• 11 Feb

    I SIMBOLI


    4. Il  pasto eucaristico


    Un pasto condiviso

    Il pane e il vino, “frutti della terra e del lavoro dell’uomo”, sono naturalmente destinati a essere condivisi a tavola.

    Il Signore, infatti, istituì l’eucaristia “mentre cenavano” (Gv 13,2), cioè durante un pasto: “a mensa con i dodici” (Mt 26,20).

    Quando fu l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui (Lc 22,14)

    L’eucaristia è un pasto condiviso: “Prendetelo e distribuitelo tra voi“(Lc 22,17).

    Un pasto condiviso è molto di più del nutrirsi e del dissetarsi!

    Mangiare e bere possono anche essere soltanto atti animali; e se le bestie lo fanno fianco a fianco, ne nasce una lotta, perché ciascuna vuole avere tutto per sé, senza alcuna condivisione; non mangiano “insieme”, ma come rivali.

    Per l’uomo “umanizzato”, al contrario, il più piccolo pasto è già un importante gesto umano ricco di simbologia. E’ una celebrazione rituale della famiglia, della fraternità, dell’amicizia, dell’ospitalità, della riconciliazione.

    Si comprende allora perché il simbolo del sacramento dell’eucaristia non è anzitutto l’atto del mangiare, ma quello del condividere nella comunione fraterna.  Il simbolismo degli elementi eucaristici si colloca dunque all’interno della simbologia di un pasto fraterno, e da questo trae anzitutto il suo primo significato.  Il sacramento dell’eucaristia è il condividere-mangiare Cristo insieme.

    Non confondere “pasto” e “presenza reale”

    Ogni sacramento è presenza di Cristo.  Troppo spesso si è confuso “presenza reale” e “sacramento dell’eucaristia”…

    A che cosa giova la presenza dei viveri nella dispensa, o anche sulla tavola?  Certamente tale presenza è necessaria: “non si vive di belle parole”, diceva Molière.  Ma non si vive neppure della sola presenza reale di questi alimenti.  Si vive biologicamente del mangiare e del bere, si vive umanamente del mangiare e del bere insieme, nella condivisione fraterna, si vive divinamente del mangiare e del bere Cristo insieme.

    Il sacramento istituito da Cristo è, infatti, la “frazione del pane” consacrato, la condivisione del vino consacrato.

    Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue“, certamente. La presenza reale è un aspetto molto importante: ma a che scopo?  Per “prendere e mangiare”, per “prendere e bere”, per “distribuire tra voi”.  Ecco il sacramento.

    “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. lo sono il pane vivo, disceso dal cielo.  Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita dei mondo”.  Allora i giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.  Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.  Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. (Gv 6,48-56)

    Poiché nella riforma protestante l’eucaristia era vista come un puro simbolo, la controriforma e il concilio di Trento hanno insistito a tal punto sulla presenza reale da far passare in second’ordine, se non dimenticare, gli aspetti essenziali: “Mangiate… Bevete….

    Il giansenismo peggiorò la situazione: invece di mangiare l’ostia, come aveva detto il Signore, la si adorò perdutamente, a distanza.  La partecipazione al sacramento fu sostituita dalla devozione all’ostia consacrata: processioni, omaggi, benedizioni del santissimo sacramento…

    Tale mentalità è ancora in molti radicata.  Contate gli adulti che si comunicano alla domenica… Dopo le confessioni pasquali, contate le brave persone che “osano” accostarsi alla tavola sacra più di una o due volte, per poi passare il resto dell’anno senza “prendere e mangiare”.

    Contate i parroci che consacrano il pasto del giorno e dividono questo pasto con l’assemblea, come richiede il concilio… e il buon senso (SC 55):

    Molti preferiscono ricorrere ancora alla pisside di riserva nel tabernacolo della presenza reale, impoverendo così il segno sacramentale, e perciò il sacramento stesso.

    Il “segno” eucaristico è un’assemblea che consacra e condivide un pasto sacrificale.


    Un pasto è un’assemblea

    Purtroppo, il nostro mondo burocratizzato, industrializzato, schiacciato dal “progresso”, non ha più il tempo di radunarsi gratuitamente e di condividere fraternamente tra convitati. Ci si accontenta.  Ci si nutre, è vero: si ingoia, talvolta ci si “abbuffa”; oppure si sbocconcella in fretta uno spuntino; o ancora, ci si dirige velocemente al self-service in cui, con il vassoio in mano, si segue la coda fino alla cassa, poi si cerca – non un volto, questo no! – ma un tavolo vuoto in cui mangiare a raffica, senza una parola, e finalmente tutto è concluso… Siamo proprio dei sottosviluppati!

