L’ITINERARIO di PAOLO della CROCE
a cura di p. attilio franco fabris
cfr E. Zoffoli, San Paolo della Croce, pp. 174-238
Paolo della Croce , inserendosi in una tradizione che fa riferimento al Taulero, alla scuola Carmelitana e a Francesco di Sales, propone nella sua direzione spirituale un cammino che potremmo definire, in analogia all’opera giovannicruciana, la Salita al Monte Calvario. Esso si attua in diverse fasi, che vanno però considerate come interagenti e simultaneamente elevantisi, a mo’ dispirale, verso la meta: questa è la conformità al puro patire d’amore del Crocifisso in obbedienza al Padre. Una meta certamente ardua, essa “da le vertigini” ad osservarla con occhi puramente umani tanto essa è azzardata ed esigente. Questo cammino è reso possibile solo se già alla partenza si è corredati da purità d’intenzione, dal desiderio di amare, dalla discrezione e dal fiducioso abbandono alle mani di Dio, il “divino artefice” di questo avanzare.
Esso si articola in tre grandi fasi: la morte mistica, la divina rinascita, la vita nuova.
Ci lasciamo accompagnare dalle sue stesse espressioni.
LA MORTE MISTICA
Questa prima fase è interiore, determinata soprattutto da uno sforzo ascetico personale progressivo, discreto sotto la sguardo prudente della propria guida spirrituale. Essa tende ad eliminare tutto ciò che nell’uomo – in seguito al peccato originale e ai peccati personali – contrasta con il piano di Dio che ne vuole la più alta santità attraverso una partecipazione alla Passione.
“Eliminare” significa “riprovare il peccato” con la penitenza, e quindi correggersi, emendarsi vale a dire “morire a se stessi” in tutto ciò che di non-autentico – quindi di falso, ridicolo, umiliante – ciascuno scopre in sé ma alla luce sempre di Dio.
Da notare come Paolo insiste che ciò che deve presidiare questa fase deve essere sempre l’energia della grazia (la caritas).
Sono tre le tappe attraverso cui l’anima giunge a questa morte mistica in sé.
A. Morire al mondo esterno
Significa liberarsi dall’affetto disordinato verso i beni sensibili. Si tratta di rinunciare alle ricchezze, agli affetti disordinati, ai comodi e ai piaceri della vita in vista di beni più grandi: L’amor di Dio è geloso: un granello di affetto non ordinato delle creature basta a rovinar tutto… stia attentissima di non lasciare attaccare il suo spirito a cosa veruna creata, e procuri sempre più di staccarsi da tutti e da tutto, compiacendosi solamente di far la volontà di Dio in un nudo penare senza cercare conforto da nessuno.
Paolo insiste anche sul coltivare per arrivare a ciò la solitudine interna ed esterna, che simbolo di nascondimento, distacco e riserbo, aiuta a morire a tutto ciò che non è Dio: sola, sola: Dio e non più. Oh sacro deserto! Oh divina solitudine, in cui l’anima, astratta da tutto il temporale, si perde tutta nell’eterno infinito Bene… L’anima ricordi che mai abbastanza troncherà.
B. Morire a se stessi
Non basta morire al mondo esterno, anche perché se non ben inteso potrebbe suggerire la diabolica illusione di autonomia e autosufficienza, allontando di molto da Dio. Paolo della Croce perciò fa comprendere l’urgenza di interiorizzare il processo di morte, fino a raggiungere la regione più occulta e gelosa della persona umana e colpire la vera radice di ogni male che allontana da Dio. Il cammino qui si fa in discesa, al centro di sé stessi: la cognizione di se stesso, delle proprie miserie, del proprio essere nulla, nulla potere, nulla sapere, è il fondamento su cui innalzare si deve la fabbrica delle virtù e della nostra perfezione…
Ma sempre e solo sotto lo sguardo di Dio, se ciò non fosse lo spirito sarebbe indotto alla disperazione: sia fedele principalmente nel rinnegamento di sé, nel proprio disprezzo, nello starsene in un continuo annichilamento avanti a Dio. Sei quella che non sei! disse Dio ad un’anima grande, ed io sono colui che sono! Ego sum! Oh che nobile esercizio è mai questo di annichilirsi davanti a Dio in pura fede, senza immagini.
