L’aridità spirituale
Matta el Meskin
Alla preghiera si frappongono ostacoli diversi per i principianti e per coloro che hanno acquisito una certa esperienza.
Quelli per i principianti sono dovuti prevalentemente alla mancanza d’abitudine alla preghiera. Consistono nella dispersione e nel vagabondaggio del pensiero in cose che continuano a interessarli più di Dio, nell’irregolarità dei tempi dedicati alla preghiera, nelle lamentele perché non comprendono le parole della preghiera, siano quelle dei salmi o di altri libri della Scrittura.
In questa parte ci limiteremo a considerare gli ostacoli che si frappongono alla preghiera in coloro che vivono una vita di preghiera e la praticano con un certo successo. È bene tuttavia notare fin dall’inizio che le nostre preghiere possono spesso essere impedite dall’indebolimento del corpo e dalla perdita di vitalità a causa di uno stato di malattia simile all’anemia, o di un calo di energia nervosa dopo uno sforzo intellettuale, una depressione, un digiuno eccessivo, disordini di tipo fisico, eccesso nei lavori manuali o intellettuali. Su tutto ciò è necessario avere un buon discernimento o ricorrere a un consigliere spirituale esperto che sappia scoprire tali cause e porvi immediatamente rimedio per evitare che l’angoscia psicologica della persona e il suo sentimento di colpa non si aggravino e non ceda alla disperazione, mentre lo shock, di fatto, non ha altre cause se non le sue malattie fisiche, nervose o psichiche. In realtà, il suo stato corrisponde alla situazione nella quale Cristo stesso dice ai suoi discepoli distrutti dalla fatica per le veglie, che dormivano mentre avrebbero dovuto pregare: “Lo Spirito è forte, ma la carne è debole” (Mt 26,41).
I principali ostacoli alla preghiera nei praticanti esperti si concentrano in tre importanti esperienze ben note: la prima è l’aridità spirituale, la seconda la tiepidezza spirituale e la terza la perdita dello scopo della preghiera. […]
La differenza tra aridità e tiepidezza spirituale è grande. L’aridità spirituale è quella difficoltà che l’uomo incontra durante la preghiera senza che gli impedisca di continuare la preghiera, la lettura o le veglie; tuttavia le priva di ogni consolazione, di ogni sapore e di ogni soddisfazione.
La tiepidezza spirituale riguarda invece l’atto stesso; la preghiera è interrotta e l’uomo perde ogni capacità di proseguire la propria attività spirituale ; la lettura diventa penosa, le veglie impossibili e si resta scoraggiati anche dalle pratiche semplici e abituali.
Nell’aridità spirituale possiamo pregare con facilità e comprendere il senso della nostra preghiera, la nostra mente è vigile e i nostri sensi ben desti; riusciamo a studiare la parola e a concentrarci su ciò che leggiamo; tuttavia, siamo costantemente privati di ogni consolazione interiore.
Nella tiepidezza spirituale, fin dal momento in cui ci alziamo per pregare o ci sediamo per leggere, la nostra mente è distratta e il nostro cuore assente; la preghiera e l’attività spirituale diventano non solo estremamente difficili, ma non provocano in noi alcuna eco.
L’ARIDITÀ SPIRITUALE
L’aridità è un’esperienza che riguarda la natura stessa della preghiera, capace, se noi l’accogliamo lucidamente e volentieri, di portarci a un grado superiore, quello della preghiera pura che non si fonda sui sentimenti, sulle sensazioni e gli incoraggiamenti.
L’anima che per la prima volta fa l’esperienza dell’aridità spirituale si turba profondamente, soprattutto quando la sua applicazione all’adorazione è assidua, devota e fedele. Sconcertata da quel che le accade, ne cerca la ragione frugando tra i propri errori. In realtà, l’aridità spirituale non implica affatto la perdita di qualcosa del nostro buon rapporto con Dio. E’ una tappa importante e necessaria per educare l’anima e prepararla a una vita spirituale progredita che non sia più tributaria di fattori psicologici o di gratificazioni soggettive.
È, in un certo senso, un cibo un po’ difficile da digerire, ma di grande utilità. Così, se accettiamo di buon grado, con lucidità e pazienza, di sottometterci a quest’esperienza, se le nostre anime non illanguidiscono nell’assenza di consolazioni e incoraggiamenti, bensì pongono tutta la loro speranza nella veridicità delle promesse divine, allora quest’esperienza ci farà accedere alla statura di figli perfetti, degni di quell’amore superiore che “non cerca il suo interesse” (1Cor 13,5), non si preoccupa di ricevere, ma si accontenta di dare e dì spendersi.
Se esaminiamo attentamente quest’esperienza, scopriamo che essa non comporta alcun turbamento e non colpisce il cuore con alcuna miseria. L’aridità attiene all’anima nei suoi sentimenti e nelle sue emozioni senza toccare la pace e la calma interiore; si tratta però di una pace priva di calore emotivo, di una calma senza attrattiva né soddisfazione. Per questo l’esperienza dell’aridità è sentita duramente soltanto da coloro la cui anima vezzeggiata è stata abituata alle consolazioni e agli incoraggiamenti, coloro la cui pietà si fonda sul “ricevere” e che considerano prova di progresso spirituale solo le manifestazioni sensibili.
