LA DIREZIONE SPIRITUALE
di p, Attilio Franco Fabris
– I –
UNA VELOCE PANORAMICA STORICA
Il termine “direzione spirituale” appare solamente verso il XVI-XVII sec. per indicare una forma istituzionalizzata di aiuto spirituale.
Ma per comprenderne il profondo significato occorre andare molto all’indietro nei secoli onde voler scoprire le principali e diverse forme di “direzione»” che hanno trovato posto lungo la storia della spiritualità cristiana.
Se dovessimo cercare in queste antiche e nuove forme un denominatore comune quella che potrebbe rappresentare l’archetipo di tutte dovremmo ricercarla nel rapporto maestro/discepolo o padre/figlio.
Ma anche nel caso del rapporto maestro/discepolo, per comprenderne lo specifico significato bisogna riandare al contesto culturale originario, ben diverso dal nostro; contesto in cui la trasmissione del sapere non avveniva tramite libri o computer (formazione nella quale d’altronde trova sottolineatura solo la dimensione intellettuale), bensì tramite un insegnamento orale e ancor più la testimonianza esemplare.
Lo scopo era infatti trasmettere quella particolare ed eccelsa forma di sapere che è la «sapienza della vita»: ciò che il padre/maestro aveva a cuore era la formazione globale del discepolo/figlio.
Anche nel caso il maestro dovesse trasmettere un insegnamento dogmatico la sua funzione non era ristretta all’essere semplicemente dottore: ma nell’essere maestro di vita (così l’”abbà” del deserto, lo staretz russo, il guru indiano, lo shaikh dell’islamismo).
L’influenza del maestro non è data perciò solo e anzitutto dalla parola e dalla scienza, ma soprattutto con l’esemplarità della vita con la sua sapienza ed è questo ciò che il discepolo ricercava nel maestro.
NELL’ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO
Nella tradizione biblica il Rabbî è il maestro spirituale. Già attorno ai profeti di svilupparono vere e proprie scuole formate da discepoli (cfr. Is 8,16). Troviamo nell’ambito scritturistico anche la figura dei «saggi d’Israele»: essi si rivolgono ai discepoli come da padri a figli, al fine di insegnare loro la sapienza. Questi saggi non si sostituiscono alla rivelazione scritta, ma ne indicano l’applicazione concreta nella molteplicità delle situazioni (cfr. Is 50,4).
Nel Nuovo Testamento, Gesù si presenta come Rabbî con dei discepoli (Talmudim). I Vangeli ce lo presentano come Maestro autorevole che chiama liberamente a porsi alla sua sequela.
Gesù sceglie i dodici affinché stiano con lui e condividano con lui la missione: tra maestro e discepolo troviamo dunque una comunione di vita.
Ai dodici Gesù domanda fiducia e disponibilità e soprattutto umiltà (cfr. Mt 11,25-27).
NELLA CHIESA POST-PASQUALE
Soprattutto nelle lettere paoline appare una profonda coscienza della paternità spirituale che si colloca e si fonda nella linea della paternità di Dio.
Troviamo spesso Paolo che si rivolge ai cristiani delle comunità da lui fondate chiamandoli “figlioli”. Egli afferma che da parte sua vi è stato un parto di dolore finché non si formasse in essi Cristo (cfr. Gal 4,19).
Scopriamo così un aspetto fondamentale della direzione spirituale ovvero che la paternità spirituale si situa nella chiesa come partecipazione alla paternità divina: l’autorità del «padre» nella fede dunque non gli appartiene, ma gli viene affidata da un carisma dello Spirito, carisma che è vissuto all’interno della comunità ed è ad essa riferito.
NEL MONACHESIMO
Fin dalle origini della vita monastica, come è testimoniato ad esempio dai Detti dei Padri, viene raccomandata al discepolo l’apertura della coscienza all’Abbà, al padre del monastero o al monaco a cui si è stati affidati (s. Basilio nelle Regole ricorderà “quelli che sono incaricati di sorreggere con misericordia e con comprensione i fratelli più deboli”).
Solo una sincera apertura del cuore permette di discernere l’opera di Dio nella propria esperienza spirituale con l’aiuto dell’Abba.
Ma se nell’oriente monastico tale disciplina fu sempre tenuta in grande considerazione non così in Occidente in cui tale prassi venne sempre più a diluirsi in quanto spesso sostituita da varie altre istituzioni: noviziato, capitolo delle colpe, conferenze…
Gli ordini itineranti e mendicanti vennero ancor più a togliere spazio alla direzione spirituale personalizzata e di carattere psico-spirituale.
