Il servizio dell’evangelizzazione di Gesù :
Luca 24,36-49
a cura di p. attilio franco fabris
Appare evidente che Gesù nel Cenacolo si comporta esattamente come si è comportato con i due di Emmaus. E’ la pedagogia del Kerigma: offrire a chi è disposto ad ascoltare e a condividere un servizio della Parola che, alla luce della morte e della resurrezione di Gesù, permetta di rileggere tutta la storia della salvezza. Per poter offrire agli uomini questo servizio dell’evangelizzazione, Dio ha lavorato molto nella storia dell’umanità. E Gesù ha faticato molto allo stesso scopo.
Ci spieghiamo.
Distinguiamo l’esistenza di Gesù in tre fasi: la fase prepasquale, la fase pasquale e quella post-pasquale. Nel corso di tutte queste fasi Gesù ha sempre evangelizzato, ma non nello stesso modo. Vediamo perché.
Il servizio di evangelizzazione del Gesù prepasquale non è molto diverso da quello dei profeti, non per nulla l’evangelizzazione di Giovanni Battista si salda con quella di Gesù e il messaggio iniziale è identico: “Il Regno di Dio è vicino. Convertitevi!”. E’ una buona notizia. La piccola comunità dei discepoli di Gesù è tutta protesa all’evangelizzazione del Gesù prepasquale. E quando questi cerca di prepararla agli avvenimenti della passione si trova sempre dinanzi all’incomprensione.
Ma quando Gesù entra nella sua passione evangelizza? Certo, ma non più con le parole ma con i fatti. Il Gesù pasquale parla pochissimo, la sua evangelizzazione consiste nella materialità del suo consegnarsi nelle mani degli uomini. Questa consegna, semplice e totale, è in sé e per sé la Buona Notizia. Il servizio decisivo di Gesù non sta anzitutto nei grandi discorsi ch’egli ha fatto durante la sua predicazione, ma essenzialmente nella sua consegna pasquale. Sono i fatti che evangelizzano più che le parole. Allora a che servono le parole? Le parole servono prima e dopo i fatti a rendere intelligibili questi ultimi, ossia a decifrare, decodificare i fatti che l’uomo non è altrimenti capace di interpretare. Le parole del Gesù prepasquale servono a interpretare la Buona Notizia pasquale. E così le parole del Gesù post-pasquale.
Con la sua resurrezione Gesù entra nella fase post-pasquale del suo ministero di evangelizzazione. Esso consiste nello spiegare a coloro che non hanno assistito alla sua passione e morte il significato dell’una e dell’altra. Perciò il servizio di evangelizzazione del Gesù post-pasquale costituisce il primo “primo annuncio” della storia dell’umanità. In quell’annuncio c’è tutto lui, c’è tutta la sua storia di uomo, la storia della sua relazione con Dio, il suo travaglio, il suo cammino nella speranza, il suo dolore e sofferenza, la sua consolazione e il suo riposo nell’esperienza della fedeltà di Dio.
Il servizio che il Gesù post-pasquale rende ai suoi è di una qualità, di uno spessore culturale inimmaginabile. Esso è la chiave di comprensione del mistero di Dio e del mistero dell’uomo; è la chiave di interpretazione del mistero della creazione e della redenzione, del principio e della fine, di ciò che era prima della creazione del mondo e di ciò che sarà dopo la fine del mondo, l’eternità; è la chiave di lettura dell’escatologia, è la chiave di accesso al mistero della Trinità.
La gloria del Signore della Buona Notizia che si manifesta al piccolo e spaurito gruppo dei discepoli nel Cenacolo non consiste nello splendore della sua onnipotenza, ma nelle piaghe di Gesù crocifisso. Questo è l’identikit del Signore della Buona Notizia. La storia dell’umanità, la vicenda della creazione e della caduta, l’avvio con Abramo della storia della salvezza, la storia di Israele, l’incarnazione, il ministero prepasquale e quello pasquale… Tutto è stato, è e sarà in funzione di questo momento. Da rivolgere a chi? A quattro gatti spauriti! Perché proprio a loro? Perché solo a loro? Perché non una manifestazione a tutto il popolo?
La risposta è chiara: perché il “Primo Annuncio” suppone il confronto con la morte di Gesù, si radica in questo confronto. Suppone ancora che su questa morte ci si interroghi. Ora, i testimoni della morte di Gesù più diretti sono proprio i discepoli. Se Gesù si presentasse al mondo tutta la credibilità della buona notizia sarebbe legata ad un uomo che è resuscitato dai morti, ma nulla più!
La serietà della buona notizia richiede che un prodotto così raffinato, culturalmente sofisticato come è il kerygma si rivolga proprio a coloro che si confrontano con la morte e la resurrezione di Gesù. Questa indicazione costituisce un criterio metodologico di estrema importanza per noi e per i nostri tentativi di evangelizzazione.