Il pericolo di questa tappa è che l’uomo, cominciando a dubitare e a immaginare che il suo rapporto con Dio sia interrotto, smetta, alla fine, di pregare; al contrario, quest’esperienza, entro i limiti che le sono propri – cioè l’aridità spirituale provocata dalla grazia -, permette all’uomo di continuare la preghiera, perché non lo priva della capacità di pregare e di perseverarvi; lo priva unicamente delle consolazioni secondarie sulle quali egli faceva affidamento.
Se l’uomo cessa la preghiera con il pretesto dell’aridità spirituale e della perdita delle consolazioni, regredisce spiritualmente e si espone senza motivo a una prova nefasta e pericolosa, quella della mormorazione contro Dio. Ci si sbaglia quindi se ci si turba quando si attraversa la tappa dell’aridità; come pure è pericoloso smettere di pregare, con la scusa di non trovarvi più soddisfazione.
L’aridità è un’esperienza che riguarda la natura stessa della preghiera, capace, se noi l’accogliamo lucidamente e volentieri, di portarci a un grado superiore, quello della preghiera pura che non si fonda sui sentimenti, sulle sensazioni e gli incoraggiamenti.
L’uomo potrà avere la sensazione che la grazia apparentemente l’abbandoni, che gli basti l’azione interiore e segreta di tale grazia; s’appoggi allora sull’impulso acquisito nella sua vita trascorsa con Dio. Se ne accontenterà per attraversare le prime tappe di quest’esperienza, finché la sua anima abbia imparato a fissarsi in Dio, senza intermediari né incoraggiamenti. Allo stesso modo, nel corso dell’esperienza, colui che cammina su questa via si affidi ai consigli di un padre spirituale e ne segua le indicazioni con grande fedeltà. Esse sono, a questo stadio, di importanza fondamentale. Ma forse la raccomandazione più importante e più utile è quella di accettare l’aridità spirituale con umiltà, di accettare di essere trattato come l’ultimo degli uomini, inadatto a ricevere le consolazioni e, anche se si dovesse considerare l’aridità come una correzione, un simile atteggiamento non sarebbe privo di benefici (in realtà però l’aridità non è una correzione, ma un’educazione).
A chi attraversa questa tappa non serve a niente fermarsi per analizzare la propria situazione, ricercarne motivi e cause e tentare di fare piani per uscirne moltiplicando le veglie, le preghiere e i digiuni; è fatica sprecata e rischia di uscire dal campo della grazia. Per contro, quel che di meglio può fare è accettare l’aridità e perseverare, attento e ponderato, nella sua opera spirituale non risparmiando i propri sforzi e la propria fatica per proseguire la marcia allo stesso ritmo, come il viaggiatore sulle piste del deserto che la scomparsa dei piaceri della città non distoglie dal suo cammino nelle profondità aride del deserto, fino alla fine.
L’atteggiamento fondamentale in ogni esperienza spirituale è accettarla come tale senza alcuna riserva. L’aridità spirituale è una prova spirituale proposta come tale, come una contingenza ineliminabile della via stretta. Se accettiamo le prove spirituali in genere, non è perché siamo spinti dal desiderio di pervenire alla perfezione: ciò comporterebbe una certa esaltazione dell’io; ci sottomettiamo piuttosto al piano di Dio per compiere la sua volontà; la nostra sottomissione a Dio condiziona la nostra comunione con lui, e questa sola può condurci alla perfezione.
1. Rapporto tra aridità e volontà
Dobbiamo distinguere tra l’essenza dell’anima umana e le facoltà e reazioni che sono proprie della sua attività. L’anima nella sua essenza è ben altro rispetto ai sentimenti che essa genera o che la influenzano. Così pure, l’immaginazione e i pensieri possono svelare uno stato dell’anima, ma non sono l’anima stessa e non sono rappresentativi dell’anima; solo la volontà, il libero arbitrio, manifesta l’anima e la rappresenta; perciò l’uomo non è né responsabile né colpevole del proprio immaginario, né dei suoi pensieri, né dei suoi sentimenti in quanto tali, ma è responsabile di quel che la sua volontà manifesta.
Nel caso dell’aridità spirituale ci rendiamo conto che si tratta di una perdita provvisoria della capacità dell’anima ad accogliere le ineffabili consolazioni e gli incoraggiamenti spirituali che riceveva dalla grazia per mezzo dell’immaginario, del pensiero e del sentimento. Ma l’anima, in quanto tale, non cessa, nel tempo dell’aridità, di desiderare ardentemente e di aspirare con la sua volontà a ricevere consolazioni e incoraggiamenti. L’aridità spirituale rimane pertanto una prova esteriore alla volontà.
Questa verità è estremamente importante, perché libera l’uomo da una responsabilità fittizia che la sua coscienza tenta d’attribuirgli a causa della sospensione di consolazione e di soddisfazione interiore nel tempo della prova dell’aridità spirituale.