IL PERIODO DELLA RIFORMA: L’ISTITUZIONALIZZAZIONE
Nel XVI secolo grande importanza e spazio nella vita spirituale inizia ad essere data alla pratica dell’orazione mentale. In tale prassi viene ad evidenziarsi sempre più la necessità di una iniziazione e di un costante controllo. Scriveva s. Teresa d’Avila: “Io ritengo per certo che un’anima di orazione che tratti con uomini dotti, non verrà mai ingannata dal demonio, a meno che non lo voglia lei stessa” (Vita).
Compito del direttore di spirito è perciò offrire sicurezza all’anima che ha intrapreso la vita spirituale facendole intravedere onde evitarli tutti i possibili pericoli.
Ancora nel ‘500 nasce ad opera di Ignazio di Loyola la prassi degli “Esercizi Spirituali” che richiedono una forma specifica di accompagnamento e di direzione.
Qui il compito del direttore è di guidare l’esercitante alla ricerca della volontà di Dio su di lui, proponendo le meditazioni e discernendo i vari moti dell’anima (consolazioni, desolazioni….) che vengono a mano a mano ad emergere.
Allargandosi la pratica degli esercizi spirituali, i responsabili della formazione dei sacerdoti e gli educatori dei giovani nei vari collegi si preoccupano di includere nel loro programma anche la formazione spirituale individuale, che viene così ad trovarsi estesa a fasce sempre più larghe di individui.
UN PRIMO APPROCCIO AL TEMA
La direzione spirituale è un tema vastissimo nell’ambito della spiritualità in quanto interessa diversi ambiti e discipline.
COME AFFRONTARE IL TEMA
Possiamo partire prendendo in considerazione due prospettive presenti nella pastorale di oggi. Esse possono apparire di primo acchito in contraddizione, mentre in realtà sono complementari.
Da un lato troviamo una giusta valorizzazione della persona: vi è stata una riscoperta e riflessione sulla sua unicità, sulla sua dimensione storica…
Si è compreso che ciascuno deve essere accolto, riconosciuto, valorizzato nella sua individualità. Questa unicità non può essere sminuita da sistematizzazioni o direttive generiche.
Dall’altro lato evidenziamo l’esistenza della valorizzazione della comunità: in questo caso si è giunti alla consapevolezza che l’individuo non può esistere da solo, ha bisogno degli altri. Deve far parte di un gruppo per poter crescere e camminare. «Nessun uomo è un’isola» affermava Thomas Merton.
Queste due istanze hanno fatto sì che la direzione spirituale fosse contestata in quanto sembrerebbe un impedimento per lo sviluppo di entrambe le prospettive.
Ma a questa prima contestazione oggi forse è subentrata una ulteriore fase che è la trascuratezza: fare un cammino di direzione o no è irrilevante! Sembra non esservi più una tensione al miglioramento e alla crescita del proprio cammino spirituale. Le energie sono tutte incanalate nella direzione delle attività e dell’apostolato.
CONTORNI E ORIZZONTI GENERALI
Evidenziamo ancora alcune difficoltà che vengono poste alla prassi della Direzione Spirituale.
Anzitutto esistono difficoltà di tipo teorico:
La socializzazione: come già accennato la direzione spirituale è vista come retaggio di una mentalità e spiritualità individualistica ed elitaria. Ancor più si sente dire che oggi non ha senso spendere le energie per la pecora rimasta nel gregge e tralasciare le novantanove disperse.
Lo spirito comunitario: è sufficiente il gruppo per il cammino spirituale, è la condivisione, il dialogo che fa crescere ‘individuo.
Al massimo si può parlare di una direzione/assistenza spirituale per il gruppo.
Lo sviluppo della psicologia: lo psicologo sembra aver preso il posto del direttore e la psicanalisi quella della direzione. Non rare volte poi accade che i successi della psicoterapia siano effettivamente migliori di quelli della direzione spirituale.
Alcune linee teologiche emergenti: si sottolinea il ruolo della libertà e della coscienza adulta. Colui che si fa dirigere rischia di non crescere impedendosi di divenire adulto nella fede.
La dinamicità della vita spirituale: la vita nello Spirito è in definitiva un lasciarsi condurre dal maestro interiore. La spontaneità permette allo Spirito di agire in noi.
La direzione spirituale rischia di trasformarsi in una palla al piede, in un impedimento in quanto mortifica e la spontaneità e la libertà.
La direzione spirituale si ferma allo spirituale puro, mentre l’impegno di fede è diretto a un coinvolgimento anche nelle realtà terrene. La fede deve essere incarnata e non ristretta all’ambito delle “cose dell’anima”.
