• 03 Mar

    MISTERO PASQUALE CAMMINO DI CRESCITA

    di p. Attilio Franco Fabris


    La destinazione del nostro pellegrinaggio nella fede ha un unico scopo: renderci sempre più conformi a Cristo sino a giungere alla piena maturità e vita: Ci ha predestinati – ricorda san Paolo – ad essere conformi all’immagine del Figlio suo (Rm 8,29).

    Si tratta di una conformità che è progressiva trasfigurazione, in un lento divenire e crescere (“Lui deve crescere e io diminuire”, “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”) e questo attraverso l’indispensabile azione vivificante dello Spirito. Accogliendo in noi l’azione dello Spirito ci inseriamo nel mistero di Cristo che è mistero pasquale di morte e resurrezione.

    Questa divina conformazione fa sì che noi possiamo rinascere ad una vita nuova nello Spirito, come Gesù dice a Nicodemo nel vangelo di Giovanni.

    Si tratta per usare il linguaggio dei mistici di una “divina rinascita” (cfr. Paolo della Croce parla di “morte mistica” e “divina natività”). E’ una rinascita che trasforma l’uomo peccatore in “uomo nuovo”, ovvero spirituale, cristianizzati. Scrive san Paolo: “Dovete rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera”.  Questo testo vuole affermare che l’uomo deve rivestirsi della sua vera immagine, quella originaria, e ciò è possibile in Cristo nuovo Adamo.

    E ancora: “Dovete camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Afferma la Gaudium ed Spes: “Colui che segue Cristo, uomo perfetto nel mistero redentivo della sua passione, morte e resurrezione si fa lui pure più uomo”.

    Ma non  ci può essere entrata nel riposo di Dio, nel Regno, nella gloria se non passando per la via stretta indicataci da Gesù, che è il suo mistero pasquale di morte e resurrezione. E’ il percorso da lui tracciato nella sua Pasqua, nel suo esodo da questo mondo al Padre: “Gesù camminava verso Gerusalemme” (Lc 13,22).

    Ci è dato perciò l’itinerario e il passaggio obbligato: “Chi mi vuol  seguire prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

    LA SEQUELA DELLA CROCE

    Non siamo soli a percorrere la strada, davanti a noi c’è Gesù; il nostro compito è la sequela: “Gesù camminava davanti ai suoi discepoli” (Mc 10,32).

    Il prendere la croce dietro a Gesù è condizione per la sequela cristiana.

    Se ci domandiamo in cosa consiste la sequela, la croce, che ci porta a rinascere alla vita di uomini nuovi, la risposta che troviamo nei vangeli è molto chiara: la sequela, la croce, è il dono di noi stessi fatto a Dio e al nostro fratello sino alla fine (cfr. Gv 13,1)

    L’uomo adulto in Cristo, l’autentico discepolo, si riconosce dalla capacità di amore e di dono di sé: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.

    Cammino seguendo Gesù quando mi pongo nella stessa disponibilità di Gesù a fare della mia vita un sacrificio a Dio e al prossimo, quando mi pongo nell’atteggiamento del “servo”, dell’”ultimo”, del “piccolo”.

    E’ convinzione cristiana che ogni amore umano che non è dono di sé e non è seguito almeno implicitamente dal segno e dal sangue della croce, non è che una caricatura dell’amore” (A. Feuillet)

    Il nostro cammino per essere autenticamente cristiano deve procedere perciò dalla conformazione, dall’intima partecipazione, al mistero pasquale di Gesù: “Camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2).

    Con ciò si vuole dire che la nostra crescita cristiana si misura sulla disponibilità ad accogliere in noi la “stoltezza della croce”.

    Sembra assurdo che la vita, la nostra crescita, debba passare attraverso la morte per divenire autentica ed eterna. Ma il mistero pasquale si è rivelato come legge imprescindibile di vita e di crescita “Se il chicco di frumento caduto a terra, non muore, resta solo. Ma se muore porta frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25).