C. Morire a tutto il divino
Dio viene colto come propria e unica Origine, è lui la Meta più desiderata verso la quale dirigersi. E per raggiungerla l’anima deve giungere a rinunziare anche a quel divino che, per quanto in sé degno e sublime, non è però lo stesso Dio colto secondo lo spirito e la verità. Qui s.Paolo fa riferimento alle consolazioni, alle grazie e gioie spirituali che potrebbero attirare l’anima bloccandola però alle sole consolazioni di Dio, evitandole la tensione verso il Dio delle consolazioni: perciò Dio ai suoi servi legge due lezioni al giorno: d’afflizione e di ristoro. In altri termini non rimiri né si attacchi ai doni per non perdere di vista mai il sovrano Donatore.
A ciò si arriva tramite progressive purificazioni: il “nascosto tesoro” delle aridità, delle notti del senso e dello spirito: Quando, quando saremo morti a tutto per vivere solo al nostro Dio?… Oh morte preziosa, più desiderabile della vita! Morte che ci rendi divini, perché tutti trasformati in Dio per amore! Orsù, aspiriamo a questa morte a tutto il creato! Ma per morire vi bisogna patire molti dolori: chi puol mai esprimere i dolori che patiscono quei che muiono della morte corporale? Basta dire che sono tanti e sì grandi che fanno licenziare l’anima dal corpo. Così, in certo qual modo di dire, succede ai servi di Dio che muiono a tutte le consolazioni. Oh che desolazioni biosgna patire! Che aridità! Che malinconia! Che oscurità di mente! Che timore d’inganni! Che affanni per gli abbandonamenti, che pare alla’anima abbia perso Dio! Tutte queste sono disposizioni e mezzi per morire a tutte le creature e vivere solo a Dio e per Iddio…
All’anima in questa fase di prova e purificazione si richiede fiducia, abbandono, perseveranza, umiltà e silenzio. Questa fase di segreta crocifissione interiore è già una prima partecipazione al mistero pasquale di Cristo. Essa infatti ha senso solo alla sua luce, allora l’anima può godere di stare sulla croce ma con Gesù Cristo.
LA MISTICA RINASCITA
Dato che la “morte mistica” non è mai definitiva né la “nuova vita” è mai perfetta, la “mistica rinascita” rappresenta una fase che si ripete, a mo’ di spirale, a livelli sempre più alti, secondo che l’azione della Grazia si fa più profonda e l’anima vi aderisce con docilità sempre più incondizionata.
A. Il Verbo nell’anima e l’anima nel verbo
Solo se il Verbo nasce, è possibile alla creatura una rinascita in lui e per lui. La nostra filiazione divina è resa possibile solo nel Figlio. Il Verbo rinasce infinite volte nell’anima allo scopo di parteciparla alla sua filiazione: Stia ben chiusa nel suo interno con profondissima cognizione dell’orribile suo nulla, ché in tal forma si celebrerà nel suo spirito la divina natività del Verbo divino umanato nel silenzio della notte della santa fede e del santo amore. Alla rinascita del Verbo, e siamo nella mistica giovannea della mutua reciprocità, nell’anima corrisponde un’effettiva rinascita dell’anima nel Verbo: Ogni volta che l’anima si raccoglie tutta in Dio, nel tempio interno del suo spirito, rinasce a nuova vita d’amore nel divin Verbo Cristo Gesù… celebri il santo Natale nell’interno del suo cuore dove il dolce Gesù nascerà spiritualmente e lei rinascerà a nuova vita d’amore in esso.