Queste sono alcune difficoltà teoriche alle quali se ne potrebbero certamente aggiungerne altre. Dietro queste asserzioni si rivela il più delle volte una errata concezione o una prassi sbagliata della direzione spirituale. Una vera comprensione della direzione spirituale risolve le difficoltà sopraddette.
Esistono poi difficoltà di ordine pratico:
La scarsezza dei direttori: ma occorre ricordare che non tutti sono adatti ad offrire una direzione spirituale per cui è meglio che talvolta venga posto da questi un rifiuto.
Ancora: il rifiuto del direttore potrebbe essere dato dalla presa di coscienza delle motivazioni e degli atteggiamenti negativi di colui che fa richiesta di essere accompagnato spiritualmente: potrebbero infatti esistere meccanismi di fuga, di delega, di ricerca di sicurezza; oppure chi fa richiesta di direzione tende a caricarla di attese indebite e sproporzionate, quasi magiche (come il più delle volte capita per sofferenze di tipo psicologico).
Esiste inoltre una prassi errata: molti pensano di fare direzione spirituale, ma si fermano ad un livello psicologico-umano, oppure a problemi morali, o giuridici disattendendo la vera funzione della direzione.
Offriamo perciò una prima chiarificazione: la direzione spirituale non è formalmente lavoro né da psicologi, né da moralisti, né da canonisti, né da sociologi, né da teologi, né da catechisti, né da evangelizzatori. Anche se è augurabile che il direttore spirituale abbia conoscenze basilari delle discipline umane e teologiche, non fosse altro per essere accorto nel non volerle e doverle usare.
– III –
NECESSITA’ DELLA DIREZIONE
La necessità della direzione spirituale emerge da un’attenta analisi della situazione in cui il cristiano soprattutto oggi si trova a vivere. Ne elenchiamo alcune ad esempio.
La complessità della vita e la complessità culturale:
Inevitabilmente essa genera conflitti, ansia, indecisione. Molti vivono situazioni di scoraggiamento e disorientamento. E’ evidente che chi vive il problema soprattutto in modo acuto domandi un aiuto, e chieda una guida nella sua ricerca.
La necessità di superare il soggettivismo selettivo e l’oggettivismo astratto:
Da un lato ci si rende conto del rischio di divenire schiavi della situazione e dall’altro di trasformarsi in schiavi della legge. Trovare un giusto equilibrio è difficile ed esige un accorto discernimento. Il confronto è indispensabile perché da soli è pressoché impossibile essere oggettivi nei propri confronti.
Il desiderio di significatività:
La domanda di senso è ciò che maggiormente tocca l’uomo di oggi. Essi soprattutto in momenti critici si impone alla coscienza. Ecco allora che la ricerca di un significato, di un perché nella e della vita ad un certo punto si impone nel cammino di una persona che desideri vivere in profondità.
Il passaggio dalla morale alla fede e l’incarnazione dei valori
Questo passaggio significa desiderare ad un certo punto operare il superamento dal «Ma che male c’è?», al «Come è meglio fare?». Ciò significa interrogarsi su come incarnare nel proprio quotidiano quei valori che si stanno scoprendo nel proprio cammino.
– IV –
NATURA E COMPITI DELLA DIREZIONE SPIRITUALE
La direzione spirituale in che cosa consiste? Che cosa è? Diamo una definizione:
La definizione insiste sulla funzione di discernimento che investe l’intero vissuto della direzione.
In questa definizione appare sottolineato come lo scopo della direzione spirituale è di far sì che si possa apprendere ad intuire la volontà di Dio nel concreto della propria vita apprendendone sempre di più il metodo.
Per questo la direzione spirituale è in fin dei conti una educazione alla maturità cristiana, una vera e propria pedagogia alla libertà e della libertà. (Diceva san Francesco di Sales: «“Scopo del direttore è far sì che il diretto impari a far meno del direttore”»!).
Vi è dunque la necessità nel contesto soprattutto della direzione spirituale e da ambe le parti di una docilità allo Spirito, un riconoscere la sua presenza e la sua azione. Non dimentichiamo: lo Spirito è il fulcro, l’attore, il soggetto principale, e la “vita spirituale” è il termine verso cui mirare.
Solo questo atteggiamento i fondo fa sì che si operi l’educazione alla pienezza della vita cristiana superamento la visione riduttiva di un impegno solo morale.
Il direttore accompagna nell’opera di discernimento, offre gli strumenti, indica un metodo, offre una presenza. Anche se questo non toglie che per arrivare all’ottimo si debba seguire un itinerario educativo progressivo.
