• 26 Mar

    Custodire la Parola

    Lectio di Lc 2,19.51

    di p. Attilio Franco Fabris

    Custodiamo lungo l’arco della vita ciò che riteniamo più prezioso e indispensabile alla nostra vita. Infatti non custodiamo le cose superflue, quelle inutili o il ciarpame che si accumula nei cassetti e di cui ci sbarazziamo senza fatica né dolore ogni tanto. Ma ci sono “cose” dalle quali non vogliamo staccarci, che vogliamo “custodire” ad ogni costo. Per Gollum – uno degli indimenticabili protagonisti del romanzo tolkiano “Il Signore degli Anelli” – il suo prezioso “tessoro” (così morbosamente lo chiamava) era purtroppo l’ultimo anello che lo faceva schiavo del suo delirio di onnipotenza. Rischiamo anche noi, come Gollum, di attaccarci a cose, persone, situazioni, sbagliate e di volerle “custodire” come indispensabili alla vita, come portatrici di promesse illusorie di felicità.
    Ecco la necessità di continuare a domandare alla nostra coscienza: ma cosa sto custodendo nella mia vita? Cosa stiamo custodendo come tesoro prezioso nella mia comunità, nella mia famiglia? Cosa ritengo essenziale salvaguardare e proteggere come il mio inseparabile bene e mia fonte di speranza?
    Perché, è vero: “dove è il tuo tesoro lì sarà anche il tuo cuore” (Lc 12,34),  ovvero dove è inclinato il nostro cuore, lì pensiamo e desideriamo appagare il nostro desiderio di pienezza di vita.
    Per il credente il “tesoro prezioso” non è l’anello che promette potere e successo ma il dono della fede, ovvero dell’amicizia con Cristo. Questa nasce e cresce dall’assiduità dell’ascolto della sua Parola in cui crediamo risieda il germe della vita: “Sii buono con il tuo servo e avrò vita, custodirò la tua parola“(Sal 118,17); “Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).
    Da ciò scaturisce che il cristiano dovrebbe custodire gelosamente la Parola del Signore come l’energia nascosta ed inesauribile della fede dalla quale attingiamo la “sublime conoscenza del mistero di Cristo“:Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza,  se appunto invocherai l’intelligenza e chiamerai la saggezza, se la ricercherai come l’argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio” (Pr 2,1-5). Tutto il resto, usando l’espressione di Paolo apostolo, egli “considera come spazzatura” (cfr Fil 3,8) indegna d’essere conservata.
    Domandiamo allo Spirito il dono del discernimento al fine di imparare a riconoscere e custodire la nostra vera ricchezza per poterla poi testimoniare e comunicare al mondo intero.
    Lo Spirito Santo effettuerà in me una continua incarnazione del verbo: io posso dare al Verbo un cuore umano per amare ancora nel tempo i fratelli e il Padre, gli posso dare le mie membra e il mio spirito perché vi compia “ciò che manca alla passione per il Corpo di Lui che è la Chiesa”. Lasciar vivere Gesù in me: lui la mia umiltà, la mia purezza, la mia carità, la mia pazienza, la mia forza, la mia amabilità. Sparire per lasciar regnare lui; non devo imitare Gesù ma rimanere io; devo sparire e lasciar vivere lui divenire il mio io, le specie trasparenti che nascondono Cristo” (Maria Gubbi)

