• 07 Mar

    La discendenza

    Seconda soluzione umana: la schiava Agar

    Gn 16,1-16

    di p. Attilio Franco Fabris

    Abramo e Sara sono ricorsi alla prima soluzione umana adottando Eliezer. Ma la promessa di Dio ha richiesto l’abbandono di tale decisione. Ma gli anni passano… e il figlio non appare all’orizzonte.

    Siamo già dieci anni dopo l’entrata nella terra di Canaan: Abramo ha ottantacinque anni  Sara settantacinque! Per quanto tempo è ancora “logico” sperare e perseverare nella fede?

    Ecco allora la coppia ricorrere ad un ulteriore espediente.

    Al centro del racconto troviamo ora due donne: Sara e Agar.

    Il problema: v. 1

    Sara “aveva (lett. possedeva) una schiava egiziana, di nome Agar”. Vengono sottolineati i diritti di proprietà. Agar è di Sara, non è schiava di Abramo.

    Sono due donne molto diverse: una moglie della stessa tribù di Abramo, ricca ma anziana e sterile. Agar, straniera, schiava, povera ma feconda e dunque giovane. Forse su data ad Abramo insieme a numerosi altri beni quando fu cacciato dall’Egitto.

    La loro diversità è motivo di incontro e di conflitto?

    Come vivo le diversità?

    L’espediente di Sarai: vv. 2-6

    Sara, che è sembrata finora sempre passiva, prende l’iniziativa. Trova il coraggio di esporsi e di giocarsi nella vicenda. Essa parla per la prima volta ad Abramo: “Ecco, il Signore mi ha impedito di partorire; deh, allora accostati alla mia schiava; forse da lei sarò costruita (trad. lett.)”. La discendenza è presentata in termini di costruzione della casa/del casato; essa ricerca il suo riscatto di fronte agli smacchi della vita.

    E’ Sara che ora detta ordini ad Abramo. Insiste non lasciandogli scelta; attribuisce la sua sterilità a Dio, e quindi decide di sua iniziativa di contrastare questa disposizione divina ricorrendo ad una soluzione umana.

    Quali risonanze spingono Sara a cercare questa soluzione? Ne è convinta? Appare un’espediente in cui si “tenta” (ma a quale prezzo) lo scopo? E’ disposta realmente a rinunciare ai suoi privilegi per un bene più grande?

    Essa agisce secondo una consuetudine dell’epoca che avrebbe almeno parzialmente realizzato la promessa: Jhwh non aveva forse detto che il discendente sarebbe stato dello stesso sangue di Abramo (15,4)? Ciò dunque non esclude che la madre possa essere un’altra.

    Abramo non dice neanche una parola. Il testo annota: “Abram ascoltò la voce di Sarai”. Dove ascoltare significa obbedire.

    Quali le risonanze di Abramo? Approva pienamente? Si sente costretto? …

    Nessuna parola viene invece rivolta ad Agar; non viene chiesto il suo parere ed è trattata esattamente da schiava, senza alcun diritto, come un oggetto: “Sarai, moglie di Abram, prese l’egiziana Agar… e la diede in moglie ad Abram, suo marito”.

    Apparentemente nulla cambia: Sara è sempre moglie e Agar sempre sua schiava. Tuttavia un cambiamento importante avviene: ella non è più concubina, ma moglie effettiva di Abram, esattamente come lo è Sara. Sara per “costruirsi” ha dovuto umiliarsi.

    Con quali conseguenze?

    Improvvisamente chi occupa il posto centrale ora è Agar. Infatti “restò incinta”.

    La conseguenza di questo fatto è che “quando essa si accorse di essere incinta la sua padrona non contò più nulla per lei”. La schiava è consapevole di avere ormai un vantaggio sulla padrona.

    Perché?

    L’umiliazione per Sara scotta sempre di più. Quella gravidanza da lei voluta le appare ora insopportabile. Comincia dunque non a rimproverare se stessa ma Abramo: “Il mio torto è a tuo carico”.

    Abram rimanda l’accusa a Sara: “Ecco la tua schiava è in tuo potere; falle quello che ti par bene”. Sarai non riesce ad accettare di essere lei l’origine di tutta questa difficile situazione: scarica la sua responsabilità. A sua volta Abram rigetta la palla a lei: il gioco rischia di divenire infinito e doloroso fonte di tensione e sofferenze.

    Sarai di ripicca inizia a “maltrattare” Agar rendendole la vita impossibile: con questa violenza vuole riconquistare la sua superiorità su questa.

    Queste modalità di relazione sono così lontane dalla nostra esperienza?

    Fino a che Agar esasperata “fuggì dalla sua presenza”. L’egiziana fugge come Israele fuggirà dal faraone: sono i corsi e ricorsi della storia che vedono molti capovolgimenti ironici delle sorti.

    Agar scappa, in un colpo di testa, illudendosi di conquistare la sua libertà e autonomia, vuole prendere in mano la sua vita. Ma cosa può fare una donna sola, incinta, senza appoggi in un mondo che le totalmente estraneo?

    E Abramo scoprendo la schiava fuggita che fa? Come vive il fatto? La speranza riposta in quel figlio da lei concepito sembra svanire ancora una volta. Perché non la rincorre, non la cerca?

    Ci illudiamo di conquistare la libertà fuggendo da ciò che ci fa soffrire?

    L’incontro e dialogo tra Dio e Agar: vv. 7-14

    Il racconto potrebbe finire qui. Ma esso continua prendendo una piega inaspettata.

    Agar si è diretta verso il deserto, in direzione di Sur, verso il confine dell’Egitto. Essa vuol tornare tra i suoi. Ma come attraversare il deserto senza nulla? E’ un’impresa assurda che può nascere solo da un colpo di testa sconsiderato, destinata solo al disastro.