– V –
LA RELAZIONE NELLA DIREZIONE SPIRITUALE
Potremmo porci altri interrogativi: che tipo di relazione si instaura nella direzione spirituale? Come inizia? Come si sviluppa? Quale è il “luogo” e “tempo” privilegiato? Quale il ruolo dei due partners?
E’ ovvio che la direzione spirituale possiede tutte le caratteristiche una relazione tra due persone. Occorre perciò interrogarci sui termini stessi che hanno lo scopo di esprimere tale relazione.
Essi sono numerosi. Quale il significato di questo fatto? Di certo che non si intende univocamente la relazione nella direzione spirituale, ma che essa viene ad essere interpretata, vissuta, sviluppata in molteplici modalità ed accentuazioni.
Infatti si parla ad esempio di:
– direzione spirituale / direttore / diretto
– paternità spirituale / padre spirituale / figlio spirituale
– Accompagna.
..
gia anche degli elementi negativi:
non è presente nell’ambito della rivelazione biblica.
Il termine “diretto” soprattutto può sembrare infelice: infatti dà l’idea che sia qualcun altro a spingere in una “direzione” preordinata, mentre abbiamo ben compreso come sia lo Spirito a dirigere, o meglio “attirare”, intendendo la funzione del “direttore” come una semplice mediazione.
I termini direttore/diretto indicano anche grammaticalmente una relazione in cui uno è attivo e l’altro passivo con la relativa possibilità di distorsione nell’intendere la direzione nella linea dell’autorità e dell’obbedienza.
Per intendere correttamente il termine “direzione” occorre ricordare che le persone coinvolte della relazione non sono due bensì tre. Infatti la presenza e l’azione dello Spirito Santo garantisce la libertà di colui che domanda aiuto ed impedisce la manipolazione da parte di colui che “dirige”.
Il direttore ha come compito il facilitare l’incontro tra diretto e Spirito Santo. In questo senso dovrebbe desiderare di rivivere l’esperienza spirituale e carismatica di Giovanni Battista, voce della Parola: “Lui deve crescere, io diminuire”.
Il diretto, da parte sua, deve porsi nell’atteggiamento dell’imparare ad accogliere con sempre maggior docilità la presenza e la funzione del direttore come mediazione della sua relazione con Do, ovvero sulla linea del “sacramento”.
Sarebbe evidentemente cattivo direttore colui che stesse al gioco del diretto che ricercasse in lui una forma di sicurezza, di delega della propria responsabilità, o peggio una dipendenza di tipo infantile.
PATERNITA’ SPIRITUALE: / PADRE SPIRITUALE / FIGLIO SPIRITUALE
L’interpretazione di tale schema sulla linea della relazione familiare comporta elementi positivi e negativi:
positivi:
– si tratta di una relazione di aiuto
– è inteso come un rapporto pedagogico
– evidenzia una componente affettiva e di donazione.
negativi:
– il padre nella relazione naturale ha vera autorità, realtà che non compete al paternità spirituale
– il termine padre oggi è compromesso dal clima culturale che tende, almeno inconsciamente, a cancellarlo.
– la possibilità di un vissuto del rapporto secondo transfert (questo da entrambe le parti)
– Gesù invita a non chiamare nessuno padre, in quanto vi è prioritariamente una relazione basilare di fratellanza tra i discepoli.
Ha senso leggere la relazione come “paternità” se essa viene vissuta e intesa come “sacramento” della relazione che si ha con il Padre celeste, e se è vissuta da entrambi come un rapporto di figliolanza dall’unico Padre e quindi di conseguenza di fratellanza.
ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE/ GUIDA SPIRITUALE / CONSIGLIERE
Tale terminologia è molto usata in questi ultimi anni.
Positivamente essa tende a restituire il giusto ruolo di protagonista a colui che ricorre all’aiuto spirituale.
Si sottolinea la dimensione dinamica della vita spirituale, il suo essere itinerario progressivo mai concluso per ambedue, guida e “guidato”. Entrambi sono chiamati a mettersi in cammino.
Il termine “consigliere” evidenzia soprattutto il carattere non impositore né autoritario della guida.
Richiama direttamente allo strumento privilegiato adottato nel rapporto che è il consiglio. Quest’ultimo richiede riflessione e interiorizzazione e quindi è ricevuto in piena libertà offrendosi alla responsabilità di chi lo riceve al fine di divenire principio di azione.
VI
IL COLLOQUIO E IL DIALOGO SPIRITUALE
E’ attraverso l’esperienza del colloquio interpersonale che principalmente si attua la pedagogia della direzione spirituale.