    Lectio

    Uno dei termini usati nell’antico e nel nuovo testamento per indicare l’azione del “custodire” è “shamar” (in greco: terein) che in senso traslato viene a esprimere la premura con cui l’uomo custodisce non solo delle cose bensì anche un comando, una parola, una tradizione. Il verbo ribadisce l’idea del “proteggere-sorvegliare con premura” (Gv 2,10; 2Pt 2,4; 1Ts 5,23…) da cui scaturisce quella dell’ “osservare-obbedire- rimanere saldi” (ad esempio è frequente l’espressione “custodire i comandamenti“: cfr 1Sam 15,11; Pro 13,3; 19,16; Gc 2,10; Gv 9,16; 14,15.21; Ap 2,26…).
    E’ dunque significativo che questo termine, usato anche nei due versetti di Luca che commentiamo, abbracci non solo l’idea del “conservare-custodire” ma anche quello dell'”obbedire-osservare-mettere in pratica“. In effetti colui che custodisce gelosamente una parola nel suo cuore inevitabilmente fa sì che questa parola impregni tutta la sua vita così che anche il suo agire ne è determinato: “Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza” (Lc 8,15).
    Veniamo allora ai due brevissimi testi proposti alla nostra meditazione. Sono entrambi tratti dal secondo capitolo di Luca dove l’evangelista narra gli avvenimenti della nascita di Cristo.
    Il primo testo è il vers. 19 conclusivo all’episodio dell’annunciazione ai pastori e del loro andare a contemplare ciò che è stato loro detto. I pastori sono presi dallo “stupore-spavento” (v.9) dinanzi al realizzarsi della promessa di Dio fatta a Davide. Ma questo stupore non è che una fase iniziale del cammino di ascolto della parola. Ad esso deve seguire l’approfondimento e l’interiorizzazione della Parola.
    Ecco allora che Luca sposta l’attenzione dell’ascoltatore invitandolo a centrare la sua attenzione su Maria.
    Essa viene presentata come colei che  non solo “custodisce” parole e fatti – fosse anche solo per tramandarli successivamente – ma soprattutto cerca di coglierne il senso, il filo conduttore, capace di dispiegargli passo passo il progetto di Dio. È questo il significato della forma verbale usata: sun-terein(lett. custodire insieme). Questo impegno a una custodia delle parole-fatti (nelle lingue semitiche il termine “parola” indica anche il “fatto”!) tutta tesa a coglierne il trama nascosta è il processo caratteristico di una fede che desidera crescere e progredire nella comprensione del mistero. Questo sforzo interiore di Maria è ancora sottolineato da Luca attraverso un verbo molto caratteristico:  “symballein” che letteralmente significa “riuniremettere insieme-ravvicinare le partimettere a confronto“. Nella tradizione cristiana questo processo sarà poi espresso con la parola “meditare“.
    Luca ci vuole presentare Maria – modello del discepolo – che impiega tutte le sue energie (“nel suo cuore“) nel “custodire nel cuore” una continua meditazione degli eventi e delle parole di un mistero che di certo la superano ma nel quale è chiamata ad entrare attivamente e sempre maggiormente. Così Maria fin dall’inizio viene formata ad una fede che è destinata a crescere attraverso un progressivo cammino di interiorizzazione e comprensione. Luca riporterà la frase di Gesù che elogia indirettamente questo fondamentale e prioritario impegno di ogni discepolo: “Ma Gesù rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»” (Lc 8,21).
    Nel nostro versetto il “custodire” la Parola assume la valenza del progredire nella sua comprensione attraverso un costante esercizio di meditazione al fine di porsi in sintonia col disegno di Dio.
    Ma veniamo al secondo testo. E’ il vers. 51 che conclude il cosiddetto “vangelo dell’infanzia”. Siamo infatti al termine dell’episodio tragico della perdita e del ritrovamento di Gesù nel Tempio.
    Seduto fra i maestri della Legge Gesù ha manifestato ai suoi la sua missione e ha rivendicato la sua figliolanza e quindi dipendenza unicamente dal “Padre suo” (v. 49). Il vangelo riporta che queste parole di Gesù non sono comprese né da Maria tanto meno da Giuseppe (“Ma essi non compresero le sue parole” v. 50).  Il mistero non può essere totalmente e immediatamente compreso!
    Dopo questo momento di tensione la scena è riportata nell’atmosfera familiare della quotidianità della vita di Nazaret. Una esistenza semplice in cui il figlio è chiamato ad osservare il quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre” (Dt 5,16).
    Il contrasto con la scena precedente del contrasto con i genitori è appositamente stridente: se prima Gesù rivendica la sua autonomia e indipendenza dalla famiglia umana in quanto relazionato essenzialmente con Dio ora egli ci è presentato “sottomesso” ai suoi genitori terreni.
    A questo punto l’evangelista fa ancora emergere la figura di Maria quale immagine  del discepolo che è chiamato a “custodire” conservandola nel tempo la Parola.
    Se nel vers. 19 Maria veniva presentata tutta intenta a collegare e scoprire il filo conduttore capace di dare senso agli avvenimenti, qui ella ci viene presentata come discepola che “custodisce attraverso il tempo” (è l’etimologia di “dia-terein“) quelle “parole-fatti” al fine di approfondirle, comprenderle sempre più. Sono seme destinato a crescere e a fruttificare lungo l’arco dell’esistenza.
    Luca dunque all’interno del secondo capitolo per ben due volte sottolinea la figura di Maria come discepola che “custodisce costantemente, collega e confronta lungo l’arco della sua esistenza” quelle parole e avvenimenti che danno senso alla sua esistenza e vocazione. Ella ne ha bisogno per accogliere quel Figlio che rimane sempre per lei sempre un mistero che non le appartiene.
    L’intento dell’evangelista è probabilmente quello di suggerire alla comunità quale debba essere la pedagogia con cui accompagnare i chiamati alla fede: il catecumeno non comprende tutto e subito; ha bisogno di tempo, ha bisogno di confrontare e collegare costantemente, interiorizzare la Parola di Dio con la vita al fine di scoprirvi il disegno di Dio. Solo in questa esercizio di “custodia” del mistero si attiva la fede.
    Da questo momento Maria scompare dalla scena: ella fa ormai posto ai discepoli tra i quali si pone anche lei. Discepoli che sono chiamati a ripercorrere l’esperienza di Maria per diventare a loro volta capaci di generare nella vita il Verbo ascoltato e custodito nel cuore.

