• 27 Feb

    1. IL CAMMINO DI DIO E DELL’UOMO

    p. Attilio Franco Fabris

    L’uomo “biblico” è un nomade. Nella sua esistenza i concetti di strada, via, sentiero, cammino hanno un valore fondamentale. Con tutta naturalezza egli si serve di questo vocabolario per parlare della sua esperienza umana, morale e religiosa: “Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto”(Sal 89,16);  “Siano diritte le mie vie nel custodire i tuoi precetti”(Sal 119,5).

    All’epoca del giudaismo la dottrina delle “due vie” riassume la condotta che gli uomini possono scegliere. Esistono infatti due modi di comportarsi, due diversi cammini: uno buono e l’altro cattivo: “La strada dei giusti è come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio. La strada degli empi è come l’oscurità: non sanno dove saranno spinti a cadere” (Pr 4,18s).

    La via della virtù  è dunque strada diritta e perfetta (cfr. 1Sam 12,23) e consiste nel praticare la giustizia, nel praticare la verità, nel ricercare la pace. Tutti gli scritti sapienziali proclamano che questa è la via della vita; essa assicura lunghezza e prosperità di esistenza: “Per l’uomo assennato la strada della vita è verso l’alto; per salvarlo dagli inferi che sono in basso” (Pr 15,24).

    La via cattiva invece è tortuosa, è quella scelta dagli insensati, dai peccatori, dai malvagi. Essa porta alla perdizione: “La via degli empi andrà in rovina” (Sal 1,6), e alla morte: “Nella strada della giustizia è la vita, il sentiero dei perversi conduce alla morte” (Pr 12,28).

    Tra queste due vie l’uomo è libero di scegliere ed ha la responsabilità della sua scelta: “Vedi io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrati davanti ad altri dei e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese di cui state per entrare in possesso passando il Giordano… Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità” (Dt 30,15-20).

    Anche Gesù segnala l’angustia del sentiero che conduce alla vita, e l’esiguo numero di coloro che l’imboccano; mentre la maggioranza segue la via larga che conduce alla morte: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7,13s).

    LE VIE DI DIO

    Abramo si è messo in cammino all’appello di Dio: “Il Signore disse ad Abram: Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12,1).

    Con questa chiamata fatta al padre dei credenti incomincia un grande cammino, durante il quale l’atteggiamento più importante da parte dell’uomo sarà il riconoscere le strade di Dio e seguirle.

    Queste “vie” a volte appaiono sconcertanti: “Le mie vie non sono le vostre vie” (Is 55,8) dice il Signore che però assicura il loro esito di pienezza di vita.

    Di questo cammino l’esodo è l’esempio privilegiato. Durante questo tempo Israele sperimentò che cosa significa “camminare con il suo Dio” (Mi 6,8) ed entrare nella sua alleanza.

    Dio stesso si mette alla testa del suo popolo per aprirgli la strada verso la vita e la libertà, e la sua presenza è nube di giorno e fuoco di notte (cfr Es 13,21).

    Il mare simbolo di morte, dell’abisso del caos, non può arrestare il cammino di Dio liberatore:  “Sul mare fu la tua via, il tuo sentiero sulle acque innumerevoli” (Sal 77,20), cosicché Israele può  sfuggire al giogo di morte degli egiziani ed essere liberato.

    Poi c’è la marcia nel deserto: “Dio quando uscivi davanti al tuo popolo quando camminavi per il deserto”(Sal 68,8). Dio vi combatte per il suo popolo e lo sostiene come un uomo sostiene il proprio figlio; gli procura il necessario sostentamento e veglia perché nulla gli manchi.

    Ma Dio interviene pure per punire Israele delle sue mancanze di fede. Il cammino con Dio in effetti è difficile. Il cammino del deserto è cammino di prova. Perciò la via di Dio è divenuta lunga e sinuosa. “Per quarant’anni…”.

    Ma essa non manca di giungere a compimento: Dio conduce il suo popolo al riposo, alla terra dove scorre “latte e miele”.

    Viene rivelato con ciò come sempre “i sentieri di JHWH sono amore e verità” (Sal 25,10).

