• 16 Feb

    IL COMPIMENTO

    9. NUOVA ED ETERNA ALLEANZA CON I “DODICI”

    L’eucaristia è il sacramento dell’amore di Dio.

    Con una convinzione esultante e non sradicabile prendiamo coscienza  che Dio crea l’universo solo per unire a sé nell’amore tutti gli uomini.  Per renderli partecipi di tutta la sua vita, compresa la divinità.  Per diventare egli stesso partecipe di tutta la loro vita di uomini,

    Questo è il grande amore: un matrimonio, l’alleanza. Dio si incarna per sposare l’umanità.

    Viene a cercare la sua povera fidanzata là dov’essa è, dove non può non essere: nella condizione di creatura; per “farla passare” alla condizione divina. E’ “la pasqua”! Insieme “passano da questo mondo al Padre”; e lo sposo conduce, innalza la sposa: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).

    L’antico testamento, attraverso il quale ci viene raccontata la storia in cui Dio e l’uomo si cercano, s’incontrano, fanno conoscenza, si frequentano, si fidanzano, diventano “sposi” nel senso di “promessi”, questo testamento è nell’ordine delle preparazioni: non ci lascerà a metà strada in questa storia d’amore; è l’aurora dell’incarnazione di Dio e, con e in Gesù, avranno luogo le nozze eterne.

    C’è un vecchio libro di Fornari, sempre bello da leggersi che dice, cominciando la storia del Cristo, press’a poco così: “Gesù è giunto a noi come un uomo che viene da lontano e in un primo momento s’odono i suoi passi come un rumore appena percettibile, poi sempre più sicuri sino a che si comprende ch’egli è presente tra noi”.  Ecco la storia della redenzione che possiamo ritrovare riaprendo il Libro che è rimasto troppo a lungo chiuso per noi: l’antico testamento con i suoi personaggi, con le sue approssimazioni che annunciano il Cristo che s’avvicina a noi. (Paolo VI)

    Si tratta dunque d’un vero e proprio matrimonio?

    Si tratta dell’unico matrimonio vero e proprio! Gli altri – anche i nostri più bei matrimoni terreni – ne sono soltanto una pallida e lontana immagine, una scintilla della “fiamma di Jahvé”, dice il Cantico dei Cantici.  Dio si incarna per sposare l’umanità nel senso più forte del termine, cioè per fare eternamente con essa un unico essere, un’unica carne:

    I due formeranno una carne sola”

    “lo sono nel Padre e voi in me e io in voi” (Gv 14,20).

    Non con un abbraccio passeggero e, tutto sommato, superficiale, in cui ognuno resta esterno all’altro, ma con una sorta di fusione che è comunione intimissima tra due esseri. Il desiderio dell’amore è la fusione: sussistere unicamente per donarsi, per “passare” totalmente all’altro, per lasciarci consumare dall’altro, diventando in qualche modo suo cibo, il pensiero del suo spirito, il cuore del suo cuore, la carne della sua carne; e reciprocamente, accogliere totalmente l’altro, perché nulla di lui mi resti estraneo, perché egli formi un tutt’uno con me.  Fusione, senza confusione.

    Il gesto dell’amore, il bacio, è già più simbolico del mangiare e del bere: è meno pregnante.  Il mangiare e il bere sono i simboli più forti dell’intimità.  E l’intimità di coloro che si amano non è forse il primo cibo?  Non è la vita stessa?

    Il desiderio dell’amore è la fusione, senza confusione; ed è questo il desiderio di Dio stesso, folle d’amore per l’umanità.

    Così, il famoso testo biblico e il grande mistero che esprime: “I due formeranno una carne sola” – non riguardano innanzitutto i matrimoni dei figli e delle figlie di Adamo.  “Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesaproclama s. Paolo (Ef 5,31-32).

    Purtroppo, l’ardente desiderio dell’amore umano – formare un tutt’uno – non si realizza mai completamente e definitivamente.  Per fondersi veramente, sarebbe necessario morire a questo corpo che divide più di quanto unisca.

    Soltanto Cristo, poiché è Dio, può fare un’unica cosa con l’umanità sua fidanzata; solo lui può essere per lei la carne della sua carne, donandosi a lei come un “vero cibo”.

    E’ necessario, certamente, ch’egli muoia allo stato corporale di questo mondo; ma al di là della morte, nella sua condizione di risorto, può donarsi come cibo e bevanda, poiché tutte le barriere umane sono abolite per il corpo glorioso.  L’uomo e Cristo diventano così veramente uno: l’uomo mangia Dio e così sono due in una sola carne.

    Che tutti siano una sola cosa.  Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu m’hai mandato.  E la gloria che tu hai dato a me io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.  Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. (Gv 17,21-23)

    Il pasto eucaristico è innanzitutto questo: comunione con Dio.

    Non si tratta perciò di condividere solo e in primo luogo il pane e l’amicizia con i fratelli: questa via orizzontale è chiusa e breve.  Chiusa per la giustapposizione impermeabile dei corpi; breve per la piccolezza dei nostri cuori.

