• 12 Ago

    Nel villaggio multiculturale

    Lectio di Atti 8,26-40

    di p. Attilio Franco Fabris

    Volti di colori diversi, lingue diverse, diverse culture e religioni: il mondo va trasformandosi in un piccolo villaggio multiculturale. Ci incrociamo frettolosamente mille volte sulle nostre strade, ciascuno verso la sua meta. Ciascuno portando nel cuore insieme attese e speranze insieme a delusioni e talvolta grossi pesi di sofferenza. Tanti “perché?”che invocano una risposta che non si sa da dove possa giungere, affollano la mente della persona che incontriamo sull’autobus, al supermercato, o sulla metropolitana.

    Ma l’indifferenza se non talvolta il sospetto, la diffidenza o addirittura la paura impongono tra noi e i “diversi”, i “lontani”, una distanza di sicurezza, un allontanamento: innalziamo steccati e muri per difenderci da un presunto pericolo che l’ “altro” sembra inevitabilmente rappresentare.

    O Spirito del Signore risorto tu sei al lavoro in questa onnipresente e sempre incipiente Babele, tu pervadi ogni cosa: vuoi abbattere ogni distanza e indifferenza, vincere ogni timore, disintegrare ogni muro innalzato dalla nostra angoscia. Con la croce di Cristo tu vuoi disintegrare ogni barriera: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo” (Ef 2,14). In te le differenze si trasformano in meravigliosa ricchezza e varietà di doni che vicendevolmente ci arricchiscono. Tu desideri farci incontrare perché “i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano, i popoli si incontrino della concordia” (Pregh. Eucarist. Riconc. II).

    Solo così ci trasformeremo in compagni di viaggio gli uni per gli altri. E  a tutti, noi discepoli di Gesù,  offriremo d’udire la sua Parola che salva, la sola capace di offrire vere risposte e aprire nuovi insperati orizzonti di cammino.

    Lectio

    Il vero protagonista si presenta subito nel testo: è lo Spirito del Signore, mediato dalla figura dell’ “angelo”. L’iniziativa dell’annuncio non appare come iniziativa dell’uomo ma dello Spirito del Signore stesso. Da parte dell’angelo vi è un preciso comando: “Alzati e va!” (v. 26).

    L’ubbidienza di Filippo è immediata, senza alcuna obiezione e resistenza. Quest’obbedienza è encomiabile perché umanamente il comando è ambiguo, appare come un controsenso: dirigersi infatti in una “strada deserta verso l’ora di mezzogiorno” significa rischiare di non incontrare nessuno perdendo il proprio tempo e spendendo inutilmente energie. Filippo parte e mentre il nostro è incamminato sotto il sole cocente di mezzogiorno “ecco…”: un senso di sorpresa e di attesa pervade improvvisamente il nostro racconto. Sta giungendo un carro sul quale c’è qualcuno che sta leggendo ad alta voce un rotolo di un libro.

    Il personaggio che Filippo incontra viene descritto con particolare minuziosità dall’autore degli Atti. Viene offerta all’ascoltatore una sua descrizione a vari livelli: etnico, religioso, sociale.

    In primo luogo viene detto che è un “etiope”: l’Etiopia è la nazione posta ai confini della terra abitata  e civilizzata, rappresenta “gli estremi confini della terra” (cfr 1Sam 2,10). Nei testi profetici è interessante notare come l’Etiopia sia nominata tra i popoli che Dio vuole condurre a Gerusalemme alla fine dei tempi. Lo stesso Gesù darà il mandato ai suoi di “essere testimoni fino ai confini della terra”. L’incontro di Filippo con l’etiope realizza così in germe questa promessa e attesa messianica.

    In secondo luogo ci viene presentata la sua fisionomia religiosa. Il nostro etiope è “venuto per il culto a Gerusalemme”. Probabilmente si tratta di quella categoria denominata da Luca col termine di “timorati di Dio”, sono i pagani simpatizzanti del giudaismo di cui accolgono il monoteismo e alcune indicazioni morali ma che non appartengono di diritto al popolo di Israele. Non si tratta dei “proseliti” che a pieno titolo potranno un giorno entrare nel popolo di Dio mediante il rito della circoncisione. Questa considerazione viene rafforzata dal fatto che egli è classificato come “eunuco”. E’ l’aspetto peculiare col quale Luca presenta insistentemente il nostro personaggio. Questa menomazione fisica nell’antichità era contrassegnata da grande disprezzo. Dal punto di vista religioso di Israele l’eunuco è una persona permanentemente impura e quindi esclusa irrimediabilmente dall’assemblea cultuale. Non mancano tuttavia alcuni riferimenti profetici nei quali affiora per i tempi messianici la possibilità che anche gli eunuchi possano un giorno far parte a pieno titolo del popolo dell’alleanza (cfr Is 56,3-8; Sap 3,14-15). E’ un personaggio che Luca sembra voler perciò affiancare a quei “disprezzati” e “ultimi” ai quali viene annunciata la Buona Notizia di Gesù.

