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Gen
VENGA IL TUO REGNO
di p. Attilio Franco Fabris
Il Battista impernia la sua predicazione sulla conversione in vista dell’avvento del Regno:
“Il Regno dei cieli è vicino”: Mt 3,2
Gesù riprende questo tema, anzi annuncerà che ormai il regno è giunto:
“Il tempo è compiuto, il Regno die cieli è vicino”: Mt 1,15
“Il regno di Dio è in mezzo a voi”: Lc 17,21.
Leggendo i vangeli ci accorgiamo di come il Regno di Dio è il centro della sua predicazione di Gesù di Nazaret (122 volte di cui 90 in bocca a Gesù).
Così anche i discepoli sono mandati a predicare il Regno:
Mt 10,7
At 28,31
Ma che cos’è il Regno dei Cieli, o per usare un’altra espressione il “regno di Dio”? I testi non lo dicono. E’ evidente che per gli interlocutori non occorresse spiegarlo talmente era chiaro!
NELL’ANTICO TESTAMENTO
Nelle teogonie dei popoli antichi il mondo nasceva da una lotta tra Dio e il Caos. La regalità di dio veniva dunque stabilita al momento della creazione.
Essa veniva ciclicamente celebrata affinché potesse perpetuarsi. Il mondo infatti era costantemente minacciato dal Caos (ecco allora le celebrazioni rituali del giorno e della notte, dell’inverno e primavera, della morte e della vita… )
Un ruolo fondamentale era dato dalla figura del re: toccava a lui, in quanto rappresentatnte-figlio-luogotenente di dio, assicurare l’ordine da cui scaturiva prosperità, pace, giustizia per i poveri e gli oppressi (cf Is 1,23; Sl 72,7.16).
Ad esempio quando il re babilonese Assurdanipal (669-630 ac) assurge al trono, esso viene celebrato con queste parole:
Governo prospero
anni di equità
Piogge abbondanti,
fiumi in piena…
i vecchi saltano
i fanciulli cantano.
Le fanciulle esultano di gioia,
le donne concepiscono…
Quelli che da anni giacevano ammalati rivivono,
gli affamati sono saziati,
i magri diventano grassi,
gli ignudi sono coperti di abiti.
Israele coltiva la speranza del regno di Dio, ma a differenza di altri popoli non lo proietta come un ritorno ciclico al passato, non è un ritorno alla mitica età dell’oro, esso invece appartiene al futuro dell’alleanza, alle promesse stesse di Dio fatte a Abramo, Isacco e Giacobbe.
Questa convinzione di fede nasce anche dall’esperienza derivante dalla delusione a cui Israele soggiace passando da un re all’altro. La monarchia è screditata inesorabilmente. Nasce l’attesa che re e pastore d’Israele sia JHWH stesso (cf Gr 22,1-4; Ez 34). Alla fin fine ci si rende conto che il regno verrà solo se JHWH stesso “pascolerà” il suo popolo.
Nonostante tutte le prove e persecuzioni Israele non mancherà mai di questa speranza (tuttora). Ne fanno testo tante preghiere salmiche in cui si celebra il trionfo di JHWH e l’instaurarsi del suo Regno:
“Il Signore è re, tremino i popoli…
Re potente che ami la giustizia” (Sl 99,1.4)
“Acclamate come vostro re il Signore…
Egli viene a giudicare la terra,
giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine” (Sl 98,6.9).
Equivalente sarà l’immagine della venuta finale del Signore, del giorno di JHWH, in cui egli farà definitivamente giustizia e porterà salvezza (cf Is,35,4; Gl 2,1; Gl 3,1-5; Sof 1,14).
Altra immagine equivalente sarà la riunificazione di tutti i popoli sotto l’unica signoria di Dio, ed essa avverrà sul monte santo di Sion (Alla fine dei gioni il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti, ad esso affluiranno tutte le genti… Is 66,19-21; Mic 4,1-7). [1]
NEL NUOVO TESTAMENTO
Nel II sec. A.C. si attesta una forte attesa del regno di Dio testimoniata dalla fioritura della letteratura apocalittica, tutta permeata dalla speranza della sua vicinanza.