    E ancora: al discepolo è necessario anzitutto il  morire nel momento in cui egli riconosce il suo peccato, la sua via larga lontana da Dio, la sua pretesa  d’imboccare la strada dell’orgoglio e dell’autosufficienza.

    La ricerca, l’amore per la vita comporta l’accettare paradossalmente che essa passi attraverso la morte, la sua perdita, il suo dono: e si tratta di un distacco doloroso.

    Un bene maggiore si trova rinunciando ad uno minore, senza per altro che questo venga perso, anzi… verrà ritrovato centuplicato.

    L’itinerario del discepolo passa dunque obbligatoriamente dal Calvario e dalla tomba ormai vuota: sono i due termini pasquali, i due momenti di un unico mistero che si apre ad un orizzonte infinito di vita.

    Il  movimento pasquale di morte-risurrezione ritma la più umile esistenza cristiana (e probabilmente ogni esistenza)… Arrivano per ciascuno momenti in cui tutto sembra perduto e svanito nel nulla senza ragione, tutto appare come tenebra e assurdo. Proprio in questi momenti all’uomo si apre la possibilità di una pasqua, di un passaggio che attraversi la valle tenebrosa, la palude di morte che sembra tutto inghiottire.  Questa possibilità si ancora alla fede in Gesù risorto. Allora la disperazione per una perdita totale viene trasformata dalla speranza; noi ci lasciamo afferrare da quella mano sempre tesa verso di noi nella notte che invita con dolcezza e forza: “Alzati e cammina”(Mt 9,5).

    Comprendiamo che questo gesto comporta una rottura battesimale, allora la pace, la forza, il rinnovamento pasquale ci pervadono. Le lacrime di amarezza diventano lacrime di gratitudine.

    Solo la fede nel Risorto è in grado di annunciare l’evangelo all’uomo spesso incapace di leggere il passaggio pasquale come parola, occasione, kairòs, di salvezza e di vita.

    Il passaggio della croce se accolto positivamente ed oblativamente apre a nuovi spiragli di vita, a ulteriori orizzonti ricchi di inattese vitalità e creatività. Per il discepolo “il mondo non è più una prigione, ma un passaggio oscuro, passaggio attraverso il quale passare, passaggio da decifrare in uno scritto più ampio, e in questo scritto tutto ha un senso, ciascuno è importante, ciascuno è necessario. Uno scritto che noi scriviamo insieme a Dio” (O. Clement).

    IL BATTESIMO


    Il battesimo ci ha inseriti nel vortice vivificante del mistero pasquale. Siamo stati immersi nella morte di Cristo per risorgere con lui alla vita nuova. Rimane a noi il ravvivare tale dono di Dio.

    Questa dimensione battesimale deve avvolgere, permeare, indirizzare, dare senso a tutto il nostro essere, operare e pensare. Deve essere dimensione costitutiva del nostro cammino di battezzati. Ne dobbiamo fare memoria ogni giorno.

    Questo significa ricominciare ogni giorno, un cammino mai concluso qui su questa terra; proteso a quel passaggio battesimale definitivo che è la nostra morte che nel Risorto viene trasformata in porta di accesso alla vita vera.

    Vivendo già questo passaggio nella quotidianità e sperimentando l’amarezza del calice amaro di “Thanatos”, ci è dato tuttavia di pregustare in certo qual modo la gloria della resurrezione. I “cieli e la terra nuovi” si profilano già  soffusi all’orizzonte.

    E’ un cammino che non compiamo da soli: siamo membra vive di un unico corpo che cammina e cresce, la Chiesa pellegrinante verso il Regno. Nella Chiesa il discepolo trova la testimonianza, la forza, l’aiuto sacramentale per attuare nella vita il suo passaggio pasquale. Nella misura in cui ciascuno lo compie fa sì che tutto il corpo mistico progredisca nel suo itinerario di fede.

    Non è indifferente allora che io accetti o meno l’invito a camminare verso la conformità a Cristo. La mia conformazione mi rinsalda, mi unisce, non solo a Cristo ma anche, nella comunione dello spirito, con tutte le altre membra del suo corpo.