La modalità in cui il colloquio si svolge è il dialogo: dobbiamo ritrovare dunque nella direzione spirituale le linee e le leggi del dialogo che la riflessione filosofica, psicologica e pedagogica hanno sviluppato in questi ultimi decenni.
E’ importante operare una discriminazione anzitutto del vero dialogo dalla predica, dalla discussione, dalla conversazione.
La “predica”: il monologo sarebbe un tipo di direzione univoca e autoritaria, non vi è incontro ma solo offerta di contenuti da un lato e ricezione passiva dall’altro.
La conversazione: è uno scambio tra pari, vi è il rispetto dell’interlocutore. Il primo scopo è alimentare la relazione, i contenuti passano in secondo piano. Non si affrontano problematiche determinate.
La discussione: si muove sul piano della ricerca della verità oggettiva. Vi è comunicazione vicendevole di idee ed opinioni. L’interlocutore perciò passa in secondo piano.
Il dialogo: quest’ultimo tipo di confronto tra due persone cerca di armonizzare e integrare le esigenze di ordine logico e quelle di ordine psicologico, l’oggettività e la soggettività, in una ricerca della verità che deve trovare incarnazione nell’esistenza della persona.
Ovviamente la direzione spirituale si colloca nell’ambito della metodologia del dialogo, mentre non sarebbe possibile definire direzione spirituale quella che si riducesse ad essere predica, conversazione o discussione.
Il vero dialogo non è semplice da realizzare, anzi è difficile.
Esso richiede da un lato un’accoglienza incondizionata dell’altro e una autentica ricerca del vero e del bene dall’altro.
Si tratta di considerare la persona concreta con la sua storia, le sue ricchezze e i suoi limiti e, nel medesimo tempo, la verità verso cui tendere; intendendoli non come fattori contrapposti in cui uno debba necessariamente sopraffare l’altro, ma come due realtà necessariamente in continuo dialogo, in continua ricerca di integrazione per un inveramento reciproco.
CONTENUTI del DIALOGO
Il contenuto fondamentale della direzione spirituale si può sintetizzare nel fatto che a partire dall’esperienza passata, attraverso la presa di coscienza del vissuto presente, colui che intraprende il cammino della direzione deve discernere un orientamento per il suo futuro.
A. Passato
Considerare e prendere in esame il passato non significa fermarsi ad analizzare i problemi, ciò che interessa è arrivare a cogliere la persona come è e come si trova in questo preciso momento: questo punto ovviamente è frutto di tutto il passato.
Se la direzione spirituale dovesse ricercare l’origine ai problemi nel passato non sarebbe direzione spirituale, questo sarebbe competenza di una psicoanalisi.
La lettura del passato nella direzione spirituale è soprattutto sapienziale, ovvero come occasione per scoprire un cammino, un senso, una presenza.
B. Presente
La domanda a cui il diretto dovrebbe giungere a rispondere è: come si sta realizzando la mia vita spirituale oggi?
Questo significa educare ed educarsi a:
– cogliere i “fatti spirituali” dell’esistenza prendendo coscienza di tutto il proprio vissuto, interiore ed esteriore;
– saper descrivere e comunicare tali “fatti spirituali”. Molte persone li avvertono ma in modo confuso rimanendo perciò in balia del momento e dell’emotività. Oggettivando al contrario si ha a disposizione la possibilità di ordinare e costruire il proprio vissuto.
In tal senso se ne deduce come la direzione spirituale assuma il valore di una scuola privilegiata di comunicazione, comprensione e maturazione della fede.
– saper valutare rettamente la propria esperienza, operando su di essa un discernimento.
C. Futuro
L’analisi del passato e del presente è fatta in vista del futuro per sapersi sempre più orientare verso ciò che viene colto ed intuito come volontà di Dio
Da un punto di vista concreto quali tematiche dovrebbero essere affrontate?
Diamo qui una possibile struttura di contenuti:
– Conoscenza reciproca: ritratto della propria vita umana, familiare, sociale, ecc…; spesso, quando si inizia una direzione spirituale con una persona, ci si accorge molto bene se essa ne abbia già una certa pratica proprio dal fatto che spontaneamente espone e presenta un quadro generale della propria vita contestualizzandolo nell’ambiente in cui è chiamata a vivere.
– Stato psicologico generale (contento, arido, triste, euforico, consolato, desolato…? ) Soprattutto è importante arrivare a conoscere il “perché” e ad analizzare le motivazioni profonde.
– Stato di salute fisica
– Problemi relativi equilibrio affettivo (per esempio simpatie, antipatie, amicizia, relazioni, sessualità …)
– Problemi di rapporto e di adattamento con gli altri (nel mondo della famiglia, della scuola, del lavoro, del tempo libero e dei divertimento…)
– Idee e visioni su problemi generali della vita (come la pensi su… ?)
