La parabola delle dieci fanciulle
L’INDOLENZA, L’INERZIA DI QUIETE
Mt 25,1-13
di p. Attilio Franco Fabris
Una telefonata da fare, un impegno da assumere, una visita da fare, un incontro a cui partecipare….
“Vedremo… ora no. Ho altro da fare. Sono troppo stanco”. “Lo farò quando ne avrò voglia”. “in futuro forse, quando avrò tempo…”.
Nella nostra vita si presentano tante situazioni, persone che ci interpellano e suscitano in noi risonanze in vista di passi per il futuro, ma…
La coscienza fatica a mettersi in moto al presentarsi della risonanza.
L’inerzia di quiete mette a tacere con mille giustificazioni (razionalizzazioni) la risonanza nella coscienza.
La coscienza si perde di vista, disattende il momento presente.
Questa controrisonanza è all’origine del conservatorismo perché il cambiamento scomoda.
Perché?
Perché generalmente la risonanza emergente disturba e indispone. Mi domanda di cambiare, di fare delle scelte, di andare incontro al nuovo. “Ma chi me lo fa fare?”.
Quali le conseguenze?
Tante possibilità di sviluppo ed espansione della nostra vita vengono mortificate dall’indolenza della coscienza. Tante potenzialità vengono tristemente frustrate.
La vita mi scorre accanto senza che io abbia il coraggio di buttarmicisi dentro, fino in fondo.
Ci può aiutare nella riflessione un testo di Masters, tratto dall’antologia di “Spoon river”, è la lapide di Geroge Gray:
“Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione, ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, io ebbi paura:
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
Ma adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino
dovunque spingano la barca,
dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è una tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
è una barca che anela al mare
eppure lo teme”.
* * *
La parabola è una metafora dell’esistenza umana, paragonata a un “uscire per andare incontro allo sposo”.
Tutta la nostra vita è un’“uscita”: usciamo dal grembo di nostra madre, usciamo dal caldo clima della famiglia per avventurarci del mondo, usciamo ogni qual volta la vita ci chieda di prendere posizione dinanzi al nuovo e al futuro, usciamo dalla vita al termine di essa con la speranza di incontrare l’altra vita nascosta in Cristo. Non sappiamo il giorno e l’ora di questa uscita-incontro, ma sappiamo che ogni istante è un passo in più verso quel momento.
La parabola non vuole spaventare ma invitare a prendere posizione sull’importanza del momento presente: è l’unico che ci è dato per vivere e acquistare l’olio necessario. Il mio futuro è determinato dal modo con cui vivo e opero nel mio presente.
La parabola vuole evidenziare un modo sbagliato di vivere il tempo: quello di non cogliere l’opportunità del momento presente, di sprecare le occasioni. In effetti troppo spesso la vita è trascinata via dall’indolenza, dall’incoscienza, dall’ozio. Davanti alla vita, al tempo, che passa può nascere in noi una domanda: perché darmi da fare? Tanto a che serve?
In quest’ottica possiamo già leggere la nostra storia quotidiana in termini di salvezza o di perdizione.
Il disagio di partenza è dovuto alla fatica di farmi carico di me stesso. Tento di fuggire da questo mio compito o con l’apatia o con la superattività utilizzando la strategia che dice: “Non ho tempo!”.
Alla fine mi ritrovo chiuso, fuori dalla festa nella quale incontrare me stesso, la vita, lo sposo.
v. 1.
Il regno di Dio: verso cui qui, sulla terra, noi ci incamminiamo giorno dopo giorno. Un cammino che può essere compiuto responsabilmente, nella vigilanza e nell’operosità, oppure trascinato nell’indolenza, trascurato, perdendo occasioni di crescita…
Dieci vergini: il numero dieci indica la totalità, ovvero la comunità, la Chiesa. Ma esse possono rappresentare anche la nostra coscienza chiamata a relazionarsi con la realtà che ci circonda, con le situazioni della vita.
Prese le loro fiaccole: non sono lampade ad olio che possono essere spente dal vento, né lanterne con la luce troppo fioca. Sono fiaccole luminose adatte al corteo. Nel nostro cammino nel mondo più la nostra fiaccola è luminosa meno temiamo di perderci nel buio. Quali potrebbero essere queste fiaccole poste nelle nostre mani?