    SCHEDA DI LAVORO

    1. Il mio cammino di sequela di Gesù passa inevitabilmente per la croce:

    – quali croci sono stato chiamato ad attraversare (e/o attraverso)? Le nomino.

    2. La croce di Gesù è totale dono sacrificale di sé al Padre e ai fratelli:

    – che significato concreto do a questa espressione teologica?

    – cerco di vivere questo atteggiamento nella mia vita?

    – se sì, come si manifesta? Dove si concretizza?

    – Mi accorgo forse di non riuscire a viverlo fino in fondo:

    – in quali situazioni concrete? Le nomino.

    – che atteggiamenti concreti mi trovo allora a vivere alternativamente? Li descrivo.

    3. Raggiungo il più profondo di me stesso, là dove aspiro a camminare con Dio seguendo Gesù suo Figlio:

    – a cosa mi sento invitato per poter attuare questa ispirazione?

    – che cosa occorre che io scelga o privilegi concretamente per rispondere a questo invito?

    – che cosa sento di dover lasciare o di dover modificare nella mia vita per rispondere a tale invito?

    LETTURA

    Ogni chiamata di Cristo conduce alla morte

    La croce non è disagio e duro destino, ma il dolore che colpisce solo a causa del nostro attaccamento a Gesù Cristo. La croce non è un dolore casuale, ma è necessario. La croce non è il dolore insito nella nostra normale esistenza, ma dolore che dipende dal fatto di essere cristiani. La croce, in genere, non è solo essenzialmente dolore, ma soffrire ed essere respinti; e anche qui nel vero senso di essere respinti per Gesù Cristo, non per un qualche altro comportamento o un’altra fede. Una cristianità che non prendeva più sul serio l’impegno di seguire Gesù, che aveva fatto del vangelo solo una consolazione a buon prezzo, e per la quale, del resto, la vita naturale e quella cristiana coincidevano senza alcuna differenza, doveva vedere nella croce il disagio quotidiano, la difficoltà e l’angoscia della nostra vita naturale. Si era dimenticata che la croce significa sempre allo stesso tempo essere respinti, che l’onta del dolore è parte della croce. Una cristianità che non sa distinguere vita civile da vita cristiana, non può più comprendere il segno essenziale del dolore della croce, cioè l’essere nel dolore espulsi, abbandonati dagli uomini, come il salmista lamenta senza fine. Croce significa soffrire con Cristo, passione di Cristo. Solo chi è legato a Cristo, come accade per chi lo segue, si trova sul serio sotto la croce. “… Prenda la sua croce”: essa è già pronta, sin dall’inizio, basta prenderla. Perché nessuno pensi di doversi cercare da sé una croce, Gesù dice che per ognuno è pronta la sua croce, quella a lui destinata e commisurata da Dio. Ognuno porti la misura di dolore e di abiezione a lui destinata. La misura è diversa per ognuno… Ma è sempre quell’unica croce. Viene imposta a ogni cristiano. Il primo dolore per amore di Cristo che ognuno deve sperimentare è la chiamata che ci invita ad uscire dai legami di questo mondo. E’ la morte del vecchio Adamo nell’incontro con Gesù Cristo. Chi si incammina con Gesù si dà alla morte di Gesù, pone la sua vita nella morte; è così sin dall’inizio; la croce non è la terribile fine di una felice vita religiosa, ma sta all’inizio della comunione con Gesù Cristo… La chiamata a seguire Gesù, il battesimo nel nome di Gesù, è morte e vita. La chiamata di Cristo, il battesimo, pone il cristiano nella lotta quotidiana contro il peccato e il diavolo. Perciò ogni giorno, con la tentazione a cui il discepolo è esposto per via della carne e del mondo, reca al discepolo nuovi dolori in Gesù Cristo. Le ferite che vengono inferte, e le cicatrici che restano al cristiano dopo il combattimento sono segni viventi della partecipazione alla croce di Gesù.

    Dietrich Bonhoffer, Sequela, Brescia 1971, pp. 69-72

    Posted by attilio @ 10:20

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