B. L’anima rinasce “dentro di sé in Dio”
Quale il luogo dove si svolge la mistica rinascita? La risposta del santo è chiara: Voi sapete per fede che Dio è tutto in voi e voi tutta in Dio, e più siete in Dio che in voi stessa. Se Dio dunque è nell’anima dove il Padre genera il Verbo, e se l’anima è in Dio, dove essa è rigenerata, ne consegue che “luogo” è sia l’anima per Dio che Dio per l’anima: Oh fortunata l’anima che, ben purgata da’ vizi, astratta da ogni cosa creata e in un profondo annichilamento, se ne sta nella santa divina solitudine con profondo raccogliemento interiore, poiché in tal deserto riposa in sinu Patris e rinasce ogni momento nel divin Verbo a nuova vita di santo amore, a vita divina.
L’incontro con Dio e l’anima è il risultato della libera iniziativa di Dio che si dona, e della docilità e disponibilità dell’uomo che lo riceve in pura fede esso progredendo assume i caratteri di una compenetrazione: Dio in voi e voi in Dio… Dio si ciba dirò così, che non ho termini, Dio si ciba del vostro spirito e il vostro spirito si ciba dello spirito di Dio… Dio tutta vi penetra e voi tutta in Dio. L’anima allora si lascerà “incenerire” dal fuoco d’amore, si “scioglierà” come un granello di cera per la “gloria del Sommo Bene Iddio”.
Così l’anima viene da lui paragonata al “romitorio” dove Dio si ritira, il suo “monastero”, è la “stalletta interiore”, un “giardino” da tenersi pulito netto e ornato di virtù. Ma è soprattutto il “tempio interiore” dove bisogna adorare l’Altissimo in spirito e verità.
C.”In pura fede e santo amore”
La mistica rinascita comporta non solo l’eliminazione di ciò che ostacola la perfezione della vita divina, bensì anche il cominciare a “parteciparla” in pura fede e santo amore. E’ questa una fase che configura alla vita del Risorto.
Occorre “pura fede” perché in questo nostro tempo non si dà altra partecipazione alla luce del verbo che nelle tenebre della fede ove Iddio tiene il suo trono in una luce inacessibile. Per accedere a Dio bisogna che l’anima entri in questa nube oscura della non conoscenza: bisogna umiliarsi, annichilirsi ed abissarsi nello stesso nulla, spogliandosi affatto di tutte le immagini delle creature, e poi, in pura fede, abissarsi tutta in Dio, ed ivi riposarsi nel suo seno divino, ma senza nessuna immaginativa, perché Dio non cade sotto immagini, perché è uno spirito puirissimo e semplicissimo, abisso senza fondo d’infinite perfezioni! Oh fede oscura, guida sicura del santo amore! Oh qual dolcezza la tua certezza mi reca al cuore.
Il dinamismo per perseverare in questa fede oscura è dato dall’amore frutto dello Spirito, missione invisibile del Verbo. E’ la caritas dunque che, come partecipazione dello Spirito del Figlio, realizza in grado eminente la “mistica divina natività” nel seno del Padre: Con sentimenti di totale annientamento e spogliamenbto si butti con ogni fiducia in quell’abisso d’ogni bene, e lasci la cura a quell’infinita bontà di fare la sua divina operazione nell’anima sua, cioè di trapassarla coi raggi della sua divina luce, di trasformarla tutta in sé per amore, di farla vivere del suo divinissimo Spirito, di farla vivere vita d’amore, vita divina, vita santa.
LA VITA NUOVA
La nuova vita inizia dal primo istante in cui l’anima, cedendo alla Grazia che la previene, muore a se stessa e rinasce nel Cristo. Vita che si evolve nella misura in cui la morte si fa più totale, per cui anche la rinascita avviene ad un livello sempre più alto di conformazione al Risorto.
