Amerai il Signore con tutta la tua mente
a cura di p. Attilio Fabris
La scoperta dell’essere figli del Padre è antecedente a ogni proposito di cambiare vita, ma d’altro canto anche la vita che cambia permette di scoprire che è bello vivere come figli. Lo scoprirsi figli è un dono. E nell’economia della salvezza noi sappiamo che ogni dono è fatto per essere condiviso. Allora se essere figli è un dono di un Padre che è la Vita, allora questo dono lo debbo condividere, io stesso sono chiamato ad essere dono. Ritrovo la mia identità nell’essere esistenza che si dona. Sono servo perché figlio. Servo non per forza, costretto da un padrone, ma perché il donarmi diventa esigenza insita al mio essere figlio.
In questo la mia esistenza di figlio si conforma al Figlio Dio-Uomo Gesù il quale “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil): non ebbe paura di perdere la sua dignità di Figlio nel lavare i piedi ai discepoli, e nel portare sulle sue spalle il peso del nostro peccato. Da quando Dio si è rivelato rivelandoci a noi stessi in Gesù in questa modalità l’essere servi non equivale a schiavitù, ma ad assumere il sacrificio di me stesso come mia piena realizzazione. E’ questa che chiamiamo conversione della mente.
Facciamo allora attenzione ai nostri gesti di servizio: con quali atteggiamenti sono compiuti? Nascono dalla coscienza del mio essere figlio e dalla coscienza di essere stato servito anzitutto da Dio stesso?
Quando servo non ho paura di perdere la mia dignità, non ho paura di perdere il mio tempo. E’ questa una grande liberazione interiore: libero di donarmi senza aspettative e ricompense. Libero di fronte agli altri e alle cose: tutto mi è già stato donato.
Signore della vita
La mente convertita in questa direzione scopre un’altra grande verità: Dio è Signore della mia vita: la mia vita è nelle mani di Dio, da lui la ricevo istante per istante.
Se Dio è Signore della vita non esiste più l’assurdo, ma tutto acquista un senso, un valore. Tutti gli eventi sono espressione della sua paternità, della sua provvidenza che mi ha creato e che manifesta continuamente il suo amore. Colgo la mia vita come un dono di amore: un mistero che mi si apre dinanzi perché non potrò mai comprendere perché Dio abbia voluto proprio me, così, perché mi chiami a condividere la sua ricchezza d’essere. E’ un mistero di benevolenza e di grazia.
Questa nostra mente abbandona la pretesa di capire tutto e spiegare tutto, si apre invece alla gratuità del mistero, non conquista la verità ma ne è conquistata: si apre allo stupore e all’abbandono.
Guarigione della memoria
Anche la memoria è chiamata a convertirsi. Non è un solo contenitore di dati, una facoltà passiva. Essa diviene capace di fare memoria, ossia diviene attiva e dinamica; aiuta la mente a capire e a credere attraverso il suo ricordare, nel suo illuminare e collegare episodi e situazioni, nel constatare una costante presenza provvidenziale nella nostra vita.
E’ quella che in teologia viene chiamata la memoria biblica: “ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto…” (Dt 8,2). L’israelita crede perché i suoi occhi hanno visto (Dt 11,3-7), i suoi padri gli hanno raccontato (Dt 32,7), perché aveva sperimentato e provato (Dt 8,3). Crede non attraverso elucubrazioni filosofiche o teologiche ma per l’evidenza dei fatti vissuti da lui e dai suoi padri. I fatti l’ebreo li celebrava, ne faceva memoria: un memoriale proiettato verso il futuro. Quando la fede si fa memoria, significa che è divenuta fede molto personale calata nella vita. Quando quest’aspetto manca la fede rimane ancora troppo fede astratta, astorica, senza cuore. Non bisogna perdere la memoria! Si tratta di una vera e propria “guarigione della memoria”. Troppo spesso la nostra memoria è labile, malata, confusa, parziale… Memoria guarita è memoria attenta, che conserva ciò che i suoi occhi hanno visto e le sue mani hanno toccato. E’ una memoria che “racconta”.
Esiste in noi una memoria affettiva che è segnata da certe esperienze emotive, e che viene riattivata quando viviamo esperienze simili o analoghe. C’è da augurarsi che nella nostra memoria affettiva venga incisa l’esperienza della paternità di Dio.
“Con tutta la mente”
Cogliere quel nesso logico e provvidenziale che lega tra loro armonicamente tutti gli eventi del vivere, vuol dire… non aver più paura della vita, non essere più assaliti dalla preoccupazione di programmare e prevedere, calcolare e controllare, dall’apprensione di difendersi, si è invece in qualche modo al di sopra di tutte queste schiavitù interiori. E’ liberarsi da quell’insicurezza che ci fa sentire così importanti, come se tutto dipendesse da noi. Preoccupati della nostra vita spirituale o di tante altre realtà terrene. Il Padre ci vuole figli non superuomini, servi inutili non protagonisti della salvezza.
Quando si è preoccupati troppo d’avere sempre tutto e di non mancare di nulla temendo il disagio della privazione, allora è dubbio che io possa vivere e testimoniare la provvidenza del padre e la sua signoria sulla vita. Essere servi del Signore della vita comporta libertà dalle cose e da se stessi, dalle preoccupazioni materiali e spirituali. Conversione intellettuale è questa libertà che permette un impegno totale per il regno: “Cercate prima il regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. Questa conversione è ricerca “con tutta la mente” di quella trama salvifica, invisibile, che rende il cammino di ciascuno una storia sacra. E’ una visione spirituale, nello Spirito, che sperimenta-ricorda-comprende-fa ipotesi-discerne spiritualmente. L’operazione mentale è accompagnata dalla fede e genera fede. Una mente che crede che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).