IL VOLTO MEGALITICO DI BORZONE

Pietro Gaietto

 

Il volto di Borzone (immagine invernale)

 

Sui monti nell’entroterra della Liguria orientale vi è la più grande scultura rupestre paleolitica d’Europa, e probabilmente la più grande del mondo. Questa grande scultura è conosciuta come il “Volto megalitico di Borzone”, e raffigura appunto un volto umano, che misura circa 7 metri di altezza e 4 metri di larghezza.Si trova a Borzonasca (Provincia di Genova, Italia), poco più in alto della Frazione Borzone, in un posto detto Rocche di Borzone, che è in cima ai monti. Il fascino che emana quest’opera è molto forte, e l’interesse che suscita è in continuo aumento. Attualmente i siti che lo segnalano (da me trovati) sono cinque :

Il sito del”Parco naturale regionale dell’Aveto”, che dice testualmente : “Il territorio del Parco è stato frequentato dall’uomo fin dalla preistoria. Le tracce che vi ha lasciato sono numerose: a partire dal cosiddetto “Volto di Cristo”, enigmatica figura scolpita nella roccia sulla Rocca di Borzone”.

Il sito “Turismo Itinerari autostradali insoliti per non vedere sempre le solite cose”, che dice testualmente: ” Liguria A 12 Genova-Livorno Uscita Lavagna, poi verso Carasco, Borgonovo e Borzonasca. Si prende per il Passo delle Rocche per una ventina di km in tutto. All’abbazia di Borzone (…) si prosegue in località Rocche. Qui, si trova un monumento singolare scolpito nella roccia : un volto umano di sette metri per quattro, incorniciato da capelli e da una sorta di copricapo. Non si sa con certezza a quale epoca risalga”. Viene poi ricordato che anche sugli stipiti delle porte nelle abitazioni vicine all’abbazia si vedono delle teste in pietra:”Si pensa si tratti della somma di costumi di epoche diverse, un misto tra il culto romano dei Lari e l’uso celtico di mozzare le teste dei nemici vinti per adornarne, anche a scopo scaramantico, le porte delle case. L’uso di queste teste litiche è riscontrabile anche in altre vecchie abitazioni sparse per il Piemonte e la Liguria”. Aggiungo che la raffigurazione di teste di uomini e di animali, anche bifronti, è presente in capitelli litici della stessa epoca, nelle chiese di tutta l’Europa, e che questo tipo di raffigurazioni ha radici nella più antica preistoria.
3) il sito “Genovagando, agosto 1995”, che dice testualmente : Valle Stura : “Il sentiero dei Monaci” da Borzonasca all’Abbazia di Borzone, al Volto megalitico e a Zolezzi”.
4) Il sito, Notiziario Turismo Liguria (ANSA) del 20/6/2000 Itinerari/ Nel Parco dell’Aveto tra i relitti glaciali, che dice testualmente : “Il parco e tutte le vallate della zona sono ricche anche di testimonianze della presenza dell’uomo, di cui sono state trovate le tracce risalenti alla preistoria. Tra i segni più recenti c’è il cosidetto “Volto di Cristo”, una enigmatica figura scolpita nella roccia sulla Rocca di Borzone”.
5) Il sito del Museo delle Origini dell’Uomo, (il cui direttore è lo scrivente) è l’unico sito che pubblica anche delle fotografie del Volto megalitico di Borzone e della zona. Il Volto megalitico di Borzone si trova in mezzo ad un bosco di piante che crescono velocemente. Nel mese di giugno il Sindaco di Borzonasca Sig. Giuseppino Maschio ha fatto eseguire una pulizia sostanziosa del luogo (cioè taglio di arbusti e alberi) in modo che si possa vedere bene la grande scultura, e riposizionare il cartello segnaletico già messo in opera alcuni anni orsono e che ignoti vandali avevano abbattuto.

STORIA DELLA SCOPERTA E LEGGENDA

“La grande effigie umana delle Rocche di Borzone è stata scoperta nel gennaio del 1965 dal Sig.Armando Giuliani, assessore del Comune di Borzonasca, durante il sopraluogo per la costruzione della strada. La notizia veniva pubblicata dal quotidiano genovese il Corriere Mercantile il 1° febbraio 1965 ad opera del Sig. Luigi Solari. Egli riferiva che a Borzone gli abitanti pensavano che il colossale volto fosse opera dei frati che vivevano nel monastero annesso alla vicina abbazia.

