, con un minimo di attività manuale di sostentamento, ad opere di pietà e al rispetto dei comandamenti, a sviluppare un interesse così forte, ipertrofico —spesso addirittura dismorfico rispetto alle stesse questioni teologiche— nei confronti dell’attenzione e dei modi per renderla il più possibile stabile, solida, orientata? Tutto ciò nasce dalla sfida, lanciata dai Padri, di prendere alla lettera l’esortazione di s. Paolo alla comunità di Tessalonica di «pregare incessantemente» (1Ts 5,17). Come mettere in pratica questo comandamento se non partendo da un efficace ‘allenamento’ e da una ristrutturazione profonda dell’attenzione tale da rendere possibile per un tempo indefinito l’orientamento della mente?

     a) ridefinizione della preghiera: orationis status

    Innanzi tutto essi pervengono ad una ridefinizione di preghiera: non si tratta di formule da recitare, o per lo meno non solo di questo; la preghiera è uno stato, una diàthesis, una disposizione stabile dell’individuo, un modo di essere-nel-mondo, costantemente orientato verso il polo divino. Chiameremo tale situazione esistenziale dell’individuo orante teotropismo. Ciò che qui ci interessa è vedere come essi giungono ad ottenere tale disposizione stabilmente orientata e cosa intendono con il termine prosoché, ‘attenzione’.

     b) La teoria tripartita dell’attenzione

     Tra i Padri, e in modo particolare tra quelli greci, vi è assoluta concordanza nel considerare l’attenzione quale strumento insostituibile ai fini dell’evitamento del peccato, della pratica dei comandamenti e delle virtù, della meditazione e della preghiera; in una parola, dell’intero cammino di autosviluppo cristiano, e specialmente di quello di stampo monastico. Praticamente in ogni autore esicasta troviamo un accenno o una definizione o un elogio dell’attenzione; forse il più famoso è quello scritto da Niceforo il Solitario, considerato l’‘inventore’ del metodo psicofisiologico dell’Esicasmo: Alcuni dei santi hanno detto che l’attenzione è sorveglianza della mente, altri che è custodia del cuore, altri, sobrietà, altri, quiete [esychía] della mente e altri altre cose. Ma tutte queste sono un’unica e medesima definizione […]. Impara bene che cosa è attenzione e che cosa sono le sue proprietà. Attenzione è indizio chiaro di conversione; attenzione è invocazione dell’anima, odio del mondo e ascensione a Dio; attenzione è rifiuto del peccato e ricupero della virtù; attenzione è piena, indubitabile certezza del perdono dei peccati; attenzione è principio, o meglio, fondamento di contemplazione, giacché per essa Dio si affaccia e si manifesta alla mente; attenzione è imperturbabilità della mente, o meglio, è lo stato di imperturbabilità [«il suo stato immobile»] data in premio all’anima, dalla misericordia di Dio. Attenzione è purificazione dei pensieri, tempio del ricordo di Dio, custode della sopportazione di ciò che sopravviene; attenzione è causa, insieme, di fede, speranza e carità.

    Ci sembra di poter individuare, all’interno dell’universo semantico dell’Esicasmo, tre dimensioni generali dell’attenzione, e, conseguentemente, tre grosse cornici entro le quali inquadrare la totalità delle pratiche di autosviluppo proprie del monachesimo antico.

    Definiamo queste dimensioni come:

    discernimento o attenzione al molteplice;

    concentrazione o attenzione al singolare;

    orientamento o attenzione al molteplice ed al singolare simultaneamente.

    Di ognuna di esse a) daremo una definizione, b) forniremo una panoramica delle tecniche atte a svilupparla e c) ne individueremo le finalità, o, meglio, illustreremo le caratteristiche dello stato (di coscienza) ultimo che discende da una perfetta padronanza di quel livello di attenzione.

