Chi ama il suo fratello dimora nella luce
1 Gv 2,6-11
a cura di p. attilio franco fabris
Chi dice di dimorare in lui deve comportarsi come egli si è comportato. Carissimi, scrivendo non vi propongo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che voi avevate in dal principio. Il comandamento antico è la parola che voi avete ascoltata. Tuttavia è anche un comandamento nuovo che vi propongo scrivendovi. Ciò è vero in lui e in voi, poiché le tenebre ormai passano e già risplende la vera luce. Chi afferma di essere nella luce e odia suo fratello è ancora nelle tenebre. Chi ama il suo fratello dimora nella luce e in lui non vi è pericolo d’inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre e cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. 1Gv 2,6-11
Siamo in comunità per vivere il Vangelo, e nessuno può pretendere di giungere alla perfezione evangelica solo con la conoscenza personale delle Scritture o l’”osservanza” esterna delle regole: è nella comunità che noi possiamo interpretare Scritture e regole, viverle e metterle in pratica.
La comunità diviene, per usare l’espressione tipica di san Benedetto, la “dominici schola servitii- scuola del divino servizio” il divino servizio che assume il carattere di servizio ai fratelli:
Questo è lo zelo che i monaci devono esercitare con ferventissimo amore: gareggino cioè nel rendersi onore, sopportino con tutta la pazienza le loro debolezze fisiche e morali; si rendano a gara l’obbedienza; nessuno segua ciò che stima utile per sé, ma il vantaggio altrui; la comunità dei fratelli abbia il loro casto amore; l’amore li stabilisca nel timore di Dio; nulla, proprio nulla, antepongano al Cristo che ci conduca insieme alla vita eterna” (Reg. 72).
Comprendiamo come la comunità è il luogo, la “scuola” dell’iniziazione alla sequela del Signore Gesù, in cui ciascuno di noi si gioca totalmente.
IL RISCHIO DI DISTORCERE IL VANGELO
Il vangelo è la “regola” vivente e suprema: esso deve avere il primato all’interno delle nostre comunità.
Ma dobbiamo fare attenzione al fatto che il vangelo posto nelle nostre mani può essere benissimo distorto.
Quando non vi è vita comunitaria, quando manca la corresponsabilità tra i membri della comunità, questo rischio diventa realtà.
Troppo forse si è insistito in passato sulla vita religiosa intesa come cammino di perfezione individuale in cui in fin dei conti non era così fondamentale camminare insieme ai fratelli.
Ne scaturisce una conseguenza fondamentale e decisiva: ciascuno ha bisogno che la sua vita di fedeltà a una chiamata che lo trascende sia sottoposta alla verifica costante di un’educazione e un’edificazione reciproca all’interno della comunità.
I fratelli e le sorelle, quali chiamati come me, divengono regola vivente gli uni agli altri; vivendo la Parola e trasmettendo il loro vissuto diventano strumento, sacramento di Cristo in mezzo a loro.
Quando non vediamo chiaro nella nostra vita, quando non sappiamo rispondere con gioia agli appelli del vangelo, allora Cristo ci parla attraverso i fratelli. Ci dobbiamo domandare se sappiamo svolgere vicendevolmente questo servizio.
Ci domandiamo pure se illusi da ristrette visioni e progetti comunitari siamo stati attenti e aperti nel vedere nei fratelli la regola vivente. Vi è il pericolo che le idee diventino più importanti delle persone.
Torniamo a ripetere che la comunità evangelica per essere vissuta abbisogna di un ambito di fede, capace di leggere anche ogni nostro rapporto con i fratelli. Se manca questa dimensione, i nostri rapporti finiscono per essere determinati solo da affinità e simpatie che a lungo ostacolano o bloccano il nostro cammino di sequela.
Solo la fede ci permette di accogliere la custodia del fratello e l’essere da lui custoditi, di superare le inevitabili diversità.
IL FRATELLO DEBOLE
La preghiera è la condizione che ci permette di non avere una visione deformata del fratello. L’esperienza di fede precede sempre la carità:
Il discepolo di Cristo deve vivere unicamente attraverso Cristo. Quando amerà Cristo a tal punto, forzatamente amerà tutte le creature del buon Dio… Quando ho cominciato ad amare Dio prima di tutto, in questo amore di Dio ho ritrovato il mio prossimo, e nello stesso amore i miei nemici sono diventati i miei amici, anzi creature divine… E’ lo Spirito che parla in me e dice: occorre morire per Cristo… (A. Spiridione, Le mie missioni in Siberia).