Infatti, il gigantesco volto venne subito interpretato come l’effigie di Cristo. Cioè, sarebbe stato conseguenza di un “voto” dei monaci per la sopraggiunta cristianizzazione di tutte quelle località della zona che dipendevano da Borzone. La leggenda vuole che, una volta all’anno, gli abitanti della valle si radunassero davanti alla grande scultura per ringraziare la Divinità. Quando i frati si allontanarono dal monastero, anche questa tradizione dei valligiani decadde, e la gigantesca scultura venne inghiottita dalla vegetazione e dimenticata”. (da “Favola itinerante dell’uomo dell’Età della pietra in Liguria”, P.Gaietto,Genova 1976).
Io amo le leggende, come amavo le favole quando ero bambino.
Nelle leggende, infatti, ci sono spesso verità e spunti per fare ricerca.
In questo caso, però, sono disorientato, e sarò grato a chi saprà darmi una spiegazione : come è possibile che esista una leggenda così dettagliata, quando “la gigantesca scultura venne inghiottita dalla vegetazione e dimenticata” da alcuni secoli ! Tanto più che è una leggenda storicamente attendibile.

L’INTERPRETAZIONE SCIENTIFICA

Nel 1975, io e alcuni amici archeologi, venimmo a conoscenza della scoperta del Volto megalitico di Borzone, che dalla fonte di allora veniva definito “Grande effigie di Cristo”, poi siamo risaliti all’articolo sul Corriere Mercantile del 1965 con più dettagli.
La nostra interpretazione è stata immediata, e cioè, un passaggio di attribuzione dai tempi storici (cioè dall’opera dei Monaci) ai tempi preistorici (che allora a molti sembrava un azzardo); infatti quando ci siamo recati sul posto si è visto subito che non poteva essere un’opera recente, cioè di alcuni secoli fa.
Entrando nel merito dell’interpretazione scientifica faccio anche brevi accenni a quest’opera nell’attuale contesto culturale :

Sono 35 anni che tutte le persone che si sono interessate del Volto megalitico di Borzone vi hanno visto un volto umano, e hanno ritenuto l’opera di fattura umana, anche se, non essendo specialisti, non hanno potuto dargli un’attribuzione culturale (cioè datarlo), ma di recente la maggior parte degli osservatori lo ha considerato preistorico. E, non può che essere preistorico, in quanto in Europa, in tempi storici, le tecniche di lavorazione della scultura erano molto più evolute, e con differenti soggetti di culto.
2) La posizione della scienza ufficiale, (è quella che nei congressi internazionali trova la maggior parte degli studiosi consenzienti) non si è ancora pronunciata sulla scultura rupestre del Paleolitico, in quanto non vi sono studiosi che l’hanno proposta. Per questo motivo la scultura rupestre paleolitica è assente nei libri di storia dell’arte preistorica con diffusione scolastica.

I megaliti più noti sono i menhir e i dolmen, e sono grandi pietre erette e piantate nel terreno. Alcuni menhir (Carnac, Francia) sono enormi. Alcuni di questi sono antropomorfi come il Volto megalitico di Borzone. I menhir, salvo rarissimi casi, sono sbozzati, cioè scolpiti per dare una forma armoniosa, oppure sono antropomorfi o zoomorfi. Nei tre casi è arte applicata al monumento che aveva fini di culto.
I menhir e i dolmen, nell’Europa occidentale, sono generalmente datati dal III° al II° millennio a.C. I menhir di questo periodo sono generalmente grandi pietre sbozzate e allungate con forma armoniosa. I menhir antropomorfi, invece, sono più antichi, e alcuni sono paleolitici, cioè con oltre 12.000 anni, e questa è l’opinione degli archeologi che seguono il metodo antropomorfico.
La tecnica di lavorazione dei menhir è la stessa usata per la scultura rupestre paleolitica, come il Volto megalitico di Borzone.

I menhir antropomorfi e la scultura rupestre antropomorfa hanno gli stessi soggetti di culto che si identificano con gli uomini che li hanno prodotti e che si sono susseguiti nel tempo : Homo sapiens arcaici, Neanderthaliani, Homo sapiens sapiens. In sostanza, nelle zone dove c’erano le rupi, si scolpivano le rupi, dove non c’erano, l’uomo doveva faticare di più, dovendo estrarre i massi dal terreno, oppure trasportarli nei luoghi di culto, ma il risultato finale era uguale.

Il Volto megalitico di Borzone è attribuito al Paleolitico superiore (da circa 20.000 a 12.000 anni fa), così come sono attribuiti a questa fase culturale molti grandi menhir antropomorfi di Carnac.

