• 02 Dic

    Una comunità che conosce la prova: Atti 4,23-31

    a cura di p. attilio franco fabris

    Pietro e Giovanni, dopo la guarigione del paralitico alla porta bella, sono condotti dinanzi al sinedrio.

    Una situazione imprevista. Che sentimenti avranno provato i due apostoli? “Qua le cose si mettono male… Com’è andata per Gesù, così lui ha promesso che sarebbe andata anche per noi… Dobbiamo prepararci…”.

    Cosa avremmo fatto noi? Non è che forse avremmo cercato appoggi, sostenitori, non avremmo forse cercato di entrare nel “giro giusto”? Perché se se ne resta fuori niente protezioni, né… carriera.

    Luca racconta: “Appena rimessi in libertà andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto gli anziani e i sommi sacerdoti”. I due non trovano di meglio che andare di corsa dai loro compagni, a condividere tutto: è la fraternità. Il gusto di raccontare ciò che nel Signore essi hanno vissuto. Ciò che loro hanno vissuto interessa tutta la comunità: “Erano un cuor solo ed un’anima sola”.

    La reazione della comunità è una preghiera, una supplica rivolta al Signore. Una supplica per chiedere di vivere tranquilli e in pace? No! “Ora Signore concedici di annunziare con tutta franchezza la tua parola. Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo servo Gesù”.

    Ciò che la comunità chiede è la franchezza in ordine alla testimonianza della Buona Notizia.

    La preghiera è esaudita, essa è secondo il cuore di Dio (v. 31). Lo Spirito santo scende nuovamente e riempie tutti i presenti. Dunque questa franchezza è il dono principale dello Spirito conferito nella Pentecoste.

    Ma non era già sceso lo Spirito? Sì a Pentecoste appunto. Ma il dono di Dio non è statico, è dinamico, si rinnova continuamente quanto più il cuore si dispone a riceverlo. Il cuore si dispone a riceverlo quanto più accetta di venire sollecitato dagli avvenimenti.

    In una nuova situazione, questa volta di conflitto e di persecuzione, cosa può fare la comunità se non attingere proprio all’esperienza della pentecoste? E come? Attraverso la “memoria passionis”. Ecco il segreto di questa nuova pentecoste. Pietro e Giovanni quando raccontano le loro vicende alla comunità, la aiutano a fare la “memoria passionis”. La comunità non scappa, non impreca, non si dispera, ma nel nome del servo Gesù innalza la sua supplica a Dio per ottenere il dono della franchezza.

    Vi è una convinzione di fondo: ciò che ha toccato intimamente la persona di Gesù ora tocca intimamente la comunità dei discepoli. L’esperienza pasquale di Gesù è la chiave per comprendere quello che sta capitando.

     E questo atteggiamento apre ad una nuova esperienza della Pentecoste.

    Ma la comunità primitiva per reagire all’ostilità del sinedrio ed all’approssimarsi della persecuzione in questo modo, che cammino avrà fatto? Qual è il retroterra della comunità che si raccoglie intorno a Pietro e Giovanni ed invoca dal Signore il dono della parresia?

    La tradizione degli Atti ci suggerisce che ciò è stato reso possibile dal dono dello Spirito.

    Piste di riflessione

    ∑    Le nostre comunit dinanzi alle difficoltà che “strategie di intervento” ti sembra che generalmente adottino? La comunità trova nella “memoria passionis” il criterio di discernimento e di letture delle vicende che essa si trova ad affrontare (cfr Regole e Costituzioni, n.5). E’ presente questo criterio o ne usiamo altri?

    ∑    Credi anche tu che la nostra Provincia abbia bisogno di una nuova esperienza di pentecoste, in quanto anche noi stiamo attraversando situazioni conflittuali difficili? Stiamo vivendo una sorta di persecuzione che si chiama disagio, malessere profondo, sfiducia, stanchezza, pigrizia, resistenza. Tutto questo snerva, sfibra, toglie il gusto del servire il Signore. Siamo inseriti in una cultura secolarista che osteggia in diversi modi la fede. Tutto questo esige franchezza, il coraggio della testimonianza. Cosa proporremo? A quali situazioni nuove stiamo andando incontro?
    Di certo ad una situazione nella quale i credenti si troveranno in una situazione minoritaria. Torneremo nelle catacombe? Metaforicamente sì, cioè inventando e sviluppando dimensioni di vita realmente alternative.

     

    Posted by attilio @ 11:24

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