    Il ricordo del cammino dell’esodo sarà ravvivato ogni anno a Pasqua e nella Festa delle Capanne. I pellegrinaggi a Gerusalemme contribuiscono a fissare la nozione di “via sacra” che porta a contemplare il volto di Dio.

    LA THORAH

    Giunto alla terra promessa Israele deve nondimeno continuare a camminare nelle vie del Signore (cfr. Sal 128,1). Nel dono della Legge Dio ha rivelato al suo popolo “tutta la via della conoscenza”. Occorre che egli “cammini nella legge del Signore(Sal 119) per mantenersi nella sua alleanza ed avanzare verso la luce, la pace e la vita.

    La dimenticanza e la disobbedienza al dono della legge porta Israele alla catastrofe. Egli dovrà essere condotto in esilio, su una strada che va esattamente a ritroso dell’esodo.

    Ma i profeti ricordano al popolo deportato che Dio è fedele e non si arrende di fronte al peccato; la sua alleanza non può venir meno, bisogna perciò “preparare nel deserto una strada per JHWH” (Is 40,3) perché Israele torni nuovamente salvato e liberato alla terra promessa ai padri.

    CRISTO VIA VIVENTE

    Il ritorno dall’esilio è ancora soltanto una immagine della realtà definitiva.

    Questa è annunziata dal Battista con gli stessi termini di Isaia: “Preparate la via del Signore”.

    Gesù inaugura un nuovo esodo che porta effettivamente al riposo di Dio (cfr Ebr 4,8s). Egli chiama gli uomini a seguirlo: “Seguitemi…” (Mt 4,19).

    La trasfigurazione illumina per un istante la strada di Gesù e del discepolo, prima di iniziare il cammino tortuoso e doloroso della passione. L’ingresso nella gloria non può avvenire se non per la via della croce:: “Se qualcuno vuol venire dietro a me prenda la sua croce…”(Lc 9,23s).

    Luca contempla Gesù che si pone risolutamente in cammino verso Gerusalemme, ascesa al cui termine è il suo sacrificio.

    E’ un sacrificio che ci apre una nuova strada: mediante il sangue di Cristo noi abbiamo ormai accesso al vero santuario; attraverso la sua carne Gesù ha inaugurato per noi una via nuova e vivente: “Avendo dunque, o fratelli, la confidenza di entrare nel santuario, nel sangue di Gesù, via che egli ha inaugurata per noi nuova e vivente attraverso il velo, cioè la sua carne” (Ebr 10,19s).

    Negli Atti degli Apostoli il cristianesimo nascente è chiamato “la via”. Di fatto i discepoli hanno coscienza di aver trovato la vera strada che fino allora non era manifesta, che essa non è più la Legge ma Cristo stesso: “Io sono la via”( Gv 14,6). In lui avviene la vera pasqua e il vero esodo.

    In lui dobbiamo camminare: “Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto” (Col 2,6).


    LA VITA E’ UNA CORSA

    Se l’esistenza umana spesso è paragonata al cammino, essa si trasforma addirittura in una corsa quando si vuole esprimere un’obbedienza pressante o una missione urgente: “Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù” (At 20,24).

    Ma correre può stare ad indicare anche  la gioia di una vita giusta e fedele ai sentieri di Dio: “Io corro sulla via dei tuoi comandamenti perché tu mi hai dilatato il cuore” (Sal 119,32). “A coloro che sperano nel Signore spuntano delle ali come aquile: corrono e non sono stanchi” (Is 40,31).

    Trasferito nel linguaggio del Cantico dei Cantici questa tensione di tutta l’esistenza al servizio del Signore diventa la frenesia della sposa rapita di gioia alla voce dello sposo: “Trascinami dietro di te, corriamo” (Ct 1,4).

    E questo ci rimanda significativamente alla corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro del Signore il mattino di Pasqua (cfr. Gv 20,4).

    In Paolo l’esistenza cristiana questa corsa diventa una gara sportiva che esige sacrifici e rinunce per riportare la vittoria: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto, essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1Cor 9,24-27).