Nel Paleolitico superiore in Europa troviamo civiltà molto diverse da zona a zona, ma le due più importanti sono quella degli scultori della pietra con soggetti di culto antropomorfi che non conoscevano la pittura, e quella dei pittori con soggetti zoomorfi, che dipingevano nelle grotte (Francia, Spagna, ecc.) e non scolpivano la pietra.
I discendenti dei popoli con scultura hanno fondato le città, inventato l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la fusione dei metalli, ecc. I discendenti dei popoli con pittura si sono dispersi per il mondo vivendo di sola caccia e degenerando : Boscimani in Africa, Aborigeni australiani, ecc.

La civiltà degli scultori aveva utensili litici più belli di quanto non fossero quelli della civiltà dei pittori. Comunque, la funzione era uguale ai fini dell’uso quotidiano.
Dire che la pittura sia migliore della scultura è un errore, comunque i colori dei dipinti e le immagini, all’osservatore di oggi, in genere piacciono di più.
In comune queste due civiltà avevano la dimensione delle opere, infatti, nelle grandi grotte di Francia e Spagna, ci sono dipinti di mammiferi delle dimensioni del Volto megalitico di Borzone.
(Le misure del Volto di Borzone, metri 7 x 4, si intendono per il solo volto, le altre parti che la incorniciano , “capelli e una sorta di copricapo”, aumentano la misurazione).

Per interpretare il significato della scultura antropomorfa paleolitica è necessario fare parallelismi storici ed etnografici con civiltà che hanno avuto o hanno ancora scultura antropomorfa.
Allora ci si rende conto che il Volto megalitico di Borzone era quasi certamente un dio. Cosa che al contrario non si può fare con i dipinti zoomorfi paleolitici trovati nelle grotte, in quanto i parallelismi non sono storici, ma protostorici con le popolazioni estinte del Sahara, ed etnografici con i Boscimani del Sud Africa, o gli Aborigeni australiani, dove le raffigurazioni zoomorfe sono legate a “spiriti”, e non a un dio.
il Volto megalitico di Borzone viene considerato “incorniciato da capelli e con una sorta di copricapo”. E’ un’osservazione giusta e interessante. Nelle piccole sculture antropomorfe dell’Aurignaziano (Paleolitico superiore) che ora si ritengono in gran parte opera di Homo sapiens neanderthalensis vi è quasi sempre un copricapo appuntito (Venere di Savignano, ecc.) oppure una capigliatura bene acconciata (Venere di Willendorf,ecc.). Questi stessi tipi di pettinatura si riscontrano nell’etnografia (Africa) con impasti di materiali vari. E, sempre in queste veneri, dove vengono privilegiate le pettinature o i copricapi appuntiti, poi viene trascurata la raffigurazione del volto, delle mani e dei piedi.
Comunque, per l’indagine scientifica, non è sufficiente un solo caso come il Volto megalitico di Borzone per asserire che si tratta di capelli e di copricapo, ma occorre qualche altra scultura rupestre ( o anche mobiliare) della stessa tipologia, tanto più che il volto è chiaramente scolpito, mentre capelli e copricapo, lo sembrano, ma non è certo che lo siano

Nella fotografia, la macchia chiara che si vede a sinistra del volto è un buco stretto e alto da cui è filtrata la luce dal retro. Questo può indicare una lavorazione di contorno della scultura, e avvalorare l’ipotesi dei capelli che incorniciano il volto.
Nulla sappiamo del retro del Volto megalitico di Borzone. Potrebbe esserci un’altra immagine. Come altre sculture antropomorfe paleolitiche potrebbe essere bifronte. Il bifrontismo è frequente nel Paleolitico. Una volta volevo visitare il retro della scultura, ne sono stato impedito dalla ripidità della montagna, dalla fitta vegetazione, e soprattutto, da un improvviso temporale. La mia curiosità è aumentata.