    In terzo ed ultimo luogo il testo ci offre l’indicazione del suo “status” sociale:è  “funzionario di Candace, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori”. È quindi un uomo di alto rango, prestigio, cultura e ricchezza. Un rango e una ricchezza che non gli impediscono tuttavia di vivere in profondità una esperienza di “morte” interiore e di umiliazione arrecatagli dalla sua menomazione.

    L’annuncio di Filippo sarà proprio un invito ad affidare la realizzazione della sua vita non alle ricchezze e al prestigio sociale che possiede ma alla promessa del Signore.

    L’eunuco etiope è certamente rappresentativo dell’uomo in ricerca: egli sul carro sta leggendo il rotolo del profeta Isaia. Il diacono Filippo si mostra estremamente rispettoso di questa ricerca. Non la interrompe prepotentemente nell’ansia di inculcare certezze, non tenta di pilotare il discorso in direzioni precostituite. Egli sapientemente si introduce con una semplice domanda: “Capisci ciò che stai leggendo?” (v.30). La risposta è una richiesta indiretta di un aiuto che lo introduca, al di là della lettura, alla comprensione più profondo, diremmo esistenziale: “E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?” (v. 31).  Non basta dunque leggere, occorre “comprendere”! Ecco allora Filippo proporsi come compagno in questo cammino di “comprensione”.

    Filippo tesse la sua opera di evangelizzazione a partire dalla Scrittura che viene a rivestire un ruolo centrale. Questo cammino che si dipana lungo la strada non sarà solo fisico, geografico, ma soprattutto interiore, un cammino che si trasforma in una forte esperienza di condivisione della Parola dalla quale sola può nascere la fede.

    Il testo di Isaia sul quale si impernia la condivisione è estremamente significativo; ci offre uno spiraglio per comprendere che tipo di evangelizzazione compie Filippo nei confronti dell’eunuco.

    Chiave di volta è la domanda rivolta dall’eunuco a Filippo: “Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?” (v. 34). Non è solo curiosità, egli probabilmente avverte che tale testo potrebbe parlare anche alla sua esperienza aprendogli uno spiraglio di speranza. Non a caso il brano offrirà la possibilità di introdurre l’ascoltatore alla centralità del mistero di umiliazione e esaltazione di Gesù di Nazareth e nello stesso di parlare di riflesso alla reale condizione dell’eunuco.

    Per giungere a tale scopo Luca estrapola dal testo di Isaia alcuni versetti tralasciandone altri al fine di porre in evidenza l’aspetto di umiliazione che rappresenta la morte violenta del Servo di Dio la quale sembra “recidere” drammaticamente e irrimediabilmente ogni sua speranza di discendenza (“la sua vita è stata recisa dalla terra”!). Nonostante questo dramma la potenza di Dio è in grado di ribaltare questa situazione in un rinnovato dono di vita. Ma allora non potrebbe tutto questo potersi riferirsi anche all’esperienza di morte e umiliazione che l’eunuco vive in sé nella sua impossibilità di generare? Egli fissando gli occhi sul Servo sofferente non potrebbe appellarsi ad una speranza di vita, di reintegrazione? L’annuncio di Filippo consisterà nel testimoniare Cristo crocifisso e risorto come promessa di realizzazione di tale speranza.

    Il cuore dell’etiope si apre all’ascolto e all’obbedienza della fede che da esso scaturisce. E’ un itinerario, un cammino di evangelizzazione – di catecumenato potremmo dire in altri termini – al termine del quale si pone come apice la richiesta dell’eunuco: “Ecco qui c’è dell’acqua: che cosa impedisce che io sia battezzato?” (v. 36).  Nella umiliazione della croce e nell’annuncio della resurrezione ogni impedimento può essere decisamente superato, il velo del tempio è stato infatti definitivamente strappato. La domanda dell’eunuco è un forte invito alla comunità cristiana giudaica a superare ogni resistenza, blocco, pregiudizio nella proposta dell’evangelizzazione a tutti i popoli, ad ogni uomo e donna in qualsiasi situazione essi si trovino.

