• 23 Ago
    1. Li farà mettere a tavola e passerà a servirli

    Luca 12,35ss.

     

    L’indicazione al versetto 35 del cap.12 di Luca è: “Siano i vostri fianchi cinti e le lampade accese”. Questa espressione la ritroviamo nelle indicazioni che Mosè dà per la prima Pasqua: “Ecco in quale modo mangerete, con i fianchi cinti, pronti per la partenza, e i sandali ai piedi, il bastone in mano. Lo mangerete in fretta. E’ la Pasqua del Signore”.  Cosa significa  “cingere i fianchi”? A quell’epoca l’indumento degli uomini era una lunga tunica, ma quando si doveva lavorare o quando si doveva partire per un viaggio, questa tunica era di impaccio, arrivava infatti fino ai piedi, allora cosa si faceva? Si prendeva il lembo della tunica, la si raccoglieva e la si metteva nella cinta ai fianchi, di modo che ci fosse più agilità di movimento. Per cui “cingere i fianchiindica un atteggiamento di servizio – erano i servi che avevano i fianchi cinti per essere sempre pronti al servizio – e di cammino verso una meta.

    La caratteristica che allora Gesù chiede ai discepoli è di avere un atteggiamento abituale di servizio, e di prontezza nel mettersi in cammino dietro di lui verso la pienezza della liberazione.

    Servire significa nutrire, rafforzare, comunicare vita: e questa è un’immagine dell’eucaristia, bellissima, che abbiamo nel vangelo di Luca, confermata dalle parole di Gesù, durante l’ultima cena.

    Abbiamo poi l’immagine delle lampade accese. Perché queste lampade accese? Anche questa è un’indicazione che troviamo nel libro dell’Esodo. Si richiedeva che nella tenda dove si pensava ci fosse la presenza del Signore, ci fosse sempre una lampada accesa[1]. Ebbene con questo invito l’evangelista ci sta dicendo che la comunità di Gesù è il nuovo santuario dove si manifesta e si irradia la presenza e l’amore del Signore.

     

    Continua Gesù “E voi siate simili ad uomini che attendono il loro signore quando torna dalle nozze in modo che, arrivando e bussando, subito gli aprano”. Gesù si paragona ad una sposo di ritorno dalle nozze.  Nella tradizione dell’Antico Testamento è consuetudine presentare il Signore come sposo del suo popolo. Perché “il signore” deve bussare? Se è il padrone di casa avrà ben le chiavi!  Ebbene Gesù non impone mai la sua presenza, ma sempre la propone; lui non obbliga, ma si offre.  C’è un richiamo di questo nell’Apocalisse, al capitolo 3: “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.  Anche qui ritroviamo un’immagine eucaristica.

    Beati quei servi che troverà vigilanti – cioè svegli in atteggiamento di servizio – vi assicuro”, e qui c’è la sorpresa. Immaginiamo questa immagine di un padrone che arriva a casa sua a tarda notte, bussa, trova i servi ancora svegli che gli aprono, cosa fa? E’ normale, non si farà servire dai servi? Invece c’è un capovolgimento, un sovvertimento dei valori: “Vi assicuro che si cingerà” esattamente come si erano cinti i servi e il padrone – Gesù – lui si cingerà i fianchi per servire i servi. Il distintivo di Gesù non sono i paramenti sacri, non sono emblemi o segnali di gradi religiosi; il distintivo di Gesù, l’unico distintivo che Gesù mai si toglie, è il grembiule del servizio.

     

    Continua: “Vi assicuro che si cingerà, li farà giacere”, a tavola, ecco l’immagine dell’eucaristia, “e, passando, li servirà”.  E’ clamoroso quello che Gesù sta dicendo, è completamente nuovo. Chi si poteva sdraiare durante la cena o durante il pranzo? Soltanto i signori. Ovvero quelli che avevano dei servi che li servivano. Da sempre si pensava che i servi dovessero servire il loro padrone, e questo veniva applicato anche alla liturgia. La liturgia era un servizio di lode, un sacrificio, che gli uomini rendevano a Dio.  Ma qui è tutto il contrario. Nell’eucaristia il Signore fa giacere i suoi discepoli, ed è lui che si fa servo degli uomini perché gli uomini si sentano signori.