La fotografia non rende i rilievi del Volto megalitico di Borzone, ma chi si recherà a visitarlo potrà notare che alcune parti sono in rilievo, e altre sono in negativo, cioè al contrario del naturale, ma l’effetto della raffigurazione resta uguale, come se l’immagine fosse tutta in rilievo o tutta in negativo. Qui troviamo due tradizioni culturali, la plastica in rilievo tipicamente europea, e la plastica in negativo tipica di certa scultura dell’Asia Estremo Orientale dei tempi protostorici, e storici per le arti applicate e popolari.
12) Il tipo umano più attendibile di questo volto è Homo sapiens sapiens. Questo si desume dalla fronte alta, dal mento appuntito e dalla faccia relativamente stretta. E’ stato stabilito di recente che in questa fase era ancora presente Homo sapiens neanderthalensis, il quale conviveva con Homo sapiens sapiens, a cui era accomunato culturalmente, anche per la produzione di sculture antropomorfe, e quindi con simili pratiche spirituali e religiose.
Recentemente in Portogallo sono stati trovati i resti di un bambino che accomuna i due tipi umani.
Come è noto Homo sapiens sapiens comprende tutta l’umanità di oggi.
Nella scultura rupestre e nei menhir del Paleolitico le raffigurazioni di Neanderthaliani sono frequenti (e precedenti), mentre quelle di Homo sapiens sapiens sono rare. E’ possibile, quindi, che il Volto megalitico di Borzone sia una delle opere più recenti del Paleolitico.
13) Nella scultura litica antropomorfa del Paleolitico le raffigurazioni frontali della faccia sono rare, le raffigurazioni della testa a tutto tondo sono rarissime. Le sculture antropomorfe, nella quasi totalità, sono semifrontali o laterali, e da queste è più facile desumere l’evoluzione dell’uomo, e quindi datare le sculture del Paleolitico, facendo riferimento ai reperti di crani trovati nel mondo, e di cui è stata possibile una datazione con attrezzature con non sono applicabili alla scultura litica.
Il Volto megalitico di Borzone è l’unica scultura rupestre che io conosco con raffigurazione frontale della faccia.
14) Chi volesse intraprendere una ricerca sulle divinità protostoriche e storiche dell’Europa (Celti, Celto-Liguri, Traci, ecc.) sia nelle sculture che nelle ceramiche, dove ci sono raffigurazioni bifronti e trifronti, troverà il dio imberbe o il dio barbuto, anche se i soggetti barbuti sono un poco più frequenti.
Nella scultura litica paleolitica i soggetti barbuti sono rari, e la quasi totalità non ha barba. Comunque, nella scultura del Paleolitico ci sono parti della testa che non vengono raffigurate : nelle teste umane sono le orecchie, nelle teste di mammiferi le orecchie e le corna.
Il Volto megalitico di Borzone non ha la barba. Quindi non possiamo dare per scontato che sia un uomo, potrebbe essere il volto di una donna.
15) Il matriarcato si riscontra oggi nel mondo in alcune delle culture più primitive. La donna ha gli stessi privilegi e doveri dell’uomo dove vige il patriarcato. In certe zone la donna ha più mariti. Gli stadi più primitivi di queste culture hanno una rozza agricoltura simile a quella del Neolitico (Nuova Età della Pietra) europeo.
Nulla sappiamo del matriarcato nel Paleolitico (Antica Età della Pietra), ma è possibile che da qualche parte ci sia stato, se ancor oggi soppravvive.
Se il Volto megalitico di Borzone è stato opera di gente di una società matriarcale; se raffigura il volto di una donna, potrebbe rappresentare un dio femminile, cioè una dea.
CONCLUDO dicendo che la ricerca scientifica della preistoria, necessita anche di ipotesi e più ce ne sono meglio è; un po’come accade nella ricerca dei detectives,in cui si assommano molti indizi, finchè non scoprono il colpevole.
Nella ricerca delle origini dell’arte nel Paleolitico è sempre necessario cercare di capire chi era l’uomo che ha prodotto un certo tipo di arte, e perchè lo ha fatto. Un’analisi basata sui soli valori estetici non giova alla comprensione. Utilissimo è lo scambio di opinioni. Quindi, sono a disposizione dei lettori per eventuali ulteriori spiegazioni, e anche in attesa delle loro opinioni. Tra queste opinioni : CONSIDERANO il Volto megalitico di Borzone IL VOLTO DI UN UOMO O IL VOLTO DI UNA DONNA ?

IL VOLTO MEGALITICO DI BORZONE

DI Francesca Vulpani

Racchiusa tra profonde valli, a circa sei km da Borzonasca, si cela tra i boschi che circondano le Rocche di Borzone una delle opere più imponenti ed enigmatiche della Liguria. E’ il Volto Megalitico di Borzone, un’antichissima e imponente scultura rupestre, che misura circa sette metri di altezza e quattro di larghezza.