– Successi ed insuccessi nel lavoro, in famiglia, con gli amici…
– Difetti e tendenze interiori. Anche i peccati? Possono e non possono essere significativi.
– Esercizio delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità.
– Povertà, castità, obbedienza….
– Senso della persona umana, visione dell’uomo e senso del mistero.
– Modo di vedere Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, Maria, il regno…
– Disponibilità, spirito di sacrificio, abnegazione e mortificazioni
– Preghiera, Parola di Dio e Sacramenti: concetto, e pratica…
– Missionarietà, apostolato, testimonianza e servizio:
– Decisioni: dalle più semplici alle più impegnative…
In sostanza capiamo come tutto il vissuto personale considerato e analizzato in ordine alla santità e ad un cammino sempre più attento e preciso alla via del Signore.
Ripetiamo a mo’ di conclusione che la caratteristica fondamentale della direzione spirituale debba essere dinamica, ovvero intesa come itinerario, cammino, con delle tappe con una crescita, con inevitabili momenti di entusiasmo, di stanchezza, di conflitti.
Occorre da ambedue le parti accettare questa evoluzione che interessa la relazione stessa e le sue modalità.
Questo significherà ad esempio per il direttore accettare che più la crescita avviene meno si senta la necessità di una sua presenza costante come guida.
In sintesi: la maturità attende da entrambi determinati passaggi, con le rispettive esigenze.
– VII –
ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI
Quali le qualità, gli atteggiamenti richiesti al direttore spirituale e al diretto? Quale la formazione richiesta al direttore?
Iniziamo dal direttore spirituale, dicendo in primo luogo il detto classico: «Nessuno può dare ciò che non ha!»
– La Maturità spirituale:
Essa comporta una vita teologale intensa, la libertà interiore (ricordiamo che l’”indifferenza” è un requisito fondamentale per il discernimento), la coscienza della propria identità, una buona conoscenza di se stesso (proprie luci ed ombre), un buon equilibrio psicologico che dia la possibilità di una unificazione e pacificazione interiore.
– L’Attitudine alla ricerca:
Ovvero un desiderio reale di ricercare la verità (la volontà di Dio), una chiarezza di fondo circa il fine e i mezzi da perseguire, il possesso di una gerarchia di valori e di un sistema axiologico di cui avvalersi come criterio di discernimento.
– La Purificazione del cuore e la conversione:
Il che comporta una spinta continua al rinnovamento (non ha senso l’affermazione: “Tiriamo i remi in barca” o peggio “Lasciateci vivere e morire in pace”). Un buon direttore è sempre alla ricerca del “Come è meglio fare?”.
– Il Rapporto personale con Cristo:
La familiarità con Cristo e la sua Parola, la stima e l’esercizio costante della meditazione, l’adesione alla missione e alla sequela crucis, l’unione profonda sacramentale con Cristo presente nella Chiesa: tutto questo diviene alimento indispensabile alla vita spirituale e sorgente di fecondità.
– Il Senso ecclesiale:
Il vero discernimento si fa nella Chiesa. L’oggetto di discernimento non può essere qualcosa che vada contro la chiesa e il soggetto del discernimento deve sentirsi prima di tutto “parte” e “membro” della Chiesa.
Il direttore deve educare il diretto al vero “sentire con la Chiesa e nella Chiesa”.
– Il Senso del positivo:
Si richiede cioè forte capacità, da parte del direttore, di apprezzare e di far emergere la positività delle situazioni e del vissuto interiore. Non si tratta di ingenuità, ma di capacità di vedere l’azione e la presenza dello Spirito Santo sempre e ovunque.
Uno sguardo positivo che rimanda alla fiducia è condizione essenziale per la crescita autentica dell’altro.
– La Capacità di creare un clima di fede, di speranza e carità:
Solo tale clima infatti permette di porsi nei confronti di Dio in una giusta lunghezza d’onda.
– La Capacità di ascolto:
E’ un atteggiamento apparentemente facile, ma non si deve nascondere la sua reale fatica e difficoltà. Il vero ascolto deve coinvolgere l’intera persona (fisicamente, psicologicamente, affettivamente…). L’ascolto richiede soprattutto la disponibilità a lasciarsi “toccare” dal vissuto dell’altro (empatia) senza lasciarsene coinvolgere.
Il rapporto con l’altro esige lasciar entrare l’altro nella propria vita, concedendogli spazio, tempo, cuore, intelligenza, attenzione, affetto. Certo una tale disponibilità richiede sacrificio ed abnegazione al direttore, che soprattutto in tal atteggiamento dimostra la sua vera paternità.