    1. L’ATTENZIONE/DISCERNIMENTO

    a) definizione

    Come giustamente viene sottolineato nel Dizionario di Spiritualità non si deve concepire l’attenzione solo come un’immobilizzazione, quasi una fissazione, su un dato. Essa appare […] più spesso come una caccia, una ricerca, uno slancio orientato, come una direzione del pensiero, mobile ed attivo, alla ricerca di un oggetto. Dunque, l’attenzione come ‘potere di selezione’ e come ‘discernimento’, ‘discriminazione’ da operare sui dati di realtà, sugli stimoli, sui pensieri, sulle immagini mentali. Supporto decisivo nella lotta contro la tentazione, in ciò che i monaci chiamano ‘combattimento spirituale’.

    b) tecniche

    Le tecniche più usate a questo scopo vanno dal più generico esame dei pensieri, consistente in una guardia costante ad ogni movimento e ad ogni minima forma prodotta dalla mente —al fine, secondo le parole di Esichio di Batos, di «vedere subito, mentre si formano, le fantasie dei pensieri nella mente»— al più specifico discernimento della natura dei pensieri. Una formula classica degli Apoftegmi, recita a questo proposito: «Ad ogni pensiero che sorge in te, dì: ‘sei tu dei nostri o vieni dal nemico’? E certamente egli confesserà». Le tecniche più formalizzate, in quest’ambito, sono l’esame di coscienza, diffusa e praticata in ogni tradizione religiosa, e l’exagòreusis o manifestazione dei pensieri ad un padre spirituale . Quest’ultima viene spesso erroneamente identificata con la ‘confessione’ (exomológhesis), ma bisogna considerare che «oggetto dell’apertura del cuore al padre spirituale non sono tanto i peccati, quanto i moti dell’anima (ta kinemata), i pensieri (loghismoi), i fantasmi interiori che affiorano nel cuore e nell’immaginazione. Portati alla luce, oggettivati con l’aiuto di un padre spirituale, essi perdono poco per volta il loro carattere ossessionante, le illusioni vengono smascherate e si apprende, con il tempo la delicata arte del discernimento degli spiriti».

    c) finalità: portare allo scoperto ciò che è nascosto: ovvero l’arte del discernimento.

    Tutte queste metodiche brevemente esposte, e molte altre ancora, si propongono di creare e stabilizzare nel monaco uno stato continuo, incessante, di vigilanza sugli stimoli che influenzano il sistema e sulle reazioni individuali ad essi, una «stabile continuità dell’attenzione» (Esichio di Batos), stato che spesso viene indicato con il termine nepsis, ‘sobrietà’. Il fine quindi cui tendono tutte queste pratiche di sviluppo e ristrutturazione della componente discriminativa dell’attenzione è l’arte del discernimento: discernimento dei pensieri e di ogni moto della mente, la diakrisis noemáton, che per i monaci equivale alla perfetta conoscenza di sé.
    Discriminare per eliminare

    A questo punto, discriminati i pensieri, occorre individuare le tecniche più efficaci che permettono l’eliminazione degli stessi per lasciare spazio alla preghiera e alla preghiera incessante, punto di arrivo del percorso di autosviluppo dell’Esicasmo. Anche qui assistiamo alla definizione di metodiche particolari di allenamento dell’attenzione, ma in una nuova forma, quella che comunemente viene chiamata concentrazione.

    4. L’ATTENZIONE/CONCENTRAZIONE

    a) definizione

    Affermano i Padri che per raggiungere lo stato desiderato della mente senza forma né contenuti, che contraddistingue la ‘vera’ preghiera, cioè lo stato di orazione, la mente necessita tuttavia di un oggetto (una frase, un’idea o un’icona) di meditazione, un oggetto coerente col sistema di valori dell’individuo, cognitivamente ed emotivamente significativo, capace di stimolare la devozione dell’orante, unificare le facoltà mentali, e sul quale far convergere (cioè ‘concentrare’) l’attenzione. Ebbene quella che gli esicasti chiamano preghiera monologica contiene in sé tutte queste caratteristiche.

    b) tecniche: la preghiera monologica (monológhistos proseuché)

    Si tratta della ripetizione, per un tempo ed un numero di volte indefinito, di una frase breve, caratterizzata tipicamente dalla presenza a) del nome divino e b) di un’invocazione. Non è possibile qui neppure sfiorare il tema della ripetizione del Nome divino nella mistica di ogni tempo e luogo.

    In greco la formula fonologica consiste nelle parole: Kyrie Iesoû Christè, Yiè toû Theoû, eleisón me.