    Ed essere signori significa essere pienamente liberi; c’è un dono prezioso che Dio ci dà e ci offre, un dono che, una volta conquistato non può essere tolto: è la libertà. Nell’eucaristia il Signore ci fa sentire dei signori perché passa lui a servire i suoi.

     

    Perché questo? Perché servire gli altri stanca, servire gli altri significa consumare energie, servire gli altri significa dissipare le forze. Allora c’è un momento in cui la comunità viene fatta riposare ed è il Signore che passa servendo, ovvero comunicando la sua stessa energia, in un crescendo senza fine. Più noi serviamo gli altri e più dobbiamo permettere al Signore di comunicarci la sua energia d’amore.

    Ma i discepoli questo non lo capiscono (cfr Gv 13), ci vorrà tempo, infatti litigheranno tra di loro per sapere chi è il più importante. Ebbene Gesù li richiama e dice “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”.

    E, Gesù continua “E se nella seconda e nella terza vigilia troverà i suoi servi ancora svegli, beati loro”. Il servizio di Gesù consente ai discepoli di essere continuamente in una disposizione di servizio. L’eucaristia è ciò che assicura – potremmo dire in un linguaggio attuale – la ricarica di energie da parte di Gesù per poi essere di nuovo capaci di trasmettere agli altri amore.

    In altre parole: nell’eucaristia Gesù si fa pane perché quanti lo accolgono siano poi capaci di farsi pane per gli altri.

    (sintesi di una conferenza di p. A.Maggi)

     

     



    [1] Da qui l’uso nelle chiese cattoliche della lampada accesa posta accanto al tabernacolo dove viene conservata l’eucarestia.

  • 19 Ago

    Fino alla misura di Cristo

    Lectio di Ef 4,11-16

     

    La Conferenza Episcopale Italiana ha posto come tema di riflessione pastorale per questo decennio l’“Educare alla vita buona del Vangelo”. La Chiesa è consapevole che oggi affrontare il problema educativo è un compito urgente sia per quanto riguarda gli obiettivi come i metodi. Il disorientamento, associato a una quasi generale mancanza di maturità umana e spirituale, è realmente un flagello nella nostra società. Educare significa “far crescere”, “far maturare”: alla sua base sta dunque la consapevolezza che l’uomo non è un “dato di fatto” acquisito alla nascita una volta per tutte, e neppure che la sua crescita, in tutte le sue dimensioni, sia realtà scontata e connaturale che “va da sé”. L’educare esige che prima si dia insieme, educatore ed educando, la risposta ad una domanda di fondo che esige una risposta: chi è l’uomo? A cosa tende? Chi è chiamato a diventare? La risposta nel nostro contesto culturale non è né chiara né tantomeno univoca.  Le proposte sono molte, di cui molte insufficiente altre totalmente erronee.

    Per la comunità dei discepoli di Gesù l’obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in relazione, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino. «La vera formazione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le capacità dell’uomo e della sua vocazione personale, in accordo ai principi fondamentali del Vangelo e in considerazione del suo fine ultimo, nonché del bene della collettività umana di cui l’uomo è membro e nella quale è chiamato a dare il suo apporto con cristiana responsabilità» (Paolo VI). Tutti sono responsabili dell’educazione di sé stessi e di conseguenza degli altri; e come credenti sappiamo che primo protagonista della spinta a crescere è lo Spirito. Egli “forma il cristiano secondo i sentimenti di Cristo, guida alla verità tutta intera, illumina le menti, infonde l’amore nei cuori, fortifica i corpi deboli, apre alla conoscenza del Padre e del Figlio, e dà «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità»”. Lui dobbiamo invocare come energia sempre viva, luce e acqua che fa crescere ciascuno fino “alla statura di Cristo”.

    Lectio

    Con il quarto capitolo si apre la seconda parte della lettera ai cristiani di Efeso caratterizzata da maggiori riferimenti alla vita cristiana inserita nella vita quotidiana: in questa seconda parte Paolo desidera tracciare i tratti fondamentali che devono contraddistinguere la “vita nuova” del credente la quale è scaturita dalla fede e dal battesimo. Una vita nuova che dovrà coincidere sempre più con i tratti della vita stessa di Cristo (Gal. 2,20). Tutto questo esige un cammino di crescita, un luogo educativo adatto, degli strumenti appropriati: la fede non è un dato di fatto acquisito una volta per tutte.

