• 31 Mag

    Chiudi la bocca con porta e chiavistello
    Gc 3,2-10

     

    a cura di p. Attilio Franco Fabris

    Tutti quanti infatti manchiamo in tante cose e se qualcuno non manca nel parlare è un uomo perfetto, in grado di dominare tutto se stesso. Se riusciamo a mettere il freno in bocca ai cavalli e ci obbediscono, noi li guidiamo interamente. Ecco che anche le navi, pur essendo così grandi e spinte da venti impetuosi, sono guidate da un timone minuscolo, a pieno arbitrio del nocchiero. Così anche la lingua è un membro minuscolo, ma può vantare imprese straordinarie. Ecco quanto piccolo è il fuoco e quanto grande è la foresta che esso incendia! E il fuoco è la lingua! Questo mondo di malizia, la lingua, è posta tra le nostre membra: essa che contamina tutta la nostra persona, brucia la ruota della nostra vita ed è poi bruciata essa stessa nell’inferno. Gli animali terrestri, i volatili, i serpenti, gli animali marini, sono stati e vengono domati dall’uomo. Ma nessun uomo può domare la lingua: essa è un male che non dà tregua, è piena di veleno mortale. Con essa noi lodiamo Dio, Signore e Padre, e, sempre con essa, malediciamo gli uomini, che sono stati fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca viene fuori benedizione e maledizione. No, fratelli miei, le cose non devono andare così. (Gc 3,2-10)

    La maggior parte delle offese sono fatte con la lingua.

    San Giacomo già ammoniva: la lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco… (3,5-6).

    I vecchi manuali di morale specificavano puntigliosamente tutte le varie specie di peccati che si commettono con le parole.

    Ad esempio nel capitolo che trattava della diffamazione distinguevano: la calunnia (diffondere notizie negative false); la detrazione (si diffondono vizi e peccati reali segreti); la mormorazione (si discorre di vizi e peccati conosciuti). Notiamo che la diffamazione è ritenuta di per sé peccato grave, salvo restando la “parvità di materia”.

    Uno degli aspetti dell’ascesi della vita comunitaria consiste nell’impegno nel controllare la parole che escono dalla nostra bocca: Pesa le tue parole con la bilancia e chiudi la bocca con porta e chiavistello (Sir 28,25).

    Potrebbe aiutarci una preghiera che troviamo nel libro del Siracide: Chi porrà sulle mie labbra un sigillo di prudenza e un guardiano sulla mia bocca, affinché io non cada per colpa loro e la mia lingua non sia la mia rovina? O Signore, padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi all’arbitrio delle mia labbra (Sir 22,27-23,1).

    Dominare la propria lingua non è un’impresa facile: Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di essere marini possono essere domati e, difatti, sono stati domati dall’uomo, ma nessun uomo è riuscito a domare la sua lingua; essa è un male ribelle, è piena di veleno mortale (Gc 3,7-8).

    Gli attributi che vengono applicati alla lingua sono quelli di “serpente” (Sal 140,4), “coltello affilato” (Sal 52,4), “spada di acciaio” (Sal 57,5), “flagello” (Sir 28,17).

    Però la lingua non è solo portatrice di morte fortunatamente.  Essa può dare anche la vita. Vi sono parole che incoraggiano, che infondono speranza e gioia.

    Gesù ebbe solo “parole di vita eterna”.

    Dovremmo interrogarci chiedendoci: come sono le mie parole? Danno la vita o portano la morte? Converrebbe chiederlo a quelli che mi circondano.

    Se mi accorgo di pronunciare parole di morte dovrei ricercarne la causa nel profondo di me stesso, nelle mie disposizioni interiori nei confronti della vita e degli altri. Diceva a questo proposito sant’Alberto Magno: Quando la bocca di qualcuno è maleodorante, è segno che dentro di lui il fegato e lo stomaco non funzionano bene; allo stesso modo, quando qualcuno pronuncia cattive parole, è segno che il suo cuore è malato (Trattato sulle virtù, 2).

    Un piccolo cammino ascetico potrebbe consistere in un primo tempo a riconoscere umilmente che ci piace il pettegolezzo, la mormorazione, la calunnia. Spesso si sente dire: “A me non piace pettegolare, ma…”. Dovremmo invece riconoscere: “A me piace moltissimo pettegolare… Mi piace moltissimo curiosare tra i panni sporchi degli altri”. Il primo passo per la cura è la sincerità.

    Un secondo passo sarà quello di analizzare quali sono gli atteggiamenti e i sentimenti negativi che si trovano alla radice delle nostre critiche.

    Ad esempio prenderò coscienza della leggerezza e superficialità con cui parlo degli altri.

    Teniamo presente che non è vero che “le parole sono portate via dal vento”.