    Importanza del contenuto della preghiera

    Ci preme comunque fare una considerazione, forse banale ma sicuramente fondamentale, e cioè che il contenuto di un tale oggetto di meditazione non è per nulla indifferente rispetto agli esiti che ci si propone: vale a dire, su qualsiasi frase è possibile concentrare l’attenzione ed ottenerne quindi un qualche beneficio nei termini di un allenamento dell’attenzione; tuttavia alcuni oggetti mentali hanno un potere trasformativo sul sé e sulla coscienza che altre non hanno affatto, evidentemente in relazione principalmente al contenuto emozionale e quindi motivante delle stesse. Ritengo che, come notava padre Ancilli, la monologia «abbia un potere psicologico assai grande» proprio «in quanto invocazione di un nome e quindi di una presenza».  In altri termini, a mio avviso, la relazione che intercorre tra contenuto dell’invocazione e concentrazione è questa: la preghiera deve diventare evocazione mentale di una presenza significativa e motivante; solo così diviene possibile per l’orante fissarvi l’attenzione assai a lungo o addirittura ‘incessantemente’.

    Il metodo esicastico: tecniche psicofisiologiche

    La tradizione esicasta ha sviluppato una metodologia originale di preghiera centrata su una monologia, la cosiddetta preghiera di Gesù, e corredata di alcune tecniche psicofisiologiche che hanno attratto l’interesse di molti studiosi anche in virtù delle similitudini riscontrate con lo Yoga indiano. Riassumiamo brevemente i momenti essenziali del metodo, così come lo presentano i tre autori ‘classici’ dell’Esicasmo athonita del XIII-XIV sec.: Niceforo l’Esicasta, Gregorio Sinaita e lo pseudo-Simeone il Nuovo Teologo; essi descrivono un processo in più livelli che consistono nel:

    1. assunzione di una certa postura corporea: seduto su uno sgabello «alto una spanna», la testa inclinata ed il mento appoggiato sul petto, lo sguardo concentrato «in mezzo al ventre, ossia sull’ombelico (ómphalos

    2. rallentamento del ritmo della respirazione

    3. esplorazione mentale dell’interno del corpo: «cerca mentalmente dentro le tue viscere, per trovarvi il luogo del cuore, dove risiedono le facoltà dell’anima»

    4. unione della mente con il respiro e forzarla ad entrare con lui nel petto fino al «luogo del cuore». Rappresenta ciò che gli autori russi chiamano «stare con la mente nel cuore».

    c) finalità

    Qual è l’esito di una tale pratica? Secondo la tradizione, è contraddistinto tipicamente da una parte dal superamento del senso di sé La preghiera non è perfetta se l’uomo conserva coscienza di sé e si accorge di pregare» scrive G. Cassiano); dall’altra dall’assorbimento totale nell’oggetto di meditazione, tale che scompare il senso della distinzione soggetto contemplante/oggetto contemplato; come efficacemente si esprime Teofane il Recluso: Nello stato di contemplazione la mente e l’intera visione sono prigioniere di un oggetto spirituale così irresistibile che tutte le cose esteriori sono dimenticate e completamente assenti dalla coscienza. La mente e la coscienza sono a tal punto immerse nell’oggetto contemplato che è come se non le possedessimo più.

    linguaggio apofatico

    Termine di questa pratica, dunque, è l’abbandono della molteplicità ed il rifugio nell’unità transpersonale e trans-egoica mediante la concentrazione. La mente, «diviene senza principio, illimitata, sconfinata, senza figura e senza forma, si riveste di impotenza di parola, esercita il silenzio pieno di stupore, si riempie di diletto e subisce cose ineffabili». Qui si vuole rappresentare lo stato di unione apofatica che promana da una perfetta concentrazione dell’attenzione; è lo stato di hesychía, di quiete e di silenzio mentali, il vuoto (kénos) mistico, in cui alla più totale assenza di percezioni esterne e di rappresentazioni interne, fa da immancabile controparte la completa apertura della coscienza a ciò che la trascende.

