• 05 Mag

    DISCONOSCENZA: PERCHÉ?

    Gn 3

    a cura di p. Attilio Franco Fabris

     

    1. EDEN

    Giobbe ci ha detto la duplice difficoltà che prova l’uomo “pagano” dinanzi a Dio:

    – si sente mortale, fragile, destinato alla polvere

    – soffre per l’impossibilità di una relazione con Dio. Questa relazione invece si costruisce sul senso di colpa: una basilare incertezza del proprio porsi dinanzi a Dio.

    All’uomo sembra che Dio lo voglia mettere alla porta. Eppure l’uomo porta in sé una nostalgia indecifrabile di una realtà diversa e piena. Un Eden…

    Cisterne screpolate

    Gr 2,13: Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:

    essi hanno abbandonato me,

    sorgente di acqua viva,

    per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,

    che non tengono l’acqua.

    Alla domanda del perché l’uomo fa l’esperienza di Giobbe, la risposta del profeta è chiara: perché ha abbandonato Dio che è fonte della vita.

    Egli presume l’autosufficienza l’indipendenza da qualsiasi fonte.

    Ma l’autonomia dell’uomo è cisterna screpolata: vi è l’acqua stagnante della non speranza.

    Non è l’acqua viva che ha deviato il suo corso. E’ l’uomo che si è allontanato da essa. Ma perché è successo questo?

    E’ questa una ulteriore domanda alla quale rispondono i primi capitoli della genesi.

    La narrazione è semplice ma densissima di significati:

    Gn 3

    1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «E` vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. 8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».

    Il racconto è estremamente chiaro, con uno svolgimento lineare. Esso rivela sullo sondo una sintesi che sono le realtà fondamentali della trama del destino dell’uomo.

    Troviamo anzitutto due simboli:

    – un albero di vita di cui si può mangiare

    – un albero della conoscenza che è proibito di mangiare

    L’Albero della vita

    E’ la “sorgente delle acque vive”. Una vita in stretta comunione e intimità con Dio. E’ quasi un cordone ombelicale che tiene unita la creatura al Creatore, e a cui attinge per vivere, crescere e svilupparsi.

    L’albero della conoscenza

    Probabilmente si tratta della presunzione di essere a se stessi giudici del bene e del male. In base ai propri desideri l’uomo vuole decidere.

    Soffre nel sentire che il bene può apparire amaro e il male alettante: è un paradosso che accompagna l’esistenza terrena.

    Dio proibisce ad Adamo di superare questo limite: di giudicare in base ai suoi gusti il bene e il male.

    Basterebbe immaginare il genitore che tenta di educare il proprio bambino…

    Fare il male non la cosa più tragica che possa capitare all’uomo se egli però conserva una coscienza disposta a farsi giudicare.

    Il peccatore che mantiene lucida la coscienza del proprio peccato non ha “mangiato il frutto”.

    San Paolo ammonisce: Rm 1,32 :E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

    E’ questo il fatto più grave: quando si è imbavagliata la coscienza si è mangiato il frutto.

    E’ il peccato imperdonabile contro lo Spirito di cui parla san Giovanni.

    Dio accetta che l’uomo possa sbandare lungo la strada, ma proibisce che l’uomo mangi dell’albero.

    2. La tattica del tentatore

    Il serpente è definito come “astuto”: in effetti

    1.       Deforma l’ordine di Dio, non lo denigra ma lo calca alcun più spropositandolo (3,2).

    2.       Eva, inquieta, cerca di difendere l’immagine di Dio, tenta di rettificare le preposizioni del serpente. Essa aggiunge il “non toccherete frutto” che Dio non ha detto. Per non magiare non bisogna toccare: ma questo fa sì che il frutto inizi ad apparire sotto un’aurea diversa, e così si impone al centro dell’attenzione.

    3.       Il serpente ha così raggiunto il suo primo scopo. La donna ora è ossessionata dalla proibizione.

    Il passo seguente è indurla alla ricerca del “vero” motivo.

    4.       Per far questo il serpente rettifica il significato della proibizione. Eva pensa: io credevo che il divieto fosse per il nostro bene e provenisse da un padre amorevole. Ma ora capisco che Dio è un despota geloso del suo potere. Egli vuole rimanere solo sul suo trono.

    5.       Ormai il sospetto atroce ha preso piede: “Allora la donna…”. L’albero appare ormai carico di attrattive e di speranze. La vertigine dell’immaginazione fa crollare le ultime resistenze.

    6.       Si arriva all’atto. Il frutto è colto e addentato. Per sentirsi più sicura fa condividere il gesto al suo uomo.

    7.       Non tardano le conseguenze. Gli occhi si aprono. Vi è sì una nuova conoscenza, ma ben diversa da quella che speravano.

    Potremmo domandarci: Eva è responsabile? Non certamente del dubbio. Ma essa è responsabile nel momento in cui ha ceduto al fascino del dubbio. Ha dato ascolto al serpente. Ed è qui il momento della massima debolezza, e quel che segue è solo l’inevitabile conseguenza.