La contemplazione delle apparizioni di Gesù risorto ci dice che i discepoli non lo accolgono a braccia aperte. Precisiamo che gli evangelisti non ci aiutano a comprendere questo nello stesso modo.
Mt 28,16-17 (“Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano”); Mc 16,8 (“fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di paura”; 16,9-14 (“ Ma essi udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere… neanche a loro vollero credere… li rimproverò per la loro incredulità”). Giovanni fa eccezione: Gv 20.19-20 (“gioirono nel vedere il Signore”), ma vi l’episodio di Tommaso: Gv 20,27 (“non essere incredulo”), e poi perché quel silenzio in cui non risuona nulla nell’episodio della colazione in riva al lago (Gv 21,9-12)? E’ normale questo comportamento?. In Luca 24,38 Gesù dice: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?”
Capiamo che i discepoli dinanzi a Gesù risorto provano dentro di loro risonanze ambivalenti. La presenza di Gesù rinnova lo scandalo della croce e scatena nelle loro coscienze lo scandalo della resurrezione.
Se il primo scandalo mette in discussione l’identità di Gesù come messia, il secondo scandalo, quello della resurrezione, mette in discussione la stessa identità di Dio scompaginando tutta la struttura di fede prepasquale dei discepoli. E’ per loro un trauma tremendo che mette in discussione tutta la loro fede nell’immagine di Dio fino a quel momento coltivata. Ecco le resistenze da dove nascono. Queste resistenze sono l’ultima disperata battaglia che il Separatore ingaggia contro l’evidenza della Buona Notizia. Si fa forte addirittura della fede prepasquale dei discepoli per opporre resistenza alla Buona Notizia.
Dinanzi a queste resistenze Gesù avrà sofferto molto. E’ per lui ancora una pasqua di passione: non si sente accolto dai suoi (cfr Gv 1). Ma Gesù non si arrende e continua ad offrire ai suoi il servizio della Parola. Questa riflessione ci consente di capire che la disponibilità dell’amore di Dio alla Passione non si è esaurita con l’esperienza pasquale di Gesù, ma è una disponibilità eterna. Una “passione” che continua nel cuore di Dio dal suo essere e farsi Amore-dono. Quindi una passione che non è solo pasquale, ma anche prepasquale e postpasquale.
Gesù consegna questo grande tesoro ai discepoli nel cenacolo. Affinché essi digeriscano, assimilino la ricchezza del primo annuncio, Gesù li affida all’azione dello Spirito. E’ un segno di “impotenza” da parte di Gesù. Egli sa che le sue parole e la sua presenza non basteranno, se il cuore dei discepoli non viene scalfito e penetrato dalla Buona Notizia. Ma questa è un’azione che solo lo Spirito può compiere (cfr Gv 14,26).
Piste di riflessione
∑ Il nucleo della buona notizia è la consegna di se stesso che Gesù fa al Padre e agli uomini. Le parole di Gesù prima e dopo gli avvenimenti della passione e morte servono a spiegare, aprire l’intelligenza a questo mistero. Possiamo affermare che la nostra vita e la nostra predicazione ruoti effettivamente intorno a questo nucleo, oppure esso rappresenta uno dei tanti elementi?
∑ Ritieni importante il cammino che la provincia sta compiendo per incamminarci verso una consapevolezza sempre più profonda del nostro essere radicati nel “Primo Annuncio”? Cosa suggeriresti concretamente? (cfr Regole e Costituzioni, n. 5)
∑ Avvicinarsi ad un Capitolo significa rivivere tutte le dinamiche sinora affrontate. La Chiesa del nostro tempo, per ritrovare la sua identità, ha un bisogno disperato di riscoprire il primo annuncio, per ruminarlo, condividerlo intensamente nei vari cenacoli del nostro tempo. La Chiesa ha affidato il tesoro dell’annuncio del “primo annuncio” proprio alla nostra Congregazione. Questo percorso a ritroso circa il cammino della comunità cristiana primitiva ci porta a riscoprire le origini della nostra stessa identità passionista. E’ tempo di domandarci: la comunità passionista cosa può far di più e meglio, oggi, al servizio del Signore e della Chiesa, per coltivare il tesoro della memoria e del memoriale della Passione?
∑ Spesso siamo presi dall’ansia e ci preoccupiamo di convincere, di persuadere a forza di discorsi e di ragionamenti, di iniziative più o meno eclatanti. Non diamo forse sufficiente peso al fatto che solo la potenza dello Spirito può “convincere” il cuore dell’uomo dell’autenticità della Buona Notizia che annunciamo. E’ Gesù stesso che consegna i suoi all’azione dello Spirito santo, sapendo che essa richiederà tempo, un lungo processo…. E solo dopo questo processo, fatto essenzialmente di “fractio verbi” gli apostoli arriveranno ad un docilità tale da vivere la loro Pentecoste. Solo allora il primo annuncio decolla nel mondo. Tutto questo trova riscontro nella nostra esperienza spirituale ed apostolica?