Il volto, che si scorge volgendo lo sguardo a monte lungo la strada comunale che porta alla Frazione di Zolezzi, fu scoperto durante un sopralluogo del Comune di Borzonasca per la costruzione della strada carrozzabile nel 1965.
L’eccezionale ritrovamento fu riportato sui quotidiani locali, tra cui il Corriere Mercantile, che uscì con un articolo in merito il primo febbraio di quell’anno.
La scultura è stata interpretata in un primo momento come l’effigie di Cristo. Secondo questa teoria si tratterebbe di un voto dei monaci Benedettini della vicina abbazia di Sant’Andrea per la avvenuta cristianizzazione della vallata, il che collocherebbe la realizzazione del Volto nel Medioevo. A suffragio di quest’ipotesi c’è una leggenda secondo la quale, una volta all’anno, gli abitanti della valle usavano radunarsi al cospetto della scultura per venerare e ringraziare il Signore. Stando sempre alla leggenda, quando i frati si allontanarono dal monastero anche la tradizione decadde e il Volto fu dimenticato.
Attualmente le ipotesi sulla sua creazione sono ancora controverse, ma si tende a far risalire la scultura a un tempo molto più antico, in particolare al Paleolitico superiore, che data l’incisione rupestre tra il 20.000 e il 12.000 a.C. C’è incertezza anche su alcuni particolari della raffigurazione; per esempio ci si chiede se, come appare, il volto sia incorniciato da capelli e una sorta di copricapo, e se sia un uomo o una donna. Se infatti il Volto risalisse al Paleolitico, si tratterebbe molto probabilmente di una divinità, che potrebbe essere tanto maschile quanto femminile, se fosse stato opera di una società matriarcale. Uno studioso ha ipotizzato inoltre che il retro della scultura, coperto dalla fitta vegetazione, potrebbe celare un’altra immagine, dato che il bifrontismo è frequente nelle sculture antropomorfe del Paleolitico.
In attesa che il Volto venga studiato a fondo da esperti, resta il mistero ad avvolgere la realizzazione e il significato della scultura, che sembra vigilare dall’alto sulla vallata del Penna e sulle antiche vie di comunicazione che collegavano il Tigullio alla Pianura Padana.