Nella contemplazione, nell’esperienza dello e nello Spirito, raggiungo questa certezza: di fronte a Dio ci vediamo fratelli che condividiamo il bisogno di perdono, riconciliazione, misericordia da parte del Padre, e bisognosi gli uni degli altri per una vicendevole correzione e custodia fraterna, tutti senza distinzione sono accolti nel mio cuore:
Perdonaci tutti, benedici tutti, ladroni e samaritani, quelli che cadono lungo la via e i sacerdoti che passano senza fermarsi, tutto il nostro prossimo; i carnefici e le vittime, quelli che maledicono e quelli che sono maledetti, quelli che si ribellano contro di te e quelli che si prostrano davanti al tuo amore. Prendici tutti in te, Padre santo e giusto (Preghiera dei cristiani perseguitati in Russia)
Chiunque fa esperienza di un’autentica preghiera non può non uscire con tali sentimenti: ne esce con gioia e gratitudine per il perdono offertogli da Dio, con la chiara sensazione di essere un nulla di fronte al Signore. Tale esperienza ci permette allora di capire e perdonare le colpe e le debolezze del fratello.
Ogni giorno ci troviamo di fronte fratelli deboli e poveri umanamente, affettivamente, psicologicamente, fisicamente. E’ la condizione normale della comunità cristiana! Ce lo ricorda Paolo apostolo:
Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a dio (1Cor 1,26-29).
La comunità cristiana non si pone sotto il segno della forza e della sapienza umana, ma sotto il segno della debolezza e stoltezza di Gesù crocifisso.
La tentazione sarà talvolta quella di rincorrere e richiedere alla comunità forza e sapienza umana: occorre guardare alla debolezza della croce.
La comunità e ogni singolo è chiamato a riporre la sua gloria solo nel Signore e non in ciò che è immanente.
Perciò guai a noi se disprezziamo il fratello perché è debole e povero, o addirittura perché maggiormente crocifisso: ciò significherebbe contraddire la sapienza del vangelo.
Allora siamo chiamati ad assumere due atteggiamenti precisi:
- farci custodi del fratello debole cogliendo in lui l’immagine di Gesù sofferente e il sacramento di ciascuno di noi bisognoso della misericordia di Dio
- stimolare, aiutare con parole e gesti, alla speranza, alla gioia del dono di sé. Essere accanto al fratello debole come sacramento di Gesù “colmo di viscere di compassione”.
Solo a questa condizione la benedizione della Trinità, promesse dal Sal 133 come rugiada e olio prezioso, potrà scendere nel cuore di ciascuno di noi e di conseguenza nel cuore delle nostre comunità.
Se volessimo trascrivere questo canto della fraternità in chiave cristiana potremmo usare le parole di Gesù nell’ultima cena: Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, dall’amore che avrete gli uni per gli altri (Gv 13,35).
L’olio prezioso, l’olio della consacrazione sacerdotale, penetra nel corpo e nelle vesti santificando e trasformando tutta la persona.
La rugiada dell’Ermon: un’immagine di freschezza in un mondo assolto e arso.
La vita fraterna è tutto questo con la benedizione di JHWH, in un mondo in cui l’esperienza di amore è moneta rara e ansiosamente cercata.
Le parole del salmo sulle nostre labbra si trasformino in preghiera e invocazione sul nostro vivere fraterno:
Ecco quanto è bello e quanto è soave
Che i fratelli abitino insieme!
E’ come olio prezioso sul capo
Che scende sulla barba, sulla barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
E’ come rugiada dell’Hermon che scende sui monti di Sion.
Là JHWH dona la benedizione
E la vita in eterno (Sal 133).
Scheda di lavoro
1- Leggi e medita il brano di 1 Gv 2,6-11
2. Guardo alla mia vita: posso dire di farmi carico, per quello che mi è possibile, del fratello debole umanamente, affettivamente, psicologicamente e fisicamente?
3. Nel considerare la mia comunità la penso sotto il segno della “forza” e della “potenza” umana, o sotto il segno della stoltezza e debolezza della croce?