Uscirono: la vita è un’uscita, un “esodo” incessante. Uscire è sempre lacerante: implica un abbandono, una rottura con il passato conosciuto, per un futuro sconosciuto atteso nella speranza.
Per l’incontro con lo sposo: è ciò che attendiamo, ciò che speriamo dalla vita… Cosa attendo nella mia vita? Quale attese sono riposte nel più profondo del cuore?
Per il credente è il Signore stesso che vuole unirsi indissolubilmente a noi. Il fine della vita è incontrarlo.
v. 2.
Cinque sagge/cinque stolte: stoltezza e saggezza sono in pari percentuale. In noi si dibattono in egual misura. Quale crescerà a spese dell’altra?
Una contrapposizione netta che ricorda la parabola dei due costruttori (Mt 7,24-27)..
E’ saggezza fondare la propria esistenza sull’ascolto e sulla pratica, è stoltezza ascoltare e non fare.
v. 3.
Le stolte prese le loro fiaccole non presero olio. Non avere ciò che da’ luce. E’ la superficialità con cui si può vivere la vita. E’ vivere al momento (“carpe diem”), ma in modo irresponsabile. E’ lasciarsi vivere, senza assumere la propria responsabilità di fronte alla vita. E’ vivere senza progettualità, o con una scarsa progettualità troppo evanescente, piena di buone intenzione, ma incapace di porre delle scelte concrete in modo che essa sia fattibile.
v. 4.
Le sagge presero olio in vasetti. Ogni istante di tempo è come un “vasetto”: o pieno dell’olio dell’amore o vuoto, è il ripiegamento su noi stessi. La vita che ci è data è occasione per procurarci la riserva d’olio. Quest’olio è l’assunzione delle proprie responsabilità dinanzi alla vita, una responsabilità che non devo rimandare all’infinito, ma che sono chiamato a porre esattamente in questo momento, né prima né dopo. Ora sono chiamato a scegliere e a non lasciar sfuggire l’occasione, rimandandola al futuro.
v. 5.
Tardando lo sposo: Vi è il rischio che il tempo che passa affievolisca la tensione dell’attesa, che si dimentichi, che si tralasci. Che l’attenzione venga distolta ad altro. E’ necessario ogni giorno riconfermare la scelta fatta, rifarla in ogni istante perché non accada che ci si “dimentichi”, solo così è assicurato l’olio alla lampada.
v. 6-7
A metà della notte: ecco lo sposo… uscite: è il grido che ci sorprende inatteso e che ci fa riprendere coscienza, con gioia o con rammarico e disperazione, come realmente siamo e con ciò che realmente abbiamo.
v. 8
dateci del vostro olio: solo ora si accorgono di essere prive di olio, la luce si spegne: “quando mai non ci siamo date da fare per procurarcelo quand’era il tempo… Abbiamo rimandato… E ora che fare?”.
Ma se l’olio è la mia decisione che ero chiamato a prendere e non ho preso, non lo posso domandare ad altri.
v. 9-10.
risposero: no: nessuno ci può dare il nostro olio. Il suo acquisto non può essere delegabile, fa appello unicamente alla mia responsabilità. E’ la nostra identità e responsabilità di fronte alla vita.
La porta fu chiusa: la morte chiude la porta del tempo utile per acquisire l’olio. La partita è finita: il risultato dipende da ciò che si è fatto prima.
Quanto è importante al fine di capire il valore del presente: è sempre l’unico tempo realmente disponibile in cui possiamo perdere o guadagnare la vita.
C’è il pericolo di passare la vita a pensare e rimandare ciò che si dovrà fare, per poi rimpiangere ciò che non si è fatto. O di passare la vita a rimpiangere ciò che non si è fatto lasciandosi scappare il presente.
v. 13:
Vegliate dunque: E’ momento di svegliarsi, di convertirsi. E’ la caratteristica peculiare del credente di fronte alla vita. Sii vigile al fine di essere pronto, per non lasciar perdere l’occasione presente di far rifornimento di quell’olio che dopo non sai se potrai ritrovare.