Ne deriva che l’adesione dell’anima alla preghiera (rappresentata dalla sua volontà) può rimanere intatta nonostante lo stato di aridità, poiché tale stato, fondamentalmente, non intacca la volontà. In altri termini, malgrado la persistenza dell’aridità spirituale, la preghiera può essere perseguita con tutta la propria forza e tutta la propria energia.
La perseveranza nella preghiera senza il sostegno delle consolazioni e degli incoraggiamenti affettivi che provenivano dall’immaginazione, dai sentimenti e dai pensieri, è l’obiettivo principale di questa prova che la grazia dispone sul cammino spirituale dell’uomo. Questi è così condotto a disfarsi dei legami che l’uniscono al sensibile, alle emozioni umane e alle rappresentazioni intellettuali e che impediscono all’anima di avere un contatto diretto con Dio. L’anima non può stabilirsi definitivamente in Dio finché l’attività affettiva, immaginativa o intellettuale può ancora prendersi gioco di lei.
Nel momento stesso in cui la preghiera si libera di tali legami, supera la soglia della preghiera pura. Più niente può separare da Dio l’uomo che raggiunge tale soglia, perché l’essenza stessa dell’anima si sarà allora profondamente stabilita in Dio, senza interferenze esteriori. Essa può allora, durante la preghiera, estendere il proprio sguardo su Dio senza ostacoli e senza simulazioni esteriori.
Risulta così evidente che l’aridità spirituale è un’esperienza che la grazia dispone sul cammino dell’anima per aumentarne la capacità di concentrare lo sguardo direttamente su Dio, sospendendo tutte le altre visioni parziali, in particolare consolazioni, soddisfazioni e incoraggiamenti che disperdono lo sguardo spirituale.
2. L’aridità, occasione di perniciosa dissipazione del pensiero
Tra i pericoli dell’aridità, quello dell’allontanamento delle facoltà intellettuali e immaginative dalla sorveglianza spirituale non è tra i minori. L’avversario può captarle per precipitarle da tutta la loro altezza e indurle a errare nei pensieri del male e nelle evocazioni perniciose che, prima, nemmeno si presentavano allo spirito. L’arresto delle consolazioni con cui la grazia nutriva le facoltà dell’anima, quali l’immaginazione, il pensiero e il sentimento, dà all’avversario l’occasione di proporre loro il suo funesto nutrimento.
Così, nella fase dell’aridità spirituale, il pensiero dell’uomo rischia di dissiparsi, senza che egli se ne curi, in continue rappresentazioni malsane, che si succedono fino a portare l’anima al massimo dell’umiliazione. E’ a quel punto che dobbiamo prestare la massima attenzione al ruolo della volontà. Finché la volontà non accetta questa dissipazione, non vi si accorda e non la sostiene, finché manifesta davanti a Dio, nella preghiera, il suo rifiuto, la sua tristezza e le sue proteste, la preghiera resta pura senza che la dissipazione del pensiero e dell’immaginazione possa intaccarla.
Al di là di ogni considerazione, il primo e l’ultimo responsabile della purezza della preghiera è la volontà. Il potere della volontà di perseverare nel rifiuto delle rappresentazioni e dei pensieri vani e la sua determinazione a proseguire la lotta, qualunque sia la durata della prova, sono, in definitiva, le sole che possono mettervi fine. Ciò che dobbiamo credere con fiducia totale è il fatto che Dio non ci chiederà mai di render conto del male che ci attraversa il pensiero o l’immaginazione, finché questo male non ha il nostro consenso e la nostra adesione, e a condizione di confermare questo rifiuto con la preghiera costante. Se la volontà persiste nella sua protesta senza deporre le armi e senza che l’intenzione abdichi, allora ogni tortura che l’avversario infliggerà al pensiero e alla coscienza ci sarà contato, alla fine, come un’offerta pura. Finché la volontà rimane vigilante, vigorosa e alimentata dalla preghiera il pericolo di abituarsi a rappresentazioni e dissipazioni perniciose a causa della durata della prova, non è da temere; perché, quando Dio accondiscenderà a stringere tra le sue braccia l’anima liberata dal suo egoismo e dalla sua sensibilità emotiva, la guerra cesserà definitivamente, in un istante. Quanto a sapere perché Dio permette all’avversario di torturare così il pensiero e la coscienza dell’uomo con una durezza che alcuni santi hanno paragonato a quella dell’inferno, la risposta è nella nostra natura corrotta dal peccato e divenuta un bersaglio per il male. Se alla nostra mente non fosse stata data la libertà d’immaginare e di pensare il male, fosse anche per una volta soltanto, l’avversario non avrebbe mai potuto costringerla a farlo. Se quindi Dio sembra lasciarci gustare per un istante l’amarezza del potere di Satana, ciò è ben meritato, ma è vero anche che Dio non può abbandonarci e, al momento opportuno, interviene e trasforma tutto il male che subiamo in fattore di forza, di salvezza e di gloria. Quando i nostri sentimenti, i nostri pensieri e le nostre rappresentazioni saranno fusi nel crogiolo dell’aridità spirituale, saremo atti a superare infine la soglia della purezza che ci permetterà di vivere con Dio.