    problemi

    In che misura un simile stato di coscienza (o di supercoscienza) può venire mantenuto? Quanto è stabile e quanto può durare questa condizione della mente? È questa la risposta definitiva al precetto di pregare incessantemente? Sembrerebbe non esserci alternativa: o l’assorbimento contemplativo, massimamente concentrato, in stato di esychía, oppure la distrazione nell’effimero.
    Ma c’è una terza via, in cui l’individuo mantiene il legame con la dimensione ‘altra’ che ha stretto durante la preghiera e la contemplazione; è un legame che orienta, che getta un solido ponte fra l’umano ed il numinoso, fra il finito e l’infinito. E, di nuovo, questa terza dimensione corrisponde ad un diverso livello di attenzione e ad una diversa modalità di esercitarla per fini autotrasformativi.

     

    1. L’ATTENZIONE/ORIENTAMENTO

    a) definizione

    Circa un secolo fa William James notava un fatto che è stato trascurato da molti e per molto tempo, cioè che l’attività umana non è tutta guidata puntualmente dalla coscienza attentiva, ma anche dalla stimolazione ambientale. È ciò che succede quando, ad esempio, guidando la nostra automobile, ci capita di essere totalmente assorti in un pensiero, in un ricordo o in una fantasia. L’esperienza comune ci insegna che se la strada che stiamo percorrendo ci è familiare, il percorso noto, riusciamo a raggiungere la nostra meta. Come può accadere che un compito così complesso come quello di guidare —che comporta una notevole quantità di azioni, ognuna delle quali richiederebbe di per sé un alto livello attenzione— possa venire eseguito senza prestargli alcuna —oppure un minimo— di attenzione? Certamente, un ruolo importante viene svolto dall’automatizzazione dei movimenti e delle procedure che intervengono nella guida del veicolo, ma rimane il problema del seguire una direzione, una rotta, avendo la mente completamente assorta altrove. È proprio qui che rileviamo l’importanza dell’intuizione di James: l’individuo è in grado di utilizzare la stimolazione ambientale (strade, semafori, curve, palazzi, ecc.) come una sorta di attenzione ausiliare, che gli permette di orientarsi in un territorio (conosciuto) e di raggiungere una meta pur non fruendo dell’attenzione cosciente, quest’ultima temporaneamente impegnata in un compito interno.Se, come abbiamo visto, questa attenzione ausiliare fornita dall’ambiente permette evidentemente un’economizzazione ed al tempo stesso un’ottimizzazione delle risorse attentive, perché allora non potenziarla mediante un’apposita tecnologia? Per i monaci, peraltro, ciò significherebbe uscire dall’impasse costituito dal problema, cui accennavo prima, del ritorno dello spirituale alla vita di ogni giorno, con le sue occupazioni, gli incontri, le molteplici relazioni. Come giustamente nota il padre Špidlík, gli esicasti, per la loro vocazione specifica, non intendevano ritornare nella vita comune. Eppure la PREGHIERA DI GESÙ di per sé rende possibile questo ritorno nel mondo. Non è un puro caso che il suo propagatore divenne un «pellegrino russo». La vita di questi stranniki significa da una parte un distacco continuo da tutti e da tutto; d’altra parte, però, essa comporta continue novità e contatti del tutto inaspettati. Ma tutte le impressioni nuove vengono avvertite e accettate con una disposizione interiore fissa, prodotta dalla giaculatoria che si ripete sempre e che accompagna ogni incontro.

    b) strumenti: preghiera di Gesù

    Vediamo dunque che la pratica tradizionale della PREGHIERA DI GESÙ rende quest’ultima particolarmente atta ad interagire con le attività della vita quotidiana. La tecnica da utilizzare, in questo contesto, non sarà più quella, descritta in precedenza, associata alle tecniche psicofisiologiche. Là, infatti, si prescriveva l’isolamento e la concentrazione assoluti. Qui, invece, il metodo sarà di tipo associativo, come suggerisce l’Abate Filemone (IV sec.): Abbi dunque questo sempre nel tuo cuore: sia che mangi, sia che beva, sia che ti trovi in compagnia di qualcuno, sia fuori di cella, sia per strada, non ti scordare di fare questa preghiera con mente sobria e intelletto stabile […] per adempiere il detto apostolico che prescrive: pregate incessantemente (1Ts 5,17). Fa’ attenzione, dunque, con cura e custodisci il tuo cuore, che non accolga pensieri cattivi o, in qualche modo, vani e inutili; ma sempre, quando dormi e quando ti alzi, quando mangi e quando bevi o sei in compagnia, in segreto, mentalmente, il tuo cuore ora mediti i salmi ora preghi: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me.