Il Volto Megalitico di Borzone

di Jonathan Ferroni


Una delle opere più importanti ed enigmatiche della storia ligure si trova a Borzone, comune di Borzonasca, nell’alta Valle Sturla. Il borgo, raccolto intorno ad un’abbazia del X secolo intitolata a S. Andrea, è poco più che un pugno di case. La strada, malagevole e stretta, si snoda per gli ameni dintorni tra boschi, torrenti e speroni di roccia. Ed è proprio una di quelle aspre rocce che ospita un grande tesoro della preistoria ligure. Si tratta di una colossale effige, scolpita nella dura pietra, che raffigura evidentemente i tratti di un volto umano. L’opera, alta più di sette metri e larga circa quattro, si staglia sopra la strada che collega con Borzone lo sperduto borgo di Zolezzi. L’effige, infatti, fu scoperta nel 1965 da un assessore della provincia di Genova, il quale si trovava in loco proprio per effettuare un sopralluogo della strada, allora in fase di costruzione. Il gigantesco volto presenta sicuramente i tratti fondamentali del viso umano: occhi, naso, mento, una sorta di busto e qualcosa sul lato destro che alcuni dicono essere capelli ma che, a mio parere, vuole rappresentare un orecchio. Dopo la “scoperta” del colosso, si venne a sapere che gli indigeni lo conoscevano già e che ci vedevano il volto di Cristo, la cui costruzione era attribuita ai monaci che un tempo abitavano l’abbazia di S. Andrea, in funzione di ex voto. A tutt’oggi, la scarsa segnaletica locale lo indica come “Volto di Cristo megalitico”. Tuttavia, visitando il sito, si comprende come quest’ipotesi sia infondata, sia per la posizione e per l’orientamento, sia per la tipologia di lavorazione dell’opera. La lavorazione è, infatti, molto primitiva e i tratti somatici sono resi solo rozzamente, scevri di particolari o caratteri individualizzanti. Anche la posizione del volto, non visibile da Borzone o dall’Abbazia e posizionato “di spalle” a entrambi, non fa certo pensare ad una pia opera di monaci. La conservazione del manufatto, infine, lascia pensare che esso sia veramente molto più antico di quanto la memoria orale cristianizzata ricordi. Alcuni studiosi, infatti, lo avrebbero datato al Paleolitico Superiore (20000 – 12000 a.C.), trovando una compatibilità con le tecniche di lavorazione di quell’epoca. L’ipotesi, assai affascinante, si sta facendo largo, pian piano, tra quei pochi che si sono interessati al Volto. Si tratta sicuramente di un’ipotesi fondata anche se, per ora, indimostrabile poiché, come al solito, l’archeologia ufficiale non si è minimamente interessata a condurre ricerche in questo senso. Un’opera di questo calibro trova al mondo soltanto due simili, uno in sicilia, a Petralia Sottana, dove sono state identificate titaniche sculture su pareti di roccia viva e l’altro agli antipodi, in Nuova Zelanda, chiamato Colosso di Whangape. Il Volto di Borzone è stato ricavato in uno sperone di roccia, sul lato nord, tramite l’asportazione di materiale. Il naso, il mento e l’orecchio, infatti, sono stati rappresentati in rilievo, eliminando il materiale intorno. Stessa cosa vale per l’occhio destro, mentre il sinistro appare in negativo, cioè concavo; l’effige appare priva di bocca. Sotto al mento si nota, invece, una prosecuzione della lavorazione, forse per rappresentare una sorta di busto o petto che, comunque, apparirebbe molto sproporzionato rispetto alla testa. Di fianco al mento, sulla sinistra, potrebbe esserci un altro nucleo iconico scolpito, che appare in rilievo, anche se è difficile comprendere cosa rappresenti e di che natura sia. Anche in basso, poco sotto il “busto”, potrebbe esserci una parte lavorata dall’uomo, che spicca per la sua convessità ma, anche in questo caso, è arduo ipotizzare un’interpretazione. Sulla sinistra dell’opera, invece, è possibile osservare un ampio distacco del blocco roccioso su cui essa è scolpita, rispetto alla roccia madre. Questo fenomeno ha dato origine ad una fessura che si collega con il retro, attraverso cui filtra la luce, che alcuni hanno interpretato come un tentativo di tridimensionalità o, almeno, di prosecuzione della scultura. Personalmente, non sono d’accordo con questa ipotesi in quanto il fenomeno appare del tutto naturale e, inoltre, la situazione geologica potrebbe essere stata ben diversa nel Paleolitico. Direi che si potrebbe dividere l’opera in diverse parti: 1. La linea del volto, che definisce il mento e arriva fino alle tempie, disperdendosi poi nella roccia grezza sopra gli occhi, delineando una ampia fronte 2. Gli occhi, di cui il sinistro in negativo e il destro in rilievo 3. Il naso e la linea delle sopracciglia 4. L’orecchio 5. Il “busto” o comunque la lavorazione sottostante il mento 6. La scolpitura alla sinistra del mento, di dubbia natura 7. La scolpitura sotto al “busto”, anch’essa di dubbia natura Si noti, inoltre, che il Volto è segnato da due vistose scanalature orizzontali, forse di origine erosiva, poste a sinistra del naso. L’azione erosiva frontale è evidente e, forse, potrebbe aver cancellato una lavorazione della bocca, originariamente esistente. È assai arduo dare una interpretazione all’effige, affermare se si tratti di un volto maschile o femminile. I tratti sono essenziali, manca qualsiasi segno di espressività e caratterizzazione. È stato supposto, come sempre, che si tratti del volto di una divinità, anche se tale ipotesi è del tutto opinabile. Potrebbe trattarsi di un volto apotropaico, come i tanti – di più ridotte dimensioni – che si possono osservare in molti borghi della Liguria. Potrebbe essere legato a funzioni funerarie, potrebbe essere molte altre cose. I termini di paragone mancano del tutto e gli studi sono ancora agli albori. In ogni caso, credo non sia illogico affermare che, verosimilmente, il Volto doveva essere visibile dal luogo di insediamento dei suoi creatori e forse il suo sguardo doveva vegliare proprio sulla comunità. Se questo è vero, allora l’accampamento paleolitico a cui appartenevano i creatori del Volto doveva trovarsi dove oggi si trovano gli abitati di Perlezzi e Sopralacroce. In ogni caso, la zona è ricca di grotte ed anfratti naturali ancora inesplorati che, forse, custodiscono tracce preziose del passato. Attualmente, il Volto è sconosciuto alla maggior parte delle persone. Ciò è dovuto all’assoluta mancanza di interesse da parte delle istituzioni locali a pubblicizzarne l’esistenza. A monte di questo, credo ci sia una mancanza di coscienza del patrimonio nostrano che, in questo modo, non viene riconosciuto e, quindi, valorizzato. Cosa piuttosto triste se pensiamo che il Volto Megalitico di Borzone è la più grande scultura rupestre d’Europa e, forse, del Mondo.