    Il nostro brano racchiude perciò una forte esortazione affinché i credenti “crescano” ogni giorno di più (v. 15) nell’assimilazione del mistero del Signore Gesù, in modo che sia lui a vivere sempre più in loro stessi. Quanto più crescerà Cristo in noi, tanto più egli penetrerà le profondità del nostro cuore e della nostra mente, che “cresceranno” ovvero si conformeranno sino alla misura della sua stessa mente e del suo stesso cuore.

    Al v. 11 Paolo afferma che nella Chiesa i carismi per l’utilità comune sono diversi. Una comunità pienamente matura ha molte membra con funzioni diverse che si articolano perfettamente per lo scopo comune del bene e della crescita dell’intero corpo. Il fine di questa diversità e vitalità non è esclusivamente il bene dell’individuo, ma ha come scopo il “preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (v. 12). Qui troviamo l’indicazione di un “perfezionamento”, di una crescita nella conformità a Cristo non solo di ciascun credente, ma di tutta la Chiesa “corpo di Cristo”. Anch’essa è chiamata a crescere vero la maturità di sposa di Cristo.

    “Finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (v. 13). Se c’è perfezionamento nelle membra; se la loro funzione matura; allora tutto il corpo si edifica nell’unità della fede e della comunione in Cristo. Allora si diventa uomini e donne cresciuti sino alla “misura della pienezza di Cristo”. Detta così questa considerazione sembra quasi di importanza relativa, invece è di necessità assoluta, perché è necessario per la crescita armonica e fruttuosa del singolo credente e della Chiesa essere uniti nella fede perché così che non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore” (v. 14). Senza il presupposto di un solido fondamento unitario della fede il credente sarebbe nella situazione spiritualmente infantile. Se questo accadesse egli non sarebbe in grado di raggiungere la propria identità spirituale, sarebbe impreparato a far fronte alle offerte di tante “false dottrine” “in balia delle onde” trasportati qua e là.  

    Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo” (v. 15). Agire secondo verità nella carità” significa che occorre tradurre in termini concreti di amore la rivelazione donataci da Cristo. Questo è crescere nella fede in tutte le dimensioni del nostro essere: intelligenza, volontà e affettività secondo un ben preciso progetto e orientamento: “tendendo a lui che è il capo Cristo”. Non si tratta dunque nel cammino di crescita di raggiungere un qualche obiettivo morale ma di essere pronti a vivere una comunione sponsale con la persona stessa di Cristo Gesù.

    Meditatio

    Poiché siamo stati fatti ad immagine di Colui che è la fonte di ogni vita, e la vita in se stessa è energia che si espande e cresce, ogni essere umano nasce con il bisogno impellente di portare a compimento se stesso. La vita è una chiamata a crescere e questa chiamata è accompagnata dall’istintivo desiderio di scoprire il senso della propria esistenza. Il nostro crescere abbisogna di una direzione (Ql 3,11). Un po’ come per una pianta che istintivamente cresce verso la luce.

    Potrà sembrare banale ma un essere vivente per crescere non basta che venga all’esistenza! In altre parole: non basta che Dio desideri la nostra crescita spirituale o che noi desideriamo ardentemente “realizzarci” nella vera vita: per poter registrare una progressiva e reale maturazione cristiana occorre vivere un’autentica vita spirituale (Mc 4,30-32). Perché questo accada occorre abbandonare lo stato infantile per tendere alla maturità che si identifica con la capacità di agire nella vita con libertà e responsabilità: ma qual è l’obiettivo finale di tale crescita? Ogni caratteristica del nostro corpo fisico è “programmata” dalla nascita e dipende da precise istruzioni registrate in microscopici “nastrini” di sostanza genetica (il famoso DNA) presente nel nucleo di ogni cellula. In essi Dio ha “scritto” l’intero progetto del nostro corpo: colore degli occhi, tipo e colore dei capelli, grado di elasticità della nostra pelle, qualità delle unghie, efficienza muscolare, statura, ecc… Se nulla ne ostacola l’espressione e lo sviluppo (denutrizione, stress, malattia, incidenti, morte), nel tempo tutti questi caratteri si manifestano fino ad un massimo stabilito dal progetto registrato. Ma esiste anche un preciso “DNA spirituale” che i credenti ricevono nel momento della loro “nuova nascita” battesimale. In esso è registrato un progetto spirituale (forse più conosciuto con il nome di “progetto di Dio”);  se nulla ostacola l’espressione e lo sviluppo di questo progetto, nel tempo, tutte le sue caratteristiche spirituali previste si manifesteranno nella vita di un figlio di Dio fino ad un massimo stabilito dal Signore. Qual è questo grado spirituale, verso cui dovrebbe tendere ogni credente?  La misura è quella della perfetta statura di Cristo (Ef 4,13). In altre parole: è il nostro divenire sempre più conformi a Cristo, secondo la cui immagine, come dice la teologia orientale, siamo stati creati e progettati.