Si tratta di un ascolto attivo (capacità di registrazione, rapida valutazione, capacità di distinguere il fatto dall’interpretazione, il saper interrogare…).
Solo un vero ascolto permette di percepire l’altro, il suo mistero, di intuire il suo vissuto e quindi poter saggiamente consigliare.
E ora passiamo agli atteggiamenti richiesti al diretto. Ne ricordiamo in modo particolare due:
– L’Apertura e la manifestazione della coscienza:
si tratta ovviamente della sincerità di fondo che è retta intenzione. E’ una premessa essenziale, perché senza sincerità non vi sarebbe verità e quindi autentica apertura alla volontà di Dio.
Si tratta anche di acquisire capacità di descrivere non solo i fatti esterni alla propria coscienza, ma anche e soprattutto i fatti interiori (disposizioni, desideri, mozioni, sentimenti…).
– La Disponibilità a lasciarsi mettere in discussione:
Se da parte del diretto vi fosse l’atteggiamento (implicito od esplicito) a voler confermare le proprie opinioni e scelte, non vi sarebbe nessuna capacità di aprirsi autenticamente alla volontà di Dio.
Gli antichi parlavano in questo senso di una imprescindibile umiltà nel vivere la realtà della direzione spirituale.
– VIII –
FORMAZIONE DEL DIRETTORE
Si richiedono tre tipi di formazione complementari:
la formazione antropologica: conoscenza della scienze umane (soprattutto psicologia e pedagogia)
la formazione teologica: conoscenza della teologia biblica e spirituale
la formazione spirituale esperienziale tramite la direzione ricevuta e data.
Il discernimento è arte o tecnica? A questa domanda credo si possa rispondere che fondamentalmente esso sia un dono , un carisma vero e proprio dato dallo Spirito per l’edificazione della Chiesa nei singoli credenti. Ciò non toglie che in certa misura tutti i cristiani lo hanno ricevuto in quanto tutti sono chiamati ad essere corresponsabili gli uni per gli altri.
Il fatto che sia carisma non esclude tuttavia che non sia esercitato con profitto soprattutto da chi possiede doti e capacità costitutive alla sua struttura personale e alla sua storia.
E’ di fondamentale importanza che colui che esercita la direzione abbia compiuto un lavoro su di sé a livello ascetico, spirituale, e possibilmente anche psicologico. E’ importante prima di presumere di aiutare gli altri l’umiltà del farsi aiutare ad essere sempre più trasparenti nei propri confronti.
– IX –
PROBLEMATICHE PARTICOLARI
LA SCELTA DEL DIRETTORE
Il direttore lo si sceglie. Certo è giusto che lo si indichi e proponga da parte dei responsabili, ma facendo attenzione che la persona si senta libera .
Il direttore deve essere maestro di scienza o di esperienza? L’ideale sarebbe che entrambi le doti si trovassero riassunte in una persona, ma è raro. Non sempre si può aver l’optimum.
In questo senso nella scelta occorre prendere in esame il punto del cammino in cui il diretto si trova: per gli incipienti infatti è più importante che si tratti di uomini di esperienza, mentre per chi più è avanzato può essere di maggior aiuto l’uomo di scienza (questa è l’esperienza ad esempio di s. Teresa d’Avila).
DIREZIONE SPIRITUALE E PSICOLOGIA
Sembra talvolta che la psicoterapia soppianti la direzione spirituale.
In primo luogo occorre riconoscere che una corretta psicologia che faccia sua la visione antropologica aperta ai valori della fede, rappresenta un reale aiuto allo sviluppo della persona in modo particolare se nel suo vissuto permangono aspetti conflittuali o addirittura nevrotici. Ricorrere ad essa è saggio se non addirittura doveroso.
Essa può essere vista come una opportunità di una pulizia/purificazione interiore, a tutto vantaggio di una successiva o concomitante direzione spirituale.
Per il cristiano la dimensione psicologica se pur importante non rappresenta tuttavia la sintesi del mistero della persona umana (la psiche non è l’anima!).
La crescita spirituale e lo sviluppo della vita cristiana non è frutto solo delle strutture psicologiche, ma sono iniziativa che nasce anzitutto da Dio, dalla presenza del suo Spirito in noi, il quale passa attraverso tali strutture e mediazioni.
In questa visione la psicologia rappresenta certamente un valido aiuto nella conoscenza dell’uomo e dei suoi dinamismi, ma non è lei ad offrire le motivazioni ultime dell’agire umano. E’ causa dispositiva ma non possiede efficienza causale (potremmo paragonarla alla necessaria e buona revisione dell’auto di tanto in tanto).