Un avvento, ci dicono, che non sarà privo di drammaticità. Daniele 7 descrive la progressiva distruzione ed annientamento dei grandi imperi terreni. Non avverrà il passaggio dunque senza dolore: calamità, guerra, morti e pestilenze. Come se il mondo ripiombasse nel caos primigenio in attesa di una nuova creazione. Sono i dolori del parto, preludono alla nascita di una nuova vita.[2]
Gesù annuncia il regno, ovvero intende affermare che è giunta l’ora del suo avvento; le speranze stanno per essere realizzate.
Ma di che Regno parla di Gesù? Come lo intende?
Non si identifica con l’interpretazione politica e nazionalistica, ma d’altro lato non da adito ad una interpretazione puramente spirituale ed interiore che fa riferimento solo alla coscienza del singolo.
La sua parola pur non facendo politica risulta sovversiva nei confronti di tutte le strutture di peccato, mentre egli rifiuta di schierarsi dalla parte di chi lo vorrebbe attirare su di un campo politico (cf Gv 6,14s).
Gesù pone dei gesti concreti, visibili, dei segni direbbe Giovanni, che annunciano un ordine nuovo:
Lc 7,22 in rif. a Is 61,1-2
Tra tutte le immagini usate da Gesù per parlare del Regno, una gli è particolarmente cara: è la gioia del banchetto al quale tutti sono invitati iniziando proprio dagli ultimi, malati e peccatori (cf Lc 14,21).
Gesù userà anche le immagini del grano e la zizzania (Mt 13,24), del granello di senape ( Mt 13,31), del lievito (mt 13,33), del tesoro nascosto e la perla preziosa (Mt 13,44), della rete ricolma di pesci (mt 13,47).
Gesù talvolta afferma la presenza in atto del regno, altre volte lo annuncia prossimo. E’ importante questa sottolineatura che suggerisce il già e il non ancora del regno come inteso da Gesù nell’invocazione del Pater.
Con l’incarnazione infatti il Regno è già entrato in questo mondo, ma come un “granello di senape” (cf Mt 13,31s). E’ piccolo, insignificante, nascosto, ma possiede già in sé tutte le sue potenzialità future, è destinato a svilupparsi incredibilmente fino al suo compimento alla fine dei tempi.
Questo Regno in germe deve ora ancora lottare contro le forze di morte presenti nel mondo, che saranno definitivamente sconfitte alla fine quando la zizzania sarà raccolta e bruciata.
Quando il regno sarà completato? Dice Paolo: quando Cristo “consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto a nulla ogni potenza nemica… e aver posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte… e Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,24-28).
Dunque il regno è presente già sin d’ora, ma la sua piena manifestazione è nel futuro.
La Chiesa non è il Regno di Dio già attuato, essa è comunità di credenti chiamata a porre i segni del Regno lungo la storia, vocazione ad essere sacramento del regno in questo mondo (cf Mc 16,15-18).
VENGA IL TUO REGNO
Il discepolo di Gesù è invitato dalla preghiera del Pater ad invocare l’avvento del Regno.
Ed è questa una preghiera che ha sempre accompagnato la comunità cristiana che accanto all’invocazione del Pater, pregava dicendo: Marana thà. “E’ il grido dello Spirito e della Sposa: Vieni Signore Gesù” (CCC 2817). Venga il tuo Regno!
Queste invocazioni sottolineano il fatto che la venuta del regno è gratuita, è puro dono, indipendente dalla volontà dell’uomo. Esso si può ricevere, ereditare (cf Mc 10,17), accogliere (Mc 10,15); attendere (Lc 2,25).
Da parte nostra ci sarà dunque solo un’attesa passiva? Si tratta di stare a braccia conserte come in stazione attendendo il treno?
Pregando le parole “Venga il tuo Regno” siamo portati a chiedere di entrare nella volontà di Dio, nell’ottica del suo Regno, imparando a scorgere din d’ora, nella nostra storia, i suoi germi di presenza.