    Nella Bibbia e presso i popoli che noi chiamiamo “primitivi”, poiché il ritmo industriale non ha distrutto in essi i valori umani, ogni pasto introduce nella grandezza, nell’incontro con gli altri, con l’Altro…

    Il ruolo naturale del pasto, infatti, oltre ad alimentare, è di riunire. Il pane suggerisce, come abbiamo ricordato, la collaborazione di una catena di lavori e di lavoratori; suggerisce anche, e maggiormente, il raduno familiare attorno alla tavola, la comunità dei convitati, la comunione degli spiriti e dei cuori, la condivisione degli alimenti terrestri e spirituali.

    Se manca l’affetto, almeno un legame d’onore unisce ogni partecipante a tutti gli altri e tutti a ciascuno.  Non si invita un nemico; oppure, se lo si invita, non vi è gesto più espressivo di perdono.

    “Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola.  Il figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!”.  Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. (Lc 22,21-23)

    Non si accetta un invito se non per andarvi in spirito di fraternità.  Nelle saghe tedesche, non si può uccidere l’invitato.  Nel mondo arabo, è un delitto mostruoso tradire la convivialità.  Essere traditore proprio mentre si prende il boccone dell’amicizia significa essere posseduti dal demonio, come Giuda (Gv 13,27).

    Un pasto “umano” raduna dei fratelli, o rende fratelli coloro che raduna.

    Un pasto rende fratelli

    In una tribù, in una famiglia, si è fratelli e sorelle perché si discende da comuni antenati: si è ricevuto la vita dalla stessa fonte.  Ma se in realtà non si è fratelli, in quanto si appartiene a famiglie o a tribù diverse?  Resta allora un mezzo di “fraternizzare” sempre attuabile: condividere un pasto.

    Infatti, si trae vita dagli stessi piatti, dallo stesso calice: si è perciò ormai fratelli.  Tale è il senso del pasto condiviso presso coloro che si osa definire “primitivi”.  Tale è il senso del pasto condiviso nella bibbia e nel vangelo.

    Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicano e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli.  Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicano e ai peccatori?”.  Gesù li udì e disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.  Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio.  Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. (Mt 9,10-13)

    Abbiamo qui il senso sconvolgente dei pasti di Gesù.  “Costui mangia insieme ai pubblicano e ai peccatori! ” dicono i farisei scandalizzati. il profeta di Dio, e in lui Dio stesso, si comporta come fratello dei peccatori; vuol essere della loro tribù, del loro clan, dalla loro parte… e mangerà con i suoi, i peccatori: pubblicani, prostitute, Zaccheo, Levi… Questa grande misericordia li farà ritornare.

    Se, per coloro che hanno conservato il senso dei valori profondi, un pasto comune fa rinascere dalla stessa fonte, quanto più ciò è vero a proposito di quel pasto che è l’eucaristia condivisa.  A quella tavola del pane di vita si realizza l’unità reale e misteriosa della chiesa. Comunicando con lo stesso Cristo, noi comunichiamo con gli altri.

    Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?  E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,16s).

    Un pasto è parola

    Nelle “scorpacciate” del robot umano, la bocca è soltanto mascelle sul piatto.

    Nelle agapi fraterne, il mangiare insieme è innanzitutto labbra, lingua e sorriso: è parola, è “conversazione”: condivisione di novità, idee, sentimenti, più che di pane e di sale.  Soprattutto quando il vino dà libera corsa alla gioia espansiva e alle confidenze.  Allora si mette sulla tavola quanto c’è nella testa e in fondo al cuore: pene, preoccupazioni, gioie, speranze.

    La messa, soprattutto nel corso dei secoli di latino e di gerarchismo, non ci ha abituati a parlare alla tavola santa.  Tanto più che proprio lì la parola raggiunge il suo vertice nelle parole della consacrazione: “Questo è il mio corpo…”

    E’ perciò necessario ritrovare non solo il senso pieno di questa tavola della parola, ma anche le parole spontanee improvvisate che ciascuno si sente di dire nell’incontro caldo e fraterno.  Altrimenti i giovani andranno a cercare nelle sette quella calda atmosfera che Cristo amava condividere con i discepoli.

    Un pasto è condivisione

    Un pasto è infine condivisione, perché è amicizia.  Amare significa condividere.