    L’ambito in cui questa crescita può avvenire in modo reale e armonico è solo la Chiesa, che si concretizza nella propria comunità. San Cirillo d’Alessandria lo esprime molto bene in un suo testo:  “O allievi della divina pedagogia! Orsù, completiamo la bellezza del volto della Chiesa e corriamo, noi piccoli, verso la Madre buona; diventando ascoltatori del Logos, glorifichiamo il divino piano provvidenziale, grazie al quale l’uomo viene sia educato dalla pedagogia divina che santificato in quanto bambino di Dio: è cittadino dei cieli, mentre viene educato sulla terra; riceve lassù per Padre colui che in terra impara a conoscere”.

    La maggior parte dei battezzati purtroppo dimentica o tralascia questa dimensione dinamica ed essenziale della vita cristiana. Ci si limita ad assolvere solo alcuni doveri religiosi. La vita spirituale ne risulta spenta e senza…spinta. Magari si ricercano obiettivi di per sé buoni, come l’impegno nel sociale, nel volontariato, nelle opere religiose… ma tutto questo non è sufficiente per realizzare in tutte le sue dimensioni il progetto di crescita iscritto nel cristiano… perché, spiritualmente parlando, c’è un inconsapevole bisogno di “crescere” in conformità al nostro DNA costitutivo e primario che è il nostro vivere sponsalmente in Cristo. Finché l’uomo resta lontano da Dio, magari impegnato per le cose “da fare per Dio”, questo compito di “crescita” non può essere appagato (Gv 17,3; 10,10).

    Risulta evidente dal brano biblico proposto che il desiderio dell’apostolo Paolo sia quello di vedere ogni membro del Corpo di Cristo che è la Chiesa, crescere, prosperare, affinché possa prendere il proprio posto nella famiglia di Dio collaborando in modo adulto e responsabile all’opera che Dio ha affidato a lui e che nessun altro potrà mai svolgere al suo posto. Anche l’apostolo Pietro si esprime in termini simili a quelli di Paolo quando, parlando della comunità cristiana usa l’immagine di un’immensa costruzione in fieri, un grande “edificio spirituale” che è il risultato dell’aggiunta di un “mattone su mattone” che si identifica in ogni singolo credente (cfr 2Pt 1,5-8).

    Purtroppo accade, come sopra accennato, che molti cristiani, tra cui anche uomini e donne consacrati, non realizzano pienamente questo privilegio e responsabilità di appartenere in modo vivo e maturo all’edificio spirituale del corpo di Cristo. Essi pensano di poter agire come credono, fare e disfare della loro vita a proprio piacimento, senza alcun concreto riferimento a Cristo capo (Gal 4,19,20; 5,7; 1Cor 11,22). La Parola di Dio insegna perciò che la crescita spirituale non è scontata: non basta che un neonato venga alla luce per avere la matematica certezza che diventerà un adulto fisicamente forte e mentalmente valido: ci sono precisi meccanismi ed inevitabili esigenze da soddisfare per determinare il buon esito di una crescita (Sal 129,6; Gb 8,11; Mt 13.4-8). E la spinta alla crescita spirituale viene da Dio e da Dio solo,  ma esige esige anche il nostro assenso e la nostra collaborazione! (1Cor 3,6,7; Gn 4,6,10; Ez 16,6).