La preghiera, se è autentica, costringe ad aprire il nostro cuore all’accoglienza di questi germi del regno e a porre a nostra volta dei segni concreti della sua presenza. Se il regno è pace, giustizia, amore, verità e vita questo significa che cercherò sin d’ora di incastonare in questa storia così sbilenca, contraddittoria, segnata dal male e dalla morte gesti nuovi di giustizia, di verità, di vita, di amore. Sono questi doni che ci rimandano all’azione presente dello Spirito nella Chiesa e nel mondo. Non per nulla antiche traduzioni dicevano in luogo di “venga il tuo regno” le parole “Il tuo santo spirito venga su di noi e ci purifichi”. Lo Spirito è sempre più immediato inizio del regno che viene nella storia. (Massimo il Confessore -IV sec. – leggeva la sequenza Padre-Nome-regno come un movimento trinitario).
Si domanda una presenza maggiore della ricchezza di Cristo tra gli uomini, nella loro vita, nelle loro strutture, nel mondo in cui essi abitano (U.Vanni)
UN RE CROCIFISSO
La struttura delle fiabe rappresenta una drammatizzazione della vita, con le sue prove, le sue lotte, i suoi conflitti. Il fine è sempre lieto: “Vissero tutti felici e contenti”. I cattivi sono inesorabilmente castigati. Il bene trionfa sempre: è solo questione di tempo e di pazienza. I ruoli sono sempre ben definiti: i cattivi sono proprio cattivi, e i buoni unicamente buoni.
Per i bambini le fiabe sono importanti: svolgono il ruolo di iniziazione al mistero della vita e della morte.
Ma gli anni passano, i bambini non sono più tali, la fiaba della vita si sfalda a volte lentamente ma inesorabilmente. Ci si rende conto che non esistono bacchette magiche o talismani che risolvono i problemi. La vita si presenta carica di contraddittorietà: i ruoli sono sempre meno definiti, il bene spesso sembra non trionfare mai, tutto sembra avvolto da un velo che prennauncia un’inesorabile morte senza speranza.
La regalità di Cristo sulla croce si staglia sulla storia in tutta questa contraddittorietà e assurdità. Non vi è un lieto fine nella sua vita terrena: l’innocente è stato ucciso, in quel giorno “fu sparso sangue innocente” (Dan). Sono i “buoni”, gli osservanti della Torah che hanno ucciso Gesù. E la sua morte non è quella dell’eroe: nella sua umanità Gesù sente tutto il dramma, lo quarcio nella sua carne, del passo, della pasqua, che si appresta ad affrontare (“e il suo sudore cominciò a cadere a terra come gocce di sangue”).
Nel Vangelo di Giovanni troviamo una sezione dedicata al regno, ed essa è destinata alla Chiesa affinché non cada in nessun equivoco riguardo ad esso..
Siamo infatti proprio nel racconto della Passione. Dinanzi a Pilato Gesù non nasconde la sua regalità: “Io sono re”, ma afferma nel medesimo tempo l’essenziale diversità della sua regalità da quelle di questo mondo “Il mio regno non è di questo mondo” (cf Gv 18,36).
Egli sarà un re coronato di spine e rivestito del mantello regale di porpora. Inchiodato sulla croce come su un trono, e presentato al mondo intero (le tre lingue) come il “re dei giudei” (19,20).
Ed è qui che il vangelo proclama al mondo la regalità del Signore Gesù che dona la vita liberamente e per amore: “li amò sino alla fine” (13,1).
Dove sta la gloria, la “santificazione del Nome di Dio nella passione e morte del Figlio?
Gesù muore per il Regno che ha annunciato e che non vede. Come Abramo che morì con la promessa di Dio di una terra e di una numerosa discendenza: ma muore possedendo solo una tomba, e un figlio.
E’ sicuramente un re che si muove su di una linea opposto ai re di questo mondo (cf la lavanda dei piedi: Gv 13,18-36).
Egli ha posto i germi del regno nella storia, ha posto anzitutto se stesso. Come Risorto egli continua la sua presenza in mezzo a noi e attraverso noi. I segni del regno dunque ci sono, ma sta a noi il saperli riconoscere. Spetta ancora a noi collaborare affinché essi siano posti lungo i solchi della storia, nella certa speranza che al di là di ogni pretesa immediata di riuscita e realizzazione.