    La vita del cristiano è un protendersi verso i beni futuri sperati nella fede: “Dimentico della via percorsa, proiettato con tutto il mio essere in avanti, io corro diritto verso la meta per riportare il premio della celeste chiamata di Dio in Cristo Gesù” (Fil 3,12).

    Quale gioia per il credente poter dire come Paolo al termine del suo cammino: Ho combattuto sino alla fine la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede (2 Tm 4,7).

    SCHEDA DI LAVORO

    1. Mi sono poste dinanzi in ogni istante due vie: la via della vita e la via della morte.

    –          come intendo queste due espressioni applicate alla mia vita?

    2. Nella mia vita mi sono capitate (o mi stanno capitando) occasioni significative in cui mi sono trovato ( o mi trovo) ad un bivio:

    – quali? Le nomino.

    – ne scelgo una: come ho vissuto ( o come vivo) il trovarmi a decidere?

    – cosa ho scelto? Mi sembra di aver aderito ( e di aderire) alla via della vita? Se sì perché?

    3. Ad Abramo è stato chiesto di uscire dalla sua patria e di mettersi in cammino, ai discepoli Gesù domanda di lasciare tutto per seguirlo:

    – Dio mi mette in cammino: se sì in che modo?

    – che cosa sento di aver sinora lasciato?

    –          che realtà sento  che mi tengono ancora legato e fermo?

    –          Che cosa il Signore mi chiede di  abbandonare per potermi mettere in cammino (cose, relazioni, affetti, luoghi…)?

    UNA LETTURA

    La strada: due possibilità di conoscenza

    Durante i miei corsi di meditazione, per far prendere coscienza che oltre alla conoscenza razionale ce ne sono anche altre, sono solito proiettare una diapositiva che rappresenta una strada, e faccia quindi sperimentare, una dopo l’altra, le due specie di conoscenza anzitutto lasciando contemplare a lungo l’immagine, e pi comincio a far rivivere il primo tipo di conoscenza dicendo: Con l’intelletto io posso conoscere la strada come realtà esteriore. Quindi continuo in modo da avere l’approvazione degli ascoltatori: la strada è terra battuta con sopra della ghiaia. Essa è immobile, a differenza degli animali o delle piante non si muove al vento. In se stessa è anche senza rumori. Ha sempre la stessa forma; nona giunge più nessuna curva alle già esistenti. E’ passiva, non agisce. Durante le mie considerazioni sul suo conto, essa mi sta di fronte, separata da me. C’è però, un altro modo con cui io posso conoscere la strada e parlare di essa. Faccio quindi delle affermazioni quasi contrarie alle precedenti ricorrendo sempre a dei verbi di azione, la strada viene da una parte e va in un’altra direzione. Si apre, si snoda, si allunga, si perde, finisce. Mi invita, mi attira, mi promette qualcosa, mi prospetta una meta, mi porta, mi conduce. Mi dischiude il paesaggio, mi esorta alla fiducia, mi impedisce di perdermi. Se è ripida mi stimola; se è comoda mi invita alla distensione. La strada mi può salvare, liberare (la via della fuga). Osserviamo: soltanto ora la strada ci si dà a conoscere nella sua vera natura, nella sua pienezza. E’ qualcosa di più di terra battuta. Devo lasciarla operare in me. Prima ne ero rimasto lontano, distaccato, ora sono in contatto con essa. E’ in questa fase che iniziano gli sviluppi. Incontrandosi con me, la strada si esprime nella sua vera natura, mi parla, mi rimette in movimento, mi chiama in causa. Non è più soltanto fuori, ma anche in me; io non sono più solo in me, ma ho dilatato il mio interno fino ad essa. Io la interiorizzo… Una volta che nell’incontro ne ho compreso la vera essenza, posso usarla come immagine. Ecco che parlo di “strada della vita”. Ora non è più questione di terra o di ghiaia, ma di qualcosa di più profondo, nascosto nella sua vera natura. E’ strano, ma evidentemente questo qualcosa esiste.Ecco perché Cristo può anche affermare: “Io sono la via”…

    Karl Tilmann, Guida alla meditazione, Brescia 1982, pp.37-38


    Posted by attilio @ 15:17

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