    La realtà primaria dell’eucaristia, che non dobbiamo mai dimenticare, consiste nel fatto che essa è in primo luogo una fusione, senza confusione, di Dio con l’uomo.

    La seconda consiste nel fatto che si tratta dell’”uomo”, d’ogni uomo, e non solo di me.  Dio s’è incarnato, unendo a sé personalmente l’uomo chiamato Gesù, allo scopo di sposare l’intera umanità attraverso l’uomo Gesù.

    Cristo muore e risorge, facendosi cibo per diventare la carne della carne di tutta l’umanitàL’incarnazione non si conclude nel Cristo, ma in tutta l’umanitàDio s’è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio.  Ogni uomo!

    A tavola con i dodici

    Dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme, Gesù, per non essere arrestato e ucciso prima della “sua ora”, passa le notti in casa dei suoi amici di Betania o nel giardino del Getsemani.  Durante il giorno, le folle entusiaste dei pellegrini accorsi per le feste pasquali lo mettono al riparo da un colpo di mano.  Per quattro giorni conduce questa vita sfibrante e braccata. Venuto il giovedì – che sarà il primo giovedì santo – in segreto per non dare a Giuda utili informazioni, Gesù manda Pietro e Giovanni incontro all’uomo con la brocca d’acqua, un amico, che gli aprirà la “grande sala con i tappeti già pronta” per i pasti festivi (Mc 14,12-15).

    Essi devono infatti preparare un pasto festivo, quello della più gioiosa festa ebraica: la pasqua.

    Venuta la sera, Gesù giunse con i dodici” (Mc 14,17) nella sala preparata per il pasto pasquale.

    Dodici persone sono intorno a Gesù: “amici”, eccetto Giuda, che Gesù inviterà a lasciare l’assemblea prima dell’eucaristia; degli iniziati, “a cui egli ha fatto conoscere tutto ciò che ha udito dal Padre” (Gv 15,15).  Non ci si comunica in qualunque disposizione di coscienza e di fede.  “Voi siete mondi, ma non tutti“, ha detto Gesù (Gv 13, 10).

    E non ci si comunica da soli.  “L’eucaristia non è semplicemente un ‘mangiare Cristo’; è un ‘mangiare Cristo insieme. Questo ‘insieme’ è già quello del semplice pasto umano, dove il cibo condiviso lega i commensali e spesso li riconcilia.

    Nel sacramento dell’altare questo cibo è Gesù Cristo e Gesù Cristo stesso unisce i credenti, egli che è ricevuto da tutti senza essere diviso: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?  E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,16-17).  Alla mensa di Dio, è Gesù Cristo che ci unisce e non primariamente il fatto di essere insieme” (Raymond Didier).

    “Venuta la sera”, dunque, “Gesù giunse con i dodici”.  Non si dice: con Maria e i cugini di Nazaret… La pasqua normale si celebrava in famiglia, con un agnello immolato ogni dieci persone.  Che cosa vuol indicare il Signore alla sua chiesa?  Certamente: “Il tuo parentado è più vasto: ogni uomo è tuo fratello, perché ogni uomo è mio fratello“.

    Durante la vita pubblica, Cristo ha preso le distanze dalla sua famiglia secondo la carne.  Solo nella fede si scopre e può essere vissuta l’unica fraternità che Gesù Cristo riconosca e che sia degna del cuore universale di Dio… Ci si ricordi l’episodio riferito da Luca (8,19ss): “Fu annunziato a Gesù: ‘Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti’.  Ma egli rispose: ‘Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”

    La cena di Gesù, dunque, non è un pasto familiare, ma un pasto comunitario.  La grazia filiale della salvezza ci deve far passare dal gruppo “naturale”, “chiuso”, a una chiesa “aperta” radunata dalla fede in Gesù, dall’amore per Gesù, dall’amore vicendevole di tutti per tutti, dall’accoglienza del primo venuto, dell’ultimo venuto, di ogni stirpe, lingua, popolo, nazione… di ogni età!

    Ma perché dodici, non di più, né di meno?

    Questo “dodici” è il numero simbolico della pienezza.  Giacobbe ebbe dodici figli, da cui uscirono le dodici tribù che costituirono la totalità dei popolo di Dio fino a Gesù.  Ma Israele era solamente il nucleo del popolo definitivo di Dio, l’umanità, come la ghianda è solo il seme della quercia.  Gesù, venuto per radunare tutti gli uomini nella sua alleanza d’amore, scelse dodici apostoli come embrione del popolo allargato: dello stesso popolo, ma universale.

    Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: “Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’agnello”.  L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.  Il suo splendore è simile a quello d’una gemma preziosissima ‘ come pietra di diaspro cristallino.  La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte; sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele.  A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.  Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’agnello. (Ap 21,9-14)

    Ecco perché questo “dodici” è così importante per la chiesa fino a che essa resta in Giudea: è significativo, per il mondo ebraico, della missione universale della chiesa, dell’amore universale di Dio, dell’offerta universale della salvezza e dell’eucaristia.  Subito dopo l’ascensione del Signore, il primo atto ufficiale di Pietro è quello di proporre l’elezione di uno che prende il posto di Giuda (At 1, 15ss).  Così, essi saranno dodici per la pentecoste e per la partenza missionaria verso “la totalità” degli uomini.