    La tradizione successiva preciserà che quello che bisogna fare, piuttosto che evitare gli stimoli esterni come distrazioni, è, al contrario, utilizzarli come segnali da associare alla ripetizione della giaculatoria.

    Il ricordo di Dio

    Preghiera incessante non significa solo ‘giaculatoria incessante’. Scrive Evagrio Pontico: «Le ore della tua giornata saranno: l’ora della lettura, l’ora dell’ufficio, l’ora della preghiera; e per tutta la vita, il ricordo di Dio». Il tema del ricordo di Dio (mnéme Theoú) è, forse, il più ricorrente fra gli autori di cui ci occupiamo; tutti ne scrivono, da Gregorio di Nazianzo a Simeone il Nuovo Teologo, dallo pseudo-Macario a Gregorio Sinaita. Ma la teoria più originale riguardo alla memoria Dei la troviamo nell’opera di Basilio Magno: Che voi mangiate, beviate, qualunque cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio. Sei seduto a tavola? Prega. Portando il pane alla bocca, rendi grazie a Colui che te l’ha donato. Se prendi del vino per rinvigorire il tuo corpo indebolito, ricordati di Colui che ti ha fatto questo dono […]. La fame è passata? Che il ricordo del Benefattore non passi. Quando ti metti il vestito ricordati di Colui che te l’ha dato. Quando ti avvolgi nel mantello, accresci il tuo amore per Dio che ti ha provvisto di abiti adeguati per l’inverno come per l’estate […]. La giornata volge al termine? Ricordati di Colui che ci ha dato il sole per compiere il nostro lavoro diurno e che ha messo a nostra disposizione il fuoco per illuminarci la notte e aiutarci nelle altre necessità della vita. […] Quando levi lo sguardo verso la bellezza del cielo stellato, prega il Signore delle cose visibili, adora l’artista che nella sua saggezza ha creato l’universo. Quando vedi tutta la natura animale immersa nel sonno, adora di nuovo chi, per mezzo del sonno, ci libera […] dalla catena delle fatiche, e con un po’ di riposo ricostituisce il vigore delle nostre forze. […] Così, prega senza posa; non si tratta di compiere la preghiera con parole incessanti, ma di unirti a Dio con tutto l’atteggiamento della tua vita, e tutta la tua vita sarà una preghiera continua .

    Qui Basilio sembrerebbe raccomandare un compito ancora più oneroso rispetto alla concentrazione sulla monologia; un compito che richiede un doppio sforzo di attenzione —a ciò che si sta compiendo e a Dio— una sovrapposizione permanente di discernimento e concentrazione. «Quale sistema nervoso umano può sostenere a lungo questa tensione perpetua?» si domanda I. Hausherr, dal momento che Basilio non ammette alcuna restrizione o alleggerimento. Tuttavia, in realtà «il ricordo di Dio consiste in ben altro che in un pensiero giustapposto alla nostra azione. È qualcosa che penetra, influenza, dirige e determina l’attività stessa».
    Per gli esicasti, come per tutti i mistici di ogni tempo e luogo, «Dio è presente in tutto ciò che esiste come causa della sua esistenza. Ogni realtà è quindi teofania», ogni realtà è in grado di suscitare il senso vivo e concreto della presenza di Dio, espressione, quest’ultima, che, pur non rientrando nel vocabolario proprio dell’Esicasmo, è assai vicina alla concezione basiliana della memoria Dei: La PRESENZA DI DIO costituisce l’essenza di ogni vera preghiera: è la preghiera stessa diffusa e virtualmente operante in tutta la vita. Ai momenti di pura preghiera, di ritiro, di silenzio e di arresto totale di ogni attività terrena segue, nella vita di un cristiano impegnato, la permanenza dello stato di preghiera durante tutte le sue rimanenti attività umane. La PRESENZA DI DIO è un’applicazione della mente per prendere coscienza della realtà di Dio e dei suoi misteri, affinché questi penetrino e informino di sé la vita, orientandola e sospingendola verso l’intimità divina.