MISTERI DI LIGURIA IL VOLTO

MEGALITICO DI BORZONE

di

Francesco Moggia


l territorio di Borzone, in Alta Valle Sturla, noto quasi unicamente per la bella abbazia, nasconde però, proprio nelle vicinanze di questo monumento, una delle opere più importanti ed enigmatiche dell’intera archeologia ligure: il Volto Megalitico o Volto Sacro di Borzone. Per arrivare nei  pressi di questo straordinario manufatto, risalente, secondo alcuni, a oltre 10.000 anni fa, occorre imboccare una stradina stretta in direzione Rocche di Borzone, che si snoda fra boschi, rocce e torrenti. Ed è proprio dietro una delle aspre rocce che si innalzano lungo il sentiero che si può ammirare questo grande tesoro della preistoria ligure giunto fino a noi direttamente dal passato.

VOLTO DI CRISTO?

Questa affascinante scultura rupestre (alta ben 7 metri) di cui poco, attualmente, si conosce, colpisce subito per il fascino (ed il mistero) che sembra emanare. Il gigantesco volto (scoperto quasi per caso nel 1965 durante un sopralluogo per costruzione di una strada) presenta sicuramente tratti fondamentali del viso umano: occhi, naso, mento, ed una sorta di busto, tanto che la tradizione popolare lo identificava con il volto di Cristo (da qui il nome di Volto Sacro). Era infatti opinione comune, fra le genti del luogo, che la scultura fosse un’opera votiva dei monaci di Borzone che vivevano nel vicino monastero e che per secoli hanno esercitato il loro influsso su queste valli. “Visitando il sito – spiega però Jonathan Ferroni, abitante del luogo e fondatore del Centro Studi e Scoperta della Civiltà Ligure – si comprende come quest’ipotesi sia infondata, sia per la posizione e per l’orientamento, sia per la tipologia di lavorazione dell’opera. La lavorazione è infatti molto primitiva e i tratti somatici sono resi solo rozzamente. Anche la posizione del volto, non visibile da Borzone o dall’Abbazia e posizionato “di spalle” a entrambi, non fa certo pensare ad una pia opera di monaci”. Il mistero sulle origini di questo megalito rimane dunque aperto (per alcuni è solo frutto dell’erosione naturale della roccia) ed affonda le sue radici in un lontano passato fatte di credenze ancestrali e riti religiosi delle popolazioni residenti.

… O DEL DIO PEN DA CUI PRENDE NOME IL MONTE PENNA?

 Una possibile spiegazione, infatti, potrebbe essere legata al culto di antiche divinità venerate oltre 2000 anni fa dai Liguri Ambrones, (che si opposero strenuamente ai Romani) fra cui il Dio Pen, dio delle cime (da cui il nome del vicino Monte Penna), di cui il volto ne sarebbe la raffigurazione antropomorfa, collocato in quel punto preciso della valle perché custodisse e proteggesse l’intera comunità presente. Alcuni ipotizzano invece che la scultura fosse collegata a funzioni funerarie antichissime. “Dal punto di vista archeologico,attualmente – sostiene a questo proposito Ferroni – non è possibile dare informazioni certe poiché non esistono ancora indagini scientifiche ufficiali sul reperto, ed anzi, la Sopraintendenza Ligure, ad oggi, non riconosce il Volto come opera umana. Per ora solo studiosi amatoriali si sono interessati alla scultura megalitica e sono state fatte alcune ipotesi più o meno fantasiose, anche se, a mio parere, è più verosimile una datazione proprio all’Eneolitico (3500 – 2000 anni fa).”

 UN “GEMELLO” IN NUOVA ZELANDA

Sta di fatto che, in mancanza di studi precisi (soprattutto a livello di datazione delle rocce) rimane il mistero di una scultura rupestre assai originale, capace di suscitare stupore e meraviglia e che, occorre dirlo, ha pochissimi eguali (per dimensioni) in Europa. Per la cronaca, un’opera simile esiste solo agli antipodi, in Nuova Zelanda (colosso di Whangape), dove si trova una quasi identica scultura rupestre datata al Paleolitico.

NE HA PARLATO IL PROGRAMMA “VOYEGER”

 Lo scorso inverno, dell’enigmatico megalite, si è interessata la popolare trasmissione televisiva di Rai 2 “Voyager” che le ha dedicato un servizio ed ha riacceso il dibattito intorno a quest’opera. “È assai arduo dare una interpretazione all’effige, affermare cioè se si tratti di un volto maschile o femminile poiché i tratti sono essenziali e manca qualsiasi segno di espressività e caratterizzazione”. spiega infine Ferroni, lanciando poi un appello. l’appello agli studiosi “La speranza è quella di attirare l’attenzione di un qualche archeologo professionista che, senza pregiudizi, tenti un approccio di studio ravvicinato e possa contribuire a svelare un affascinante enigma del nostro passato.”