    Collatio

    L’uomo prende nella custodia del suo cuore, della mente e della volontà ciò che ritiene prezioso per la sua vita, ciò che considera un valore. Si custodisce solo ciò che si ritiene importante per la propria vita. L’imprenditore custodisce gelosamente i suoi contratti e i suoi lavori, l’affarista i suoi blocchetti d’assegni, l’anziano i suoi lontani ricordi, il bambino i suoi giochi preferiti, la sposa l’amore per il suo sposo. Noi che ci definiamo credenti – e consacrati – cosa custodiamo gelosamente nel nostro cuore come tesoro inseparabile?
    La risposta è importante perché ciò che custodisco nel cuore, ovvero al centro della mia vita, mi impegna totalmente: il tempo, le energie, l’attenzione:  “che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore” (Sal 39,9).
    Rischiamo sempre di custodire cose sbagliate, di rincorrere chimere, di sprecare energie inutilmente e allora il dono della sapienza è necessario per imparare a discernere l’oro dalla sabbia:  “Dammi la sapienza…che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti” (Sap 9,9). “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,2).
    Ma perché custodire la Parola del Signore nel cuore?
    Nel salmo 118 preghiamo dicendo: “La legge della tua bocca mi è preziosa più di mille pezzi d’oro e d’argento” (v. 4). Per il salmista la Parola di Dio è un tesoro inestimabile, e un tale tesoro del valore più grande di mille lingotti d’oro va custodisco ad ogni costo: “Io custodisco i tuoi insegnamenti e li amo sopra ogni cosa” (Sal 118,167).
    La parola è preziosa perché è il seme della fede che è la fonte della speranza e della vita: “Egli mi istruiva dicendomi: «Il tuo cuore ritenga le mie parole; custodisci i miei precetti e vivrai” (Prov. 4,4). Infatti la fede senza l’ascolto della Parola non può germogliare e portare frutto. Come il contadino conserva e custodisce gelosamente la sua semente da gettare nel campo così il discepolo custodisce nel cuore il seme della parola perché poi fruttifichi nella vita: “Figlio mio, custodisci le mie parole e fa’ tesoro dei miei precetti” (Prov. 7,1).
    Vogliamo vigilare nella custodia di questo immenso tesoro in una duplice consapevolezza.
    La prima è che si custodisce qualcosa perché corriamo il rischio di perderla, che ci sia sottratta o rubata. Così è della Parola di Dio che deve essere custodita affinché il nemico non la strappi dal nostro cuore. Questo nemico è Satana ma si chiama anche pigrizia, non vigilanza (che è il contrario della custodia), noncuranza, superficialità, dispersione. Se non custodiamo con vigilanza gli uccelli, la strada, i rovi, o i sassi disperdono il tesoro (cfr Mt 13,24ss).
    La seconda consapevolezza è che questo tesoro – “Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2Tt 1,14) – è destinato non solo a se stessi bensì a tutti i nostri fratelli: per cui questo tesoro della fede che scaturisce dall’annuncio della parola lo custodiamo in noi stessi perché possa essere donato a tutti. Una sua eventuale perdita non andrebbe perciò a detrimento solo di noi stessi ma di tutti!Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.” (Mt 24,,42-43).
    Necessariamente il teme della custodia si accompagna a quello della vigilanza: san Gregorio di Nissa scrive in una sua opera: “Occorre dunque vigilare con diligenza, volgendosi spesso all’anima e gridandole e ingiungendole come uno stratega: «O uomo, custodisci il tuo cuore sorvegliandolo bene» (Prov 4,23). Da questa sorveglianza dipende l’esito della vita. Il custode dell’anima è la ragione pia, fortificata dal timore di Dio, dalla grazia dello spirito e dalle opere della virtù” (Il fine cristiano).