    c) finalità

    orientamento

    Ci troviamo, evidentemente, in territori assai prossimi a ciò che abbiamo chiamato orientamento, uno stato dell’attenzione che non si riversa esclusivamente sulla molteplicità dei fenomeni né sul singolo oggetto di meditazione, ma opera un reale collegamento tra queste due dimensioni solo apparentemente irriducibili l’una all’altra. Ciò avviene tramite l’utilizzo —a scopo autotrasformativo e di evoluzione spirituale— dell’ambiente di vita del mistico come supporto dell’attenzione.


    preghiera incessante

    Proprio grazie a questa funzione vicaria o ausiliaria dell’ambiente—che opera come una sorta di ‘rammemoramento costante’ (cfr. sanscrito smrti)— nei confronti dell’attenzione, si realizza finalmente quel proposito che è all’origine non solo dell’Esicasmo, ma della scelta monastica in quanto tale: la preghiera incessante.

    1. CONCLUSIONI

    Siamo partiti con l’intento di fare luce sulla tecnologia autorealizzativa dell’Esicasmo cristiano, e di inquadrarne le singole tecniche all’interno di una teoria ‘trimodale’ dell’attenzione: discernimento, concentrazione e orientamento. L’ordine nel quale abbiamo focalizzato i tre temi non è casuale, ma risponde alle tappe psicologiche dell’itinerario spirituale; vediamole in breve:

    1. si inizia con un processo di purificazione e di perfezionamento mentale, che non può non passare attraverso la conoscenza di sé mediante un lavoro di discernimento sui fenomeni esterni e sul riverbero che essi provocano nel dominio della coscienza (fantasie, pensieri, ricordi, ecc.), fino alle motivazioni più profonde e nascoste; tutto ciò al fine di sperimentare uno stato di sereno dominio della volontà sulla sfera del mentale, che consente

    2. il passaggio al momento ‘positivo’ della pratica spirituale, il cui alla concentrazione sulla preghiera di Gesù ed alla sua articolazione con gli altri elementi del ‘metodo psicofisiologico’ esicastico (postura, respiro, esplorazione interiore), fa da sfondo la ferma determinazione all’estinzione dalla coscienza di qualsiasi pensiero (apóthesis noemáton), sia esso positivo o negativo o semplicemente inutile. Stato intermedio, la «discesa della mente nel cuore» o, come dice Teofane il Recluso, «restare nel cuore con attenzione». Termine di questa seconda fase, l’unione mistica, la ‘deificazione’ (théosis), la theologhía evagriana, l’extasis o excessus mentis di Cassiano, la ‘visione della luce taborica’ di Simeone il Nuovo Teologo; stiamo parlando del grado più alto della contemplazione (theoría), che, come abbiamo visto, per i Padri esicasti è eminentemente apofatica, sostanziata di ‘vuoto’ (kénos).

    3. Infine vi è un terzo momento, quello del ‘ritorno’ alla quotidianità, un ritorno che, però, non può non conservare tracce dell’esperienza estatica; avremo allora —in virtù di un quanto mai prezioso utilizzo dell’ambiente e degli stimoli della vita ordinaria in veste di attenzione ausiliariauna condotta trasformata, ri-orientata in un’ottica concretamente e pienamente religiosa, in cui non vengono mai meno il tenace ricordo di Dio e il sentimento vivo della Sua reale presenza, ed in cui, tramite la contemplazione, con occhi del tutto nuovi, della molteplicità dei fenomeni, si attua quel collegamento solido e costante con il Divino, quella preghiera incessante, che da sempre costituisce lo spirito della scelta monastica ma che, in questa forma, non è idiosincratico rispetto alla vita ‘secolare’; tranne doverla interiormente esperire come la vita di un ‘pellegrino’, cioè di uno che, pur fiorendo e radicandosi nel mondo, ne rimane tuttavia intimamente e profondamente estraneo.

     

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    Posted by attilio @ 16:10

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