Il centro di studio ligure

Il Libero Centro di Studio e Scoperta della Civiltà Ligure (LCSSCL), fondato da Ferroni, si occupa dello studio e della diffusione della storia e preistoria ligure e si propone di recuperare proprio quegli aspetti legati all’identità culturale ligure ce caratterizzano le nostre terre. info@lcsscl.it

“Sculture” di roccia sopra la Croce, scoperto un terzo volto:
il mistero s’infittisce

Duilio Citi – luglio 2015

Borzonasca – Alla fine di gennaio del 1965 mentre cercava il tracciato di una nuova strada che avrebbe dovuto congiungere Borzone a Zolezzi, Armando Giuliani, assessore del comune di Borzonasca, fece una straordinaria scoperta: dietro alle piante che aveva fatto abbattere comparve quello che lui chiamò: “Testa del Cristo” come si legge nella didascalia della cartolina che riproduceva una foto da lui scattata.
Il 16 giugno 2015 questo giornale pubblicò un articolo di chi scrive che riferiva di avere sovrapposto un trasparente di quello che da anni chiamava la “sindone di pietra” ad un trasparente della Sindone di Torino e di essersi accorto che i due volti combaciavano perfettamente. Lunedì 13 luglio 2015, tre giorni fa, due fratelli di Canazei, Gabriele ed Enrico Bernard accompagnati dalla mamma Gaia e dal sottoscritto ad osservare la “sindone di pietra” , ad un certo momento hanno esclamato: «Duilio! Duilio! C’è un altro volto!» e mi mostrarono un ovale poco più in basso di quello già conosciuto, grande quanto quello, fatto soprattutto di roccia ma anche di erba, leggermente inclinato sulla sua destra.
Di roccia sono le orbite degli occhi, coperto totalmente di erba è il naso che appare, come quello dell’altro, spezzato prima delle narici, chiaramente di roccia la bocca che appare con il labbro inferiore decomposto nella sua parte più bassa; chiaramente di roccia anche le guance ed il mento, mentre la fronte si indovina molto bene sotto una coltre irregolare di erba e di arbusti.
Per la posizione inclinata verso la sua destra, per il naso spezzato prima delle narici e per aver visto, Gabriele ed Enrico che si sono arrampicati lassù, anche la traccia della corona di spine, potrebbe rappresentare il volto di Gesù morto sulla croce. Sarà forse il terzo volto di cui parla la tradizione orale in quel di Zolezzi? Del secondo Anna Maria Grassi, allora presidente della Pro Loco di Borzonasca, ne ha scorto le sembianze agli inizi del 2011 a ore otto dalla ‘sindone di pietra’ stando in piedi alla sommità della stessa.
E’ inutile dire che la scoperta è straordinaria perché questo volto è apparso soltanto dopo che gli uomini della Cooperativa Alta Val d’Aveto hanno ripulito dalla vegetazione il nove giugno scorso la zona di bosco antistante, ma, come spesso succede, è stato visto più di un mese dopo da occhi veggenti che solo i bambini e i ragazzini hanno.
Dal nove giugno chi scrive si è recato spesso, compreso il mercoledì 24 quando ha incontrato gli operatori di Sky oppure il 9 di luglio, “complemese” dalla rimessa in luce del Volto, quando Guido Chioino, che era con lui, gli fa notare che quello che si era da sempre interpretato come un baffo superstite non può essere tale perché i baffi non crescono di fianco al naso. Sarà forse quel segno che appare di fianco al naso sul Volto della Sindone di Torino?
Dopo sei visite, il 24 e il 26 giugno, il 4, 7, 9 e 12 luglio il sottoscritto non si è mai accorto di nulla; ci sono voluti gli occhi privi di pregiudizi di due ragazzini di Canazei abituati a camminare tra le rocce del Trentino perché questo secondo volto venisse individuato e proprio grazie a quegli occhi che l’hanno riconosciuto per primo, ora riesce a vederlo chiunque in un attimo.
L’autore è architetto e docente universitario

Grazie ad un Drone scopre il secondo volto della scultura rupestre di Borzone

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Video su YouTube:

https://www.youtube.com/watch?v=kllWv3kV1ls

http://www.youtube.com/watch?v=cTpBJNP8FHs

http://www.giacopiane.com/volto_megalitico_borzone.html