    Come abbiamo detto, un pasto fatto da ciascuno per conto suo non è più un pasto.  Il gesto allora non ha più alcun senso umano, soprattutto tra cristiani.  Lo afferma con forza san Paolo scrivendo ai Corinti.  Il pane, i cibi sono per ognuno; il calice deve passare di mano in mano, di labbro in labbro.  Come sono per tutti e per ciascuno gli sguardi, i sorrisi, le idee e le parole.  Condividere!

    Ma condividere è ben diverso che dare…

    Si dà ciò che è proprio.  Il dare porta perciò gli altri a essere “debitori”

    E’ la mano che permette all’uomo di presentarsi a tavola col volto eretto.  Infatti, senza la mano, sono la mandibola o la mascella o il becco o la zanna ad afferrare direttamente gli alimenti; ciò comporta una violenza.  Ma quando la mano, diventata libera per la posizione verticale dell’uomo, afferra gli alimenti, allora la faccia sottratta alla violenza, si ricompone e si umanizza per funzioni diverse da quella alimentare.  In questo modo la faccia diventa volto, ossia sorriso, sguardo, e soprattutto parola. Il sorriso e lo sguardo sono già, in un certo senso, delle parole. (F. Varillon, s.j.)

    Non posso condividere, se non ciò che ho coscienza di aver prima ricevutoNon condivido ciò che è mio; condividiamo del nostro, perché il Padre celeste ce l’ha dato. lo non sono la fonte del mio amore, come di nessun’altra cosaHo coscienza d’aver ricevuto tutto, e innanzitutto questi fratelli e queste sorelle che mi donano la gioia di ammettermi a condividere tutto ciò ch’essi sono e questi semplici cibi che Dio ci offre insieme.

    Così la condivisione è riconoscenza: riconoscenza di Dio e riconoscenza degli altri; riconoscenza verso Dio e riconoscenza verso i fratelli. E’ la via dell’umiltà e del ringraziamento, della “benedizione” e dell’eucaristia”.

    “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.  Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2,44-47).

    IL PASTO EUCARISTICO

    «La comunione eucaristica ha un carattere tutt’altro che intimistico e sentimentale. Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli: “A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito” (Pregh. Euc.III). Il Signore Gesù viene a vivere in noi e ci assimila a sé: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandanto me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,55-57). La vita che egli comunica è la sua carità verso il Padre e verso tutti gli uomini.

    Unendoci a sé, Gesù Cristo ci unisce anche tra noi: lo esprime bene il segno del pane e del vino, condivisi in un convito fraterno. I molti diventano un solo corpo in virtù dell’unico pane (Cfr 1Cor 10,17): “Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità!””(sant’Agostino). Come i chicchi di grano si fondano in un solo pane e gli acini di uva in un solo vino, così noi diventiamo uno in Cristo (Didaché 9,4). L’eucaristia presuppone, rafforza e manifesta l’unità della Chiesa. Esige l’unità della fede e impegna a superare le divisioni contrarie alla carità (Cfr 1Cor 11,18).»


    Dal Catechismo degli Adulti, La verità vi farà liberi, 691-692

    • Il simbolo primario dell’Eucaristia non è anzitutto il mangiare, ma il condividere lo stesso cibo. Le nostre eucaristie sono espressione anzitutto di questa condivisione, o si risolvono in atti strettamente “individuali” che interessano solo me, ma non coloro che mi sono accanto?

    • Un pasto raduna fratelli e rende fratelli. Non si mangia insieme al proprio nemico le nostre eucaristia assumono nei gesti, nelle parole il nostro essere riuniti fraternamente? E’ possibile celebrare l’eucaristia quando esistono tensioni, inimicizie, calunnie, divisioni all’interno della propria comunità. Non è questa un mangiare e un bere il corpo e sangue del Signore indegnamente? Cor 10,16ss

    • L’Eucaristia è anzitutto gesto di condisione e di fraternità. Si condivide ciò che tutti abbiamo ricevuto. Condividere e riconoscere che l’iniziativa non è nostra, che tutto è dono datomi e datoci per essere spezzato fra tutti nessuno escluso. At 2,42-47

    • Medito qualche passo evangelico in cui contemplo Gesù che “condivide” il pasto con i pubblicani e peccatori, scandalizzando i religiosi benpensanti. Condivedere è entrare in comunione, è fare alleanza. E Gesù mangia con i peccatori. Cosa mi suggerisce questa meditazione: Mt 9,10-13

    Posted by attilio @ 15:53

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