    Filippo si mostra docile non opponendo riserve e resistenze: “e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò” (v. 38). Il momento sacramentale pone il sigillo sul cammino iniziatico svolto.

    Al termine le strade dei due si dividono: Filippo è nuovamente “rapito dallo Spirito” e trasportato esattamente alla parte opposta della terra santa: vi sono altri confini da superare, altri popolo da evangelizzare. Da parte sua l’eunuco prosegue la sua strada “pieno di gioia”: è la gioia di colui che ha udito, toccato e veduto la salvezza che gratuitamente in Cristo gli è stata offerta e che lo ha trasformato a sua volta in evangelizzatore.

    Collatio

    Il brano che narra dell’incontro e dell’annuncio dell’evangelo da parte del diacono Filippo all’eunuco etiope è di una ricchezza sorprendente.

    Il primo aspetto che si evidenzia è l’imprevidibilità di questo incontro che sembra nascere dal caso, ma che in profondità è da sempre pensato e progettato dalla Provvidenza di Dio. Anche nell’incontro più inaspettato, strano, imprevisto lo Spirito può agire perché, attraverso l’ascolto e il dialogo, sia offerta all’interlocutore la possibilità di udire la Buona Notizia. Non è un annuncio di massa, anonimo: qui si parla di un annuncio “personalizzato” che raggiunge la persona nella sua concreta e unica  situazione.

    Perché questo si attui necessitano due condizioni: la prima è che l’evangelizzatore, in questo caso Filippo, sia docile, si colga realmente come ministro di una Parola che non gli appartiene ma di cui è semplicemente servitore, e questo fa sì che egli assuma un atteggiamento di totale disponibilità, senza resistenze, pregiudizi, calcoli.

    La seconda condizione è che a sua volta l’interlocutore, in questo caso l’eunuco etiope, si lasci raggiungere dalla Parola, entri in una dinamica di ascolto, di dialogo e di confronto con essa, vincendo anche da parte sua resistenze, paure, pregiudizi.

    L’incontro narrato negli Atti è straordinario proprio perché queste due condizione si presentano, per così dire, allo stato puro. E la conclusione non può essere che una: l’annuncio gioioso da parte dell’evangelizzatore e l’accoglienza piena della Buona Notizia da parte del “catecumeno”.

    Riflettendo su questo incontro la nostra riflessione deve puntare sulla nostra capacità e disponibilità a quell’annuncio che in termini ormai usuali viene definito “nuova evangelizzazione”. Filippo ha il coraggio di percorrere strade realmente nuove, apparentemente improduttive e “stravaganti”, prive di quelle “masse” che facevano la gioia un tempo di tanti predicatori. Ha il coraggio di modalità diverse dettatagli dallo Spirito del Signore: non oppone a questa nuova possibilità ragionamenti fatti di convenienze, comodità, certezze consolidate.

    Da parte nostra troppo spesso dobbiamo riconoscere, come ripetono gli ultimi documenti della CEI, come la nostra pastorale, in un mondo che cambia in questa nostra cultura ormai multietnica,  stenti a decollare in vista di una autentica nuova evangelizzazione, essa è ancora troppo preoccupata della “conservazione dell’esistente”: ancora troppo temiamo di percorrere strade nuove e deserte, e perciò ci accontentiamo del poco di sicuro che ancora ci sembra di possedere ma che vediamo lentamente sgretolarsi tra le mani.  “Teniamo duro” nonostante tutto, con sforzi immani cerchiamo di conservare,  di resistere, ma fino a quando e con quali frutti?  Ci condanniamo a perpetuare stili, modalità, tempi e luoghi di annuncio che ormai hanno fatto il loro tempo e non parlano più all’uomo d’oggi. La vita religiosa con la sua prerogativa di stile profetico, sembra anch’essa annaspare confusa e incerta in quale direzione incamminarsi. Lo Spirito e la Chiesa oggi ci domandano altro.

