GIOBBE: UN DIO MISCONOSCIUTO
E’ bene cominciare dallo scuro per poi vederci chiaro, poiché la troppa luce acceca.
Possiamo rappresentarci l’Antico testamento come il buio in cui inizia a delinearsi lentamente ma progressivamente all’orizzonte la luce, che risplenderà nella sua pienezza nel nuovo Testamento.
Il popolo fa esperienza di camminare nelle tenebre:
Is 9,1: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
Lc 1,78-79: grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace.
Gv 8,12: Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.
Rm 13,12: La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
La figura di Giobbe in questa esperienza di tenebre è di fondamentale importanza.
PALEONTOLOGIA DELLA RIVELAZIONE
Forse occorreva proprio domandarsi di quale fosse la relazione con Dio di un uomo pagano, che non ha conosciuto la rivelazione.
Il libro di Giobbe si interroga su questa, ed è dunque il tentativo di un ritorno indietro, alle origini ma scoprire la situazione dell’uomo davanti al mistero di Dio.
