“Stabat”
Gv 19,25-27
di p. R. Cantalamessa
Maria la “pura agnella”
Come Cristo nel Getsemani e sulla croce così Maria ha bevuto anch’essa il calice della passione. Era accanto a Cristo in quelle ore di tormento: ha visto tutto, ha udito tutto… Sue sono le parole di Geremia: “O voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore” (Lam 1,12).
Sotto la croce sono menzionate quattro donne. Tutte sono raccolte ai piedi del patibolo. Maria non era dunque sola, tuttavia ella è lì come “sua madre”: è una situazione totalmente diversa dalle altre donne. E’ il dolore della madre che si vede strappare l’unico figlio. Come ha vissuto Maria quelle ore di agonia accanto al Figlio?
Di Maria non ci sono riferiti grida o lamenti, come quelli delle donne che accompagnano il corteo dei condannati (Lc 23,27). La presenza di Maria sotto la croce è avvolta da un profondissimo silenzio: le parole non bastano più, ora sono superflue.
Maria fu tentata in quel momento nella fede? Lo fu come Gesù stesso fu tentato nel deserto. Una tentazione profondissima e dolorosissima perché aveva come motivo proprio il Figlio depositario di tutte le promesse.
In quelle ore vede Gesù che non fa nulla. Liberando se stesso libererebbe anche lei da quel straziante dolore: ma non lo fa. Ma Maria non grida come tutti gli altri: “Scendi dalla croce; salva te stesso e me”! oppure: “Hai salvato gli altri, perché non salvi te stesso figlio mio?”. Non si sarà affacciato questo pensiero al suo cuore di madre?
In quelle ore Maria sta accanto all’Agnello, come “pura agnella” (autore del III sec). Si unisce al sacrificio di Cristo, nella fede si abbandona alla volontà del Padre seppur così incomprensibile: “Anche la beata Vergine ha avanzato nel cammino della fede e gha conservato fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta, soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei stessa generata” (LG 58).
Capiamo allora come Maria non sta “presso la croce” di Gesù solo in senso fisico, ma soprattutto in senso spirituale..
Era unita alla croce di Cristo. Soffriva nel suo cuore quello che il Figlio soffriva nella sua carne. Si realizzano in profondità le parole profetiche del vecchio Simeone: “Una spada trapasserà la tua anima e renderà manifesti i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35). Anche il cuore di Maria viene trafitto e svelato dal mistero della croce!
Se a Cana Gesù dice: “Che c’è tra me e te, o donna, non è giunta ancora la mia ora” (Gv 2,4), sul Calvario l’”ora” è giunta, e lì c’è la Madre: tra loro un’intimissima comunione di sguardo, di fede, di amore, di sofferenza. Gesù è consolato dalla presenza della Madre e su di lei fissa lo sguardo per trovare forza. Quale mistero in quegli occhi che si incrociano?
Sul calvario Gesù e Maria divengono una cosa sola: portano insieme il peso del dolore e del peccato del mondo. Gesù direttamente in quanto vittima di espiazione per i peccati di tutto il mondo, Maria indirettamente per la duplice unione, carnale e spirituale, con il Figlio.
Insieme adorano la volontà misteriosa del Padre: Maria segue Gesù nella sua offerta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 22,46).
A lei viene chiesto un passo difficile: quello di perdonare. E’ Gesù che la invita a questo quando dice: “Padre perdonali, non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Capì in quel momento che il Padre le chiedeva di fare la medesima cosa. E la fece: perdonò gli uccisori del Figlio.
Stare presso la croce di Gesù
Maria è figura e specchio della Chiesa e di ogni anima credente.
Nella “notizia” della sua presenza ai piedi della croce è contenuta una “parenesi”. Quello che avvenne quel giorno indica quello che deve avvenire ogni giorno: bisogna stare accanto a Maria presso la croce di Gesù, come ci stette il discepolo che egli amava.
Facciamo attenzione a due aspetti della frase:
primo: bisogna stare “accanto alla croce”
secondo: “di Gesù”.
Anzitutto ci viene detto che la cosa più importante da fare non è stare presso la croce “in genere”, ma stare presso la croce di Gesù. Non basta perciò stare presso la croce, cioè nella sofferenza, magari in modo eroico e silenzioso. L’aspetto decisivo è stare presso la croce “di Gesù”: perché ciò che conta e salva è la sua croce.
E’ qui tutta la forza e fecondità della Chiesa e di ogni credente.
Ciò significa entrare in un modo diverso di guardare la vita, il mondo, la gioia, il dolore, la sofferenza. La croce invita ad una conversione perché indica una strada che apparentemente è stoltezza e debolezza mentre in Dio essa è sapienza e forza.
Qual è il segno e la prova che si crede realmente nella croce di Cristo, che “la parola della croce” non è, appunto, solo una parola, cioè un principio astratto, una bella teologia o ideologia, ma che è veramente croce? Il segno e la prova è prendere la propria croce e andare dietro a Gesù (Mc 8,34).
È fare della propria vita “un sacrificio vivente”, accettando e ricercando la croce come partecipazione al mistero pasquale.
La nostra partecipazione alla passione di Cristo non è ovviamente da porsi sullo stesso piano di quella stessa del Signore. Ma di accogliere il fatto che la fede va unita alla opere altrimenti è morta (Gc 2,14s).
La fede stessa passando attraverso la croce viene sempre più purificata e autenticata.
La nostra croce in se stessa non è salvezza, né potenza né sapienza: per se stessa è pura opera umana, o addirittura castigo. Ma diviene potenza e sapienza di Dio in quanto ci unisce alla croce di Cristo non in modo intellettuale, spiritualistico o intimistico: ma in modo “carnale”. Entro “nello spessore della croce” con tutto me stesso.