    Maria ci è posta dinanzi modello del nostro essere discepoli seduti ai piedi del Maestro e in cammino dietro a lui (cfr Lc 10,39; Mc 3,32): “Che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore” (Sal 39,9). Maria attenta ad ascoltare “tutte le Parole” che Dio le rivolge non ne lascia cadere a terra neppure una, le raccoglie, le confronta ne approfondisce ed interiorizza (sun-terein)  il senso mai interamente posseduto, le custodisce gelosamente e amorevolmente nel tempo (diaterein) perché la sua fede possa sempre crescere “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).
    La Parola custodita illumina i fatti e i fatti a loro volta custoditi sono interpretati alla luce della Parola in una dinamiche di crescita ed interiorizzazione mai conclusi. Senza questa custodia, che diviene memoria anzi “memoriale”, gli avvenimenti e le parole dell’esistenza apparirebbero inconcludenti, senza un filo logico, contraddittori e non portatori di senso. Come infatti Maria potrebbe affrontare il suo “pellegrinare nella fede” (LG) che Dio le propone senza un suo costante impegno nel restare in ascolto della Parola custodita nel cuore come chiave di lettura della sua storia?
    Nei dipinti raffiguranti l’Annunciazione Maria è quasi sempre raffigurata sempre in un atteggiamento di preghiera avendo dinanzi a sé aperto – se  pur su di un anacronistico inginocchiatoio –  il libro della Parola di Dio. Vi si esprime l’essenziale della fede di Maria che si riassume nella sua costante disponibilità a collaborare – è il frutto della preghiera – al realizzarsi della promessa di Dio.
    I Padri insegnano che ciò che si dice di Maria vale per la Chiesa e per ogni credente.
    L’impegno a custodire la Parola del Signore nel nostro cuore è della Chiesa, della comunità e di ciascuno di noi: nessuno escluso. Desideriamo custodirla gelosamente “più di mille pezzi d’oro e d’argento” come fermento della fede, chiave di lettura della storia e fuoco che sospinge all’annuncio del vangelo.
    L’importante documento della CEI, “Comunicare il vangelo in un mondo che cambia” al n. 31 afferma che “ogni uomo è chiamato a prestare attenzione in ogni momento al rivelarsi gratuito di Dio, della sua misericordia che purifica e risana, è chiamato a scorgere la presenza della grazia divina attraverso persone ed eventi”.
    Ciò è possibile nella misura in cui nel cuore è custodito il dono di Dio.  “Prega dunque per chiedere la grazia del vero silenzio di cui Maria ha il segreto, ella che custodiva fedelmente i suoi ricordi e li meditava nel suo cuore” (Fraternità Monastiche di Gerusalemme, Libro di vita).

    Oratio

    Ascolterò la tua Parola, nel profondo del mio cuore.
    Nel buio della notte essa come luce risplenderà.
    Mediterò la tua Parola, nel silenzio della mente.
    Nel deserto delle voci essa risuonerà.
    Seguirò la tua Parola nel sentiero della vita.
    Nel passaggio del dolore la Parola della Croce mi salverà.
    Custodirò la tua Parola, per la sete dei miei giorni.
    Nello scorrere del tempo la Parola dell’Eterno non passerà.
    Annuncerò la tua Parola, camminando in questo mondo.
    Le frontiere del tuo Regno,
    la Parola come un vento  le spalancherà


    (E. Sequeri)

    Posted by attilio @ 14:10

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