Cero questi segni rimarranno poveri, deboli, spesso perseguitati. Ma qui risulta fondamentale la fede nella fedeltà del Padre che non verrà meno alla promessa di cieli e terra nuova.
Così la Chiesa e il cristiano imparano ad attendere fiduciosi la venuta del regno del Padre.
Non lo vogliamo però identificare subito e solo con il “paradiso”, perché allora si domnaderebbe come san Paolo di essere subito sciolti dai legacci di questo mondo. Anche se “in effetti si tratta principalmente della venuta finale del regno di Dio come il ritorno di Cristo” (CCC 2818).
Il regno è già qui, è dentro la storia. Ed è questa la “lieta notizia”: è giunto a voi il regno di Dio (Lc 11,20).
E’ necessario avere occhi di fede e di sapienza per riconoscerlo in mezzo alla zizzania; occorre disponibilità per apreire il cuore alla sua venuta già sin d’ora pregustandone il suo sapore.
Sapienza per imparare ad accoglierne con fiducia i ritmi, i tempi, le modalità così spesso diversi dai nostri (cf Mt 13,47-50 il grano e la zizzania).
Nessuno lo possiede o lo possederà in pienezza. Nessuno può dire “eccolo qui o eccolo là”. Esso è un tesoro nascosto (cf Mt 13,44), rivelato ai piccoli (“Ti benedico o Padre….”).
Per ora il regno è lievito, è sale, è luce (cf Mt 13,33; 5,13-14).
L’umile e fiduciosa attesa del dono ci aiuta ad evitare ogni forma di fanatismo che porterebbe ad identificare in modo ottuso e meschino noi stessi, i nostri progetti e realizzazioni con il Regno stesso di Dio, rischio che la Chiesa in certe epoca ha più di una volta vissuto.
“Che il regno non sia di questo mondo ci libera così dalle utopie totalitarie (da cui la cristianità non si è sempre preservata). Ma che esso affiori già nella pace, nella bellezza, nella tenerezza della liturgia e della contemplazione, ci libera dalle delusioni e dalle amarezze che ci rendono cinici e crudeli” (O. Clement, Anacronache).
SCHEDA DI LAVORO
1. Il regno di Dio è come un granellino di senape… è come un seme che un uomo getta nella terra…
Possiedo questa fede nella presenza operante del regno?
Riesco a vederne i segni di presenza e di crescita in me e attorno a me? Provo ad elencarne alcuni.
2. Il regno è come il lievito….
C’è in me questo lievito? Esso fermenta il mio modo di vivere?
Se questo non avviene: perché, quali ne sono i motivi? Cosa potrei fare?
Mi sento attirato e impregnato da altri titpi di lievito?
3. Il Signore è re in eterno, per sempre…
La signoria di Dio nella mia vita: la riconosco? Come si concretizza la mia sottomissione ad essa?
Senti che la tua vita è affidata a lui in tutta sicurezza?
4. Annunzierò le tue meraviglie o Signore…
Il regno è testimoniato dalla tua vita. Esso si manifesta tramite le tue azioni, il saper porre cioè germi del regno lungo i solchi della tua storia che è quella di tutta l’umanità.
So collocare questi semi del regno?
Se si in che modo?
Se no: perché? Cosa potrei fare affinché questo si concretizzi?
[1]Prendiamo nota che la forte critica che l’ebraismo rivolge al cristianesimo sta proprio in questo. Come potete dire che è giunto il Messia quanto le profezie legate alla sua venuta prevedono l’instaurarsi definitivo del Regno di Dio? (Cf Is 11,6-9; 2,4; Ez 36,25-35) Nulla è cambiato nel mondo. Permangono violenze, ingiustizie, soprusi, malattie morte. Cosa rispondereste?
[2]Interessante notare come si presenteranno due correnti di riflessione teologica all’interno del giudaismo. Una prima penserà che il regno consista in una restaurazione della dinastia davidica. Anche all’interno del NT alcuni discepoli si presentano con quest’attesa (cf Mc 10,37). Una seconda, più spiritualista, penserà il regno di Dio come un ordine radicalmente nuovo, non solo annientamento dei nemici di Israele ma addirittura dello stesso male.
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attilio @
13:52