    Tutta l’umanità, dunque, è invitata, con i dodici, attorno alla tavola eucaristica.  Tutti sono presenti al dono dell’amore.  Il sangue del calice che tutti bevono “è il sangue dell’alleanza, versato per molti” (Mt 26,28; Me 14,24), offerto quindi ai “molti”, alla moltitudine: “Prendete e bevetene tutti”.  Gesù non è forse stato “formato e stabilito come alleanza del Popolo”, della moltitudine (Is 42,6)?

    Il termine “molti“, ripreso dagli evangelisti dell’ultima cena, corrisponde al “tutti” di cui parla s. Paolo a proposito della redenzione (Rm 5,15 ss): ambedue traducono il termine “moltitudine”, che è come un termine tecnico della bibbia per designare la totalità degli uomini e, nello o, il legame di parentela umana che li rende membri della stessa famiglia.

    L’eucaristia pasquale di Gesù e della chiesa raduna dunque sì una famiglia, secondo la tradizione ebraica, ma si tratta di tutta la famiglia umana.  E’ il senso teologico di quella meravigliosa immagine, dopo la moltiplicazione dei pani: quando tutti si furono saziati, si raccolsero dodici ceste di pezzi avanzati!  Chi aveva portato le ceste?… E perché dodici? E per chi tutto questo pane miracoloso avanzato e raccolto?  Per tutta l’umanità di tutti i secoli, per voi, per me, per la moltitudine, per la totalità. Dodici è la cifra biblica della pienezza.

    Gesù, dopo una notte passata in preghiera sul monte, aveva “scelto e costituito” i dodici, come ci dice Marco (3,13-19) che ce ne dà la lista, con Pietro a capo.  Sono gli stessi dodici, soltanto loro, che si trovano ora riuniti per l’istituzione eucaristica e a cui Gesù dirà: “Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.  Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti” (Gv 15,15-16).  Solo a essi dirà: “Fate questo in memoria di me“.,

    Siamo qui al livello della libertà di Dio e del suo Cristo.  Il Signore è giunto all’ora del suo testamento, al vertice della sua alleanza.  Testamento, alleanza: sono “disposizioni” che hanno valore solo nella piena libertà. Gesù dice dunque ai dodici: lo ‘dispongo’ per voi del regno, come. il Padre ne ha ‘disposto’ per me.  “Siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele” (Le 22, 29-30), cioè: voi governerete il popolo di Dio.

    “Per questo”, dichiara il Vaticano II, “i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in modo speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito… Con la celebrazione della messa offrono sacramentalmente il sacrificio di Cristo” (PO 5: EV I, 1252).

    Il ministro manifesta che l’assemblea non è proprietaria del gesto che essa sta per compiere, che essa non è padrona dell’eucaristia: la riceve da un altro, il Cristo vivente nella chiesa.  Pur continuando a essere membro dell’assemblea, il ministro è anche l’inviato che significa l’iniziativa di Dio e il legame della comunità locale con le altre comunità nella chiesa universale” (Accordo ecumenico di Dombes sull’eucaristia).

    la nuova ed eterna alleanza con i Dodici

    La celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi. Catechismo della Chiesa cattolica 1382

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    L’eucaristia riunisce le nostre vite divise nella divinizzazione uniforme, e mediante l’adunanza deiforme dei separati, ci fa dono della comunione e dell’unione a Colui che è Uno. Dionigi Areopagita

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    L’eucarestia è segno vivo dell’amore con cui Dio ama ciascuno di noi, e desidera che entriamo in comunione di vita con lui per sempre. Essa è “matrimonio-alleanza”.

    Cfr.      Gv 17.24

    Gv 14.20

    Ef 5,31-32

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    Nella sua condizione di risorto Gesù può donarsi come cibo e bevanda per noi, infatti le barriere strettamente umane sono già abolite nel suo corpo glorioso. L’uomo e Cristo diventano così veramente uno: l’uomo mangia Dio e così sono due in una sola carne

    Cfr.      Gv 17,21-23

    1Cor 10,16-17

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    Gesù celebra la cena con gli apostoli: non è un pasto familiare ma comunitario. E’ la Chiesa composta da coloro che hanno seguito Gesù, è la comunità radunata dalla fede in lui: aperta all’accoglienza di chiunque voglia condividere la sua esperienza.

    Nei dodici sono invitati tutti coloro i quali aderiranno all’annunzio della morte e risurrezione del Signore: costituiscono il nuovo popolo santo di Dio dilatato fino agli estremi orizzonti

    Cfr.      Lc 8,19ss

    Ap 21,9-14

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    Posted by attilio @ 10:12

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