    La Scrittura ci rivela che Dio non è un genitore “sbadato”: Egli protegge il suo popolo e ne accompagna la crescita (Is 27,2-3) accettando il reale “rischio educativo” per usare l’espressione di don Giussani, derivante dal rispetto della libertà dell’altro. Se Dio svolge con grande attenzione quest’opera di accompagnamento, vuol dire che ci sono dei reali pericoli! Satana e il peccato, a cui egli induce l’uomo, mirano sicuramente ad arrestare, in mille modi diversi, la crescita spirituale. Il peccato è veleno per la crescita della “nuova creatura” e ogni volta che esso riesce a fare breccia nelle difese e a penetrare nella vita di un credente, provoca una “battuta d’arresto” nella crescita e, se non c’è una pronta “disintossicazione” (conversione e confessione), esso porta alla malattia e ad un’inevitabile morte per avvelenamento! La nostra crescita se non siamo vigilanti rischia continuamente di bloccarsi, regredire, deviarsi o addirittura spegnersi.

    Infine non dimentichiamo, sulla linea della stessa riflessione paolina, che la crescita e la maturazione spirituale è in vista sicuramente del bene dell’individuo che è un membro del corpo ecclesiale, ma in concomitanza questa stessa crescita e maturazione fa sì che lo stesso corpo della Chiesa possa svilupparsi armonicamente sempre più.  Non è indifferente perciò che io riesca o meno a raggiungere la misura della mia maturità in Cristo: ne va a discapito non solo la mia realizzazione ma anche quella della Chiesa di cui ciascuno deve sentirsi responsabile. Di questa realtà ben pochi ne sono consapevoli poiché vivono la fede in modo individuale il che è immaturità. Quando una macchina ha tutti gli ingranaggi collocati al proprio posto, funziona in modo perfetto. Nel campo della meccanica c’è bisogno di chi progetta, di chi costruisce pezzi, di chi li assembla, di chi collauda il lavoro terminato, di chi gestisce il macchinario. Così, in certo qual modo, è della Chiesa. Il lavoro di ciascuno serve per rendere completa e perfetta, adulta, l’opera di Dio. Non vedranno sicuramente buoni giorni tutti quelli che manomettono, modificano, deturpano, secondo il loro piacimento e gusti, il sistema di salvezza assemblato direttamente dal Signore! Ci troviamo così di nuovo dinanzi all’invito di Paolo a ricercare costantemente l’“unità dello fede e della conoscenza di Cristo” perché tutto e tutti possano giungere alla maturità della fede. Scriveva il beato cardinal Neuwann con estrema chiarezza: “Dio mi ha creato perché gli rendessi un particolare servizio; mi ha affidato un lavoro che non ha affidato ad altri. Ho la mia missione, che non saprò mai in questo mondo, ma mi sarà detta nell’altro. Non so come, ma sono necessario ai suoi fini, necessario nel mio posto come un Arcangelo nel suo; […] ho una parte in questa grande opera; sono un anello della catena, un legame di parentela tra le persone. Non mi ha creato per nulla. Io farò il suo lavoro”.

    Oratio

    Isacco della Stella fu abate cistercense inglese nel secolo XIII.  Nei suoi numerosi scritti affiora costantemente l’immagine mariana applicata sia alla Chiesa che e al singolo credente: come Maria che fa crescere in lei e dà alla luce fisicamente il Figlio di Dio così la Chiesa e ogni cristiano concepisce e partorisce spiritualmente, per mezzo dello Spirito, il Cristo l’uomo nuovo per donarlo al mondo.  Solo nella maturità della fede questo concepimento e parto è possibile a va a buon termine e il Cristo non ne viene “abortito”. Chiediamo allora a Maria la grazia dell’obbedienza alla fede, di un sì perseverante, che permetta allo Spirito di generare, far crescere e partorire Cristo in noi e al mondo.

    Che il Figlio di Dio
    già formato in te, o Maria,
    cresca in te,
    fino a diventare immenso.
    Ed egli sarà per te
    un sorriso,
    un’esultanza,
    una pienezza di gioia
    che nessuno potrà toglierti.

    Attilio Franco Fabris
    Casa di Preghiera Sant’Andrea
    Abbazia di Borzone
    16041 – Borzonasca – Ge
    www.abbaziaborzone.it