    8.       La conseguenza del peccato è una conoscenza della propria nudità.

    Che significato assume questo? Il disagio della nudità non è quello interpretato dalla nostra cultura occidentale.

    Per il semita la nudità è esperienza di umiliazione, miseria, l’essere sprovveduti ed esposti al pericolo. (E dopo il peccato l’uomo cercherà di ornarsi, di sembrare, di apparire diverso…). L’essere nudi equivale a veder crollare improvvisamente tutte le apparenze, in fin dei conti è vedersi e far vedere ciò che in realtà si è ( si è allora “coperti di vergogna” Gr 3,25).

    L’uomo di fronte agli altri farà di tutto per conservare le apparenze, il proprio personaggio. Giobbe nella sua nudità si sente spiato, squadrato, giudicato dall’Altissimo.

    In cosa consiste il peccato? E’ il suggellare il dubbio sulla bontà del Padre. L’affermare che Dio è despota geloso ed egoista. E’ voler liberarsi di lui. E’ il tentativo superbo di diventare Dio a se stessi.

    Con questo peccato l’uomo si taglia fuori dalle sorgenti di acqua viva, in quanto tronca la relazione fiduciosa e vitale col suo Creatore.

    Un Dio deformato

    Adamo ed Eva sono così passati da un Dio Padre con il quale si può essere come bambini, ad un Dio giudice dal quale bisogna nascondersi per non essere visti.

    Non è Dio che è cambiato, ma l’anima umana ha assunto un nuovo atteggiamento nella sua libertà.

    L’uomo ha preteso indipendenza, e nella sua indipendenza pensa a come potrebbe reagire Dio a questa pretesa. Si immagina certamente un atteggiamento di rancore e di vendetta.

    Anche qui l’uomo si colloca in luogo di Dio, ma questa volta immaginato a partire da se stesso, dal suo peccato.

    Siamo ben lontani dalla rivelazione del padre misericordioso di Lc 15,11-32. Anche in questa parola il figlio si immagina una reazione da parte del padre ben diversa da quella che sarà la realtà. Anche qui in effetti vi è una colpa originale: un figlio che desidera indipendenza, che deve tornare da un padre che immagina corrucciato e di fronte al quale occorrerà degradarsi e umiliarsi.

    Cosa è successo? Ribellandosi contro il Padre, il figlio, damo, Eva ha sfigurato la sua immagine: anche lui credette che il Padre non è amorevole ma solo un despota accaparratore e sfruttatore della felicità dei figli.

    Il dubbio ha portato con sé la decisione. L’abbandono del padre. E il suo ritorno è solo una soluzione di ripiego.

    Paura di Dio

    “Una volta che ebbe deformato in se stesso l’immagine del Padre, figurandoselo come un despota sospettoso e geloso della sua autorità, allora cominciò a temerlo, poiché lo aveva innanzitutto immaginato così alla base del suo peccato”.

    E il dramma della colpa non è forse tanto il fatto di aver cercato di diventare dio lui stesso, al posto di Dio… ma il fatto che alla radice di tutto ciò c’è una misconoscenza di cos’è il padre, e c’è in seguito una volontà di lasciarsi illudere e di immaginare il padre come un despota geloso, per giustificare la propria ribellione disperata.

    Dal punto di vista di Dio, il ritorno dell’uomo consisterà innanzitutto in un riavvicinamento, da parte sua, dell’uomo incapace di tornare.

    Insopportabile dolcezza

    L’uomo non ha il coraggio di accettare che il cuore di Dio sia quello di un padre misericordioso.

    “Adamo dove sei…”: è la ricerca di un Dio di amore, non di un tiranno. Accogliere l’amore quando si è mancato strazia il cuore ancor più.

    E’ come quando questo accade nella vita di coppia. Per chi commette l’errore l’amore dell’altro è una spada che ferisce terribilmente.

    La fiducia pesa più del sospetto. Occorre allora giustificarsi, caricaturando l’altro. Si razionalizza, si nega… ovvero ci si difende.

    Si cerca di convincersi che si ha avuto ragione di dubitare, che non c’erano più possibilità di amore e che bisognava andarsene.

    Umanità da riavvicinare

    Toccherà così a Dio nel suo amore sviscerato riavvicinare l’uomo impaurito, orgoglioso e sospettoso. Occorrerà tanta e tanta pazienza e tanto amore. E’ un’opera che non si può fare da un giorno all’altro.

    Dio dovrà sfruttare i momento in cui l’uomo sperimenta l’angoscia, la disperazione, la solitudine, la sconfitta e la fame… come fu per il figliol prodigo.

    Ritrovare la vera immagine

    Occorre che Dio rimodelli nell’uomo la propria immagine deformata. E questo comporta rimodellare la stessa immagine dell’uomo fatto ad immagine di Dio.

    E’ necessario che l’uomo faccia esperienza di essere salvato dall’abisso delle grandi acque, nel passaggio del mar Rosso.

    Scoperto un Dio che è salvatore gli sarà più facile seguirlo.

    Posted by attilio @ 14:11

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