    San Giovanni d’Avila ammoniva: Stupisce molto vedere come le parole, essendo di scarsa mole e leggere come il vento, acquistino un peso tanto grande da trasformarsi in chiodi profondamente conficcati. Sono leggere nella sostanza, ma molto rilevanti nel bene e nel male che producono a seconda che sono buone o cattive.

    Occorre rinunciare  di pronunciare le parole senza riflettere, di parlare tanto per parlare: Nel molto parlare non mancherà il peccato (Pr 10,19). Occorre imparare a stare in silenzio! Se la polvere delle parole morte si posa su di te, lava la tua anima col silenzio (Tagore).

    “Apri la tua bocca solo se sei sicuro che ciò che stai per dire è migliore del silenzio” (Proverbio arabo).

    Occorre ancora imparare ad ascoltare. La natura ci ha fornito di due orecchie e di una sola bocca! L’uomo sia pronto ad ascoltare e lento a parlare (Gc 1,19) perché dovremo rendere conto di tutte le parole inutili (Mt 12,36). San Vincenzo de’ Paoli diceva: dovremmo avere la stessa difficoltà ad aprire la bocca come ad aprire la borsa per pagare.

    Un altro vizio contro cui bisogna combattere  è la vanità. Ci piace essere ritenuti ben informati su tutto e su tutti. Per quante persone non c’è soddisfazione migliore che diffondere una brutta notizia. Ci ammonisce il Siracide: Hai udito qualcosa? Fa’ in modo che rimanga custodita dentro di te. Coraggio, non creperai per questo (Sir 19,10). Disgraziatamente sembra che molti ritengono di crepare se non lo fanno.

    Accanto al desiderio di apparire ben informati c’è anche quello di essere ritenuti sagaci. Ci piace fare analisi psicologiche sulle persone, psicanalisi a buon mercato mirante ovviamente a darci ragione. Siamo prodighi di aggettivi: “Tizio è un narcisista”, “Caio ha il complesso di Edipo irrisolto”, “Sempronio soffre di impulsi masochistici” .

    Accanto a questo mettiamo l’atteggiamento peggiore e più distruttivo che è l’ironia malevola, capace letteralmente di distruggere una persona.

    I diffamatori sono realmente detestabili. Osservava Diderot: Chi parla male di tutti davanti a te, parlerà anche male di te davanti a tutti.

    Un’altra causa, forse la più prevalente, è l’invidia. Non riusciamo a sopportare le persone che spiccano, che ci superano con le loro qualità. L’invidia non consiste solo nel desiderare di avere quello che hanno gli altri, è qualcosa di molto più sottile. E’ desiderare che l’altro non abbia ciò che ha. Viene definita anche “la tristezza del bene altrui”.

    Questa tristezza ci spinge a minare il terreno sotto i piedi del prossimo, con commenti, insinuazioni, sottolineature che mirano a distruggerlo. E’ un vizio difficile da riconoscere in se stessi.

    Una volta che la scopriamo in noi stessi bisogna sforzarci di non parlare mai della persona che ne è l’oggetto.

    Altre volte ancora l’origine delle nostre critiche risiede nel risentimento o peggio nel desiderio di vendetta verso coloro che ci hanno fatto del male.

    Capita ancora che causa della nostra maldicenza sia l’amarezza interiore. Allora si proietta sugli altri la propria visione negative delle cose. Talvolta costoro giustificano questo atteggiamento decantando il loro “spirito critico”.

    Ancora un altro vizio che risiede nella lingua è quello di usarla in modo battagliero. Incapaci di dialogo queste persone si rapportano sempre in modo aggressivo: si trovano sempre dinanzi ad un nemico da contraddire sistematicamente. Fanno forse questo per poter affermare se stessi a se stessi: Soffrono di una malattia che consiste nella disputa e nel contendere con la parola. Da essa nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi e le dispute senza fine, tutte cose proprie di uomini corrotti nella mente e privi della verità (1Tm 6,4-5).

    San Paolo ci mette sull’avviso: Evita le discussioni sciocche e stupide; sai bene che generano contese. A un servo di Dio non si addicono le dispute, ma l’essere gentile con tutti (2Tm 2,23-24).

    A conclusione potremmo riaffermare una grande verità che dovremmo sempre tener presente: noi non vediamo le cose come esse sono realmente, ma come noi le vediamo, o meglio come noi vediamo noi stessi.

    Per scoprire la bellezza che ‘è dentro di noi bisogna previamente scoprire la bellezza che c’è dentro di noi. Le persone amareggiate, che non sanno accettare né valorizzare se stesse, si tuffano nella critica, spruzzando gli altri col proprio risentimento.

    Così il rancore, la tristezza e così via.

    Dice Lanza del Vasto: Così come la luce non può vedere le tenebre, perché illumina tutto ciò che guarda, così l’uomo buono non vede che bontà intorno a sé, perché la risveglia, la semina e la intravede dappertutto.

    Posted by attilio @ 17:25

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