Quale relazione tra direzione spirituale e psicoterapia? Non mancano casi in cui si domanda alla guida spirituale la soluzione a problematiche che non sono di sua competenza. In questo caso i “clienti” caricano di significato spirituale e religioso problemi che sono di natura strettamente psicologica. Il direttore dovrebbe allora demandare allo psicologo.
In altri casi invece avviene che il ricorso alla psicologia rappresenti un approccio troppo riduzionistico della persona e delle sue problematiche: lo psicologo dovrebbe allora demandare al direttore spirituale.
La premessa essenziale è che non vi deve essere confusione, ma distinzione e quanto più possibile armonia.
In questo senso il lavoro del direttore non deve andare a scapito della psicoterapia e viceversa. (Nel caso apparisse una contraddizione insanabile nei due approcci il direttore inviti ad una scelta precisa). L’integrazione dei due aspetti è compito del diretto.
Il direttore deve appoggiare al massimo il lavoro dello psicoterapeuta e lo psicologo deve evitare di “smontare” il cliente dal punto di vista religioso. Occorre cercare di operare una distinzione dei piani: ovvero quanto ad esempio della visione religiosa del paziente sia da purificare e modificare e quanto invece da sostenere e potenziare.
LA DIREZIONE SPIRITUALE E IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
E’ bene che il direttore spirituale sia anche il confessore? E’ utile che la direzione spirituale avvenga all’interno della celebrazione del sacramento?
Risponderemo dicendo che non è sempre detto che sia meglio che il direttore spirituale svolga anche le funzioni di confessore abituale del “diretto”, non solo per motivi pratici (ad es. la distanza), ma anche per motivi legati alla diversità di funzione esercitate.
Certo non vi è nulla di contrario all’esercizio della direzione spirituale nell’ambito del sacramento della penitenza. Occorre tuttavia assicurare il clima adatto per i due momenti che non devono andare a discapito l’uno dell’altro, e ancora che siano salvaguardate le caratteristiche specifiche di entrambe.
DIREZIONE SPIRITUALE E SACERDOZIO
Ricordiamo che nei primi secoli la direzione spirituale era compito specifico dei monaci che erano dei laici. Quindi la direzione spirituale nasce nel contesto laicale e non ministeriale.
Questo ci aiuta a comprendere che la direzione spirituale non è appannaggio esclusivo dei sacerdoti.
Sarebbe ad esempio auspicabile la riscoperta del valore della direzione spirituale come servizio anche laicale ( ad esempio all’interno delle comunità femminili).
FREQUENZA E DURATA
Non si può dare una regola precisa, in quanto la frequenza e la durata variano a seconda delle persone e delle problematiche.
Tuttavia si può ricordare che essa non deve essere né troppo pressante (impedirebbe il lavoro personale) né troppo allentata (verrebbe a mancare la tensione).
E’ utile ricordare che invece è di fondamentale importanza la costanza, in modo che la richiesta non sia lasciata alla determinazione di desideri immediati che per lo più sono dettati o suggeriti da stati emozionali più che da obiettive necessità personali.
TESTI
Dal Catechismo degli Adulti, La verità vi farà liberi, nn. 934-5
“Il cammino, a parte vocazioni molto particolari, non deve essere solitario. I fratelli sono poveri come noi, ma sono cooperatori di Dio per la nostra santificazione. E’ importante l’inserimento in un gruppo di formazione, in una esperienza concreta di Chiesa. E’ prezioso, e almeno in alcuni momenti necessario, un consigliere o direttore spirituale. Si tratta di un educatore che, servendosi prevalentemente del dialogo, aiuta a discernere la volontà di Dio e a compierla. Viene scelto liberamente e mantenuto stabilmente, perché possa conoscere bene, consigliare con chiarezza, istruire, stimolare, correggere con gradualità. E’ preferibile che sia un sacerdote, anzi il confessore; ma può essere anche un’altra persona, purché abbia le qualità necessarie: pietà, zelo , umiltà, equilibrio, scienza, esperienza, bontà, disinteresse, riservatezza. Al consigliere spirituale si deve aprire il cuore con sincerità e fiducia. Le sue direttive vanno seguite con docilità. Infine il cammino spirituale per non rimanere velleitario, deve darsi un’appropriata disciplina. Contro la pigrizia e le eventuali crisi di scoraggiamento occorre seguire un programma di vita, realistico, commisurato alle proprie possibilità, flessibile, ma con alcuni punti fermi. Ognuno deve camminare con il suo passo, ma con perseveranza.”