    Ma “la trovò un angelo del Signore presso una sorgente d’acqua, nel deserto, sulla strada di Sur”.

    Agar, la schiava egiziana, è la prima persona nella Bibbia ad essere visitata da un angelo. (L’angelo non è un essere distinto da Dio, è un’immagine per parlare di Dio che si rivela a una persona in forma visibile).

    L’angelo ha trovato per caso Agar? L’ha cercata? Come si evolverà la storia?

    Il messaggero inizia un dialogo con Agar. Finalmente qualcuno parla con lei chiamandola per nome. E per la prima volta Agar prende la parola: “Da dove vieni? Dove vai?”.

    Agar dice da dove viene ma non dove sta andando, non lo sa nemmeno lei, non ha casa, sta solo fuggendo lontano.

    L’angelo le dà un’indicazione chiara: “Ritorna alla tua padrona e sottomettiti al suo potere” (cfr v. 6).

    Jhwh che vedendo più tardi l’oppressione degli israeliti sotto gli egiziani vorrà liberarli, non ha lo stesso messaggio per Agar: questo intervento dunque ci sorprende. Agar sa che tornando sarà maltrattata, ma nello stesso tempo ha la certezza che solo così suo figlio avrà una casa e di che vivere.

    Agar, come tante altre madri, sarà pronta a sacrificare se stessa, la propria libertà, per il figlio vivendo la gratuità dell’amore, fino a che punto?

    Al suo posto che faremmo?

    Ma se ad Agar viene richiesta questa “uscita” (che è un ritorno), questo distacco dai suoi progetti, l’angelo sorregge questa richiesta con due promesse: il figlio nascerà e da lui essa avrà una discendenza. Quest’ultima assomiglia a quella di Abramo: “Moltiplicherò assai la tua discendenza e non la si potrà contare”. Agar è la sola donna nell’antico testamento a ricevere delle promesse. La gravidanza di Agar anche se frutto di un espediente umano, è da parte di Dio ratificata. Egli può far rientrare e riscattare nel suo disegno di salvezza ogni realtà.

    Il Dio biblico entra in dialogo con l’uomo accettando anche i suoi tempi, fatiche, contraddizioni, incertezze.

    Il bambino sarà chiamato Ismaele che significa “Dio ha ascoltato”. Che cosa ha ascoltato? Agar non gli ha rivolto alcuna invocazione. Ha ascoltato invece la sua afflizione.

    Dopo l’ordine di Dio Agar “diede” un nome a Dio: essa è la sola persona nella Bibbia che fa questo. Lo chiama “Tu sei El Roy” che significa “Dio che vede”. Dio ha visto il dolore di Agar e l’ha ascoltato. Essa spiega il nome: “Non ho continuare a vedere (= vivere) dopo che mi ha veduta?”. La donna è meravigliata di come dopo l’incontro con Dio possa essere rimasta in vita. Vedere Dio non è morire (Es 33,20)?

    Il ritorno di Agar: vv. 15-16

    Agar ritorna, partorisce il figlio ed è Abramo che dà il nome al bambino, indicato dall’angelo.

    Il secondo espediente umano sembra coronato da successo. A ottantasei anni finalmente Abramo diventa padre.

    Si è realizzata la promessa? Non ha egli finalmente un figlio del suo stesso sangue? Sembrerebbe di sì. Abramo è felice, aperto al futuro nella speranza.

    La stessa cosa non si può dire si Sarai. Ella si sente umiliata. Il bambino non viene dato a lei ma ad Abramo. Il suo nome non compare per nulla nella scena. Di per sé il figlio doveva prima essere consegnato a lei.

    Concludendo…

    Quali considerazioni fare concludendo questo episodio?

    La decisione di sarai è data dalla paura e dalla sua disperazione. La sua decisione non nasce dalla gioia e dalla gratuità.

    Quel concepimento che dovrebbe essere motivo di gioia diviene per lei così occasione per vivere la sua rabbia nei confronti della vita e di se stessa. Non ci meraviglia che essa divenga ingiusta e violenta.

    Abram appare succube di sarai, in sua balia. Sta alle sue decisioni senza nulla obiettare. A cosa attribuire questa passività? Non è che forse nel suo animo si stia insinuando l’incertezza, la paura, la non speranza nelle promesse?

    Così ancora non sa opporsi all’ingiustizia, non fa nulla per sanarla, è come trascinato dagli eventi.

    E nemmeno Agar è perfetta. Anch’essa appare incapace di gratuità. Sfrutta la situazione per rifarsi della sua condizione, per vendicarsi della sua umiliazione. Anch’essa nei confronti di Sarai si comporta male, in modo arrogante incapace di ascoltare il dolore del cuore di Sarai.

    Jhwh sembra a sua volta seguire una scelta sbalorditiva chiedendo ad Agar di tornare ad essere oppressa. Ma è scelta che si impone con realismo: e così Dio entra nella storia umana fatta di contorcimenti, corsi e ricorsi, instaurando con l’uomo quel dialogo che lo apra alla vera libertà.

    Cosa vi è di positivo in tutto il racconto? E’ la nascita di un figlio, di Ismaele.

    Ma il prezzo è stato molto alto, come capita spesso quando l’origine delle scelte è frutto della paura, dell’amarezza, della disperazione: fonte di sofferenze per sé e per gli altri.

    Il racconto illustra anche un ulteriore aspetto: Jhwh non è solo il Dio di Abramo, ma anche di Agar l’egiziana e di tutta la sua discendenza. In Abramo Dio benedice tutte le nazioni (12,3) e abbraccia tutte le nazioni. Realmente in Abramo ebrei, cristiani, mussulmani si ritrovano uniti nella fede in quel Dio che guida la storia.

    Posted by attilio @ 10:49

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