Quando Paolo della Croce allude ad una vita nuova allude ad una vita talmente esuberante nell’amore che, raggiunti livelli sempre più alti, rende partecipi della stessa opera stupenda del divino amore che è la Passione. Vertice dunque del cammino non è una vita nuova che vede l’anima finalmente unita a Dio, ma il vertice si apre ad una com-passione con il Cristo che continua a soffrire nelle sue membra. L’anima porta a compimento ciò che manca ai patimenti di Cristo. S. Paolo della Croce addita una meta ancora più “vertiginosa” che s. Giovanni della Croce nella sua Salita al Monte Carmelo.
A. Dialogo con Dio
La nuova vita trova il suo normale e diretto orientamento nel dialogo con Dio che si attua nella preghiera liturgica e in quella personale: in questa l’anima farà attenzione, dopo gli sforzi dell’iniziazione a secondare gl’impulsi dello Spirito santo e a lasciarsi guidare come vuole sua Divina Maestà.
L’oggetto privilegiato per giungere a questa contemplazione è Dio Uno-Trino raggiunto attraverso la Passione quale sua rivelazione più estasiante, via sicura e porta che conduce all’intima unione con Dio.
Paolo della Croce, per dua diretta esperienza mistica, non tralascia di sottolineare costantemente che la “via” è l’Uomo Cristo Gesù, Mediatore universale. Egli è certo che non si puole passare alla contemplazione della Divinità infinitissima ed immensissima, senza entrare per la porta dell’Umanità divinissima del Salvatore. E l’Umanità del Salvatore non contemplata nella sua gloria e potenza, ma nella umiliazione e sofferenza della Passione, perchè questa è l’opera più grande e stupenda del divino amore.
Ora questa contemplazione dell’opera stupenda del divino amore non può lasciare indifferente l’anima: sarà una contemplazione dolorosa e amorosa nello stesso tempo.
Qui si inserisce un ulteriore passaggio. L’anima che contempla l’Amore crocifisso viene spinta dallo Spirito a conformarsi partecipandovi attivamente a tale amore, il che significa donarsi agli altri fino a realizzare la misura indicata dal “comandamento nuovo”, ovvero fino ad amare il prossimo non solo “come se stessi”, bensì “come il Cristo” è giunto ad amarlo. Si supera ogni modo umano di intendere l’amore.
Si condivide la sua passione che, in lui unico Giusto, assume il carattere di riparazione per gli altri. Sarà una com-passione animata dallo stesso amore del Figlio – e di Maria – per il Padre e i fratelli; amore che, raggiunta la perfezione, come procura la pena più crudele per l’offesa di Dio, così rende sensibili in modo terribilmente angoscioso alla sorte infelice del mondo. E’ questa la vetta della Salita al Calvario in cui si trova il purissimo patire senza conforto né dal Cielo né dalla terra… Sento che siete spogliata d’ogni sollievo e ne ringrazio Dio benedetto, perché ora vi assomigliate più allo Sposo divino, abbandonato da ogni conforto mentre stava moribondo in croce; ma in tale abbandono fece il gran sacrificio e lo perfezionò con l’ultime parole che disse, e furono: Padre, nelle vostre mani raccomando il mio spirito. E ciò detto spirò l’anima sua santissima nelle mani dell’eterno Padre, e compì l’opera dell’umana redenzione. Così fate voi.
Si tratta di una “morte mistica” diversa dalla prima di carattere ascetico: si tratta di una morte riparatrice aperta al mondo. Si fanno propri i patimenti di Cristo.
Questa unione trasformante non segna il termine del cammino, ma è un nuovo avvio ad una serie di pene interne ed esterne, destinate a conferire il massimo contenuto a quella vita nuova d’amore che in conformità al crocifisso, avanza verso la desolazione del puro patire senza conforto. E’ la sequela perfetta.
Paolo della Croce propone un cammino spirituale estremamente esigente compiuto ai piedi della croce, che ha per meta lo stesso Calvario di Cristo. Se si tiene indelebilmente scritta nel cuore la santissima vita, passione e morte del dolcissimo Gesù, sacrificato sul Calvario per la redenzione del mondo, non può non orientare il pellegrino verso questa sublime esperienza. E’ questo il fare Memoria Passionis