    La pastorale di evangelizzazione, in questa nostra società multietnica, è tutta da inventare, da sperimentare. Questo significa avventurarsi nel nuovo, nell’incerto, ed è per questo che forse si ha paura di rischiare. Meglio impegnarsi nel ripercorrere avanti e indietro le solite strade anche se poi il ritornello “così non si può andare avanti” continua un po’ dappertutto a risuonare.

    Intraprendere come Filippo strade nuove significa accogliere l’invito a quella “conversione pastorale” a cui più volte richiama il documento dei vescovi italiani “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” (cfr n. 46).

    Dalla parte dell’uditore la riflessione approda ad altre considerazioni. La figura dell’anonimo eunuco etiope rappresenta emblematicamente tutti coloro che sono in un atteggiamento di autentica ricerca. A qualsiasi popolo, cultura o religione appartengano gli uomini ricercano un senso, una risposta a quegli interrogativi che sono di tutti e di tutti i tempi. Dobbiamo divenire attenti nell’ascoltare la domanda che più o meno esplicita colui che ci sta accanto ci rivolge. Ma può capitare che la nostra ottusità ci renda sordi e ciechi, i nostri preconcetti ci facciano assumere atteggiamenti precostituiti e negativi che impediscono ogni aggancio. Dobbiamo imparare a prestare attenzione, ascolto, accoglienza facendoci discreti compagni di viaggio. La Parola è una spinta a superare quelle barriere che spesso comodamente vorremmo frapporre, per rassicurarci, fra i cosiddetti “vicini” e “lontani”: ma chi può realmente giudicare la vicinanza o meno del cuore che autenticamente ricerca Dio? I nostri criteri sono così ristretti, siamo talvolta ciechi nel non riconoscere il bene e la verità dove meno ce lo aspetteremmo.

    La Parola che gratuitamente abbiamo udita e accolta ci chiama a farci  attenti ad ogni persona, in qualsiasi situazione essa si trovi: a tutti la Parola gratuitamente deve essere ridonata.

    Comprendiamo allora la necessità per la chiesa, per le nostre comunità, di una continua conversione per eludere il rischio di una colpevole chiusura alla grazia dell’evangelo destinato ad ogni uomo. La Chiesa è fatta per evangelizzare!

    E quando la Chiesa evangelizza riscopre nella Parola annunciata la gioia della Buona Notizia e del suo esserne strumento: a tutti deve essere rivolto l’annuncio del nostro essere stati raggiunti da una grazia inestimabile: quella di sentirci amati e accolti da Dio come fratelli, tutti allo stesso modo, e nessuno è escluso da questo sovrabbondante dono. Un incontro di tal sorta non può che trasformarci tutti in nuovi evangelizzatori, in portatori della Buona Notizia facendoci compagni di altri uomini e donne che  a nostra volta incontreremo sul nostro cammino.

    Oratio

    Sulle strade delle nostre città che gli uomini e le donne percorrono spesso oppressi da una solitudine senza risposte siamo da te, o Signore, invitati ad incamminarci, senza calcoli, né progetti ma fiduciosi unicamente nella forza della Parola che ci hai consegnato. Che essa sia annunciata al mondo intero. Tu ci vuoi sulle strade di questo mondo incontrando uomini e donne d’ogni razza, lingua, cultura e religione, e ci mandi senza due tuniche, né bisaccia, né denaro, ma ricchi solo della Buona Notizia che ci hai affidato.

    Rendici capaci di farci compagni di viaggio dei nostri fratelli. Non freddi saccenti con risposte arroganti sempre pronte e stereotipe, ma umili servitori della tua Parola. Fa’ che diveniamo capaci di accoglienza, di ascolto, di dialogo fraterno e sincero. Solo così, insieme, ci apriremo alle sorprese del tuo Spirito capace di allargare il cuore di ciascuno alla grazia dell’evangelo.

    Vinci, o Signore,  le nostre comodità, le nostre paure e resistenze, i nostri tentativi di ripiegarci nella sicurezza delle nostre sacrestie e nel percorrere strade ormai imparate a memoria, incapaci di suscitare in noi meraviglia ed entusiasmo.  Donaci, Signore, il coraggio di lanciarci sulle strade impreviste, e talvolta scomode, sulle quali tu ci vuoi.

    Nella forza della tua Parola nascerà, con colui che incontreremo, condivisione e comunione: le barriere saranno vinte, i pregiudizi abbattuti. E il mondo diventerà casa di fratelli da incontrare col sorriso e un abbraccio di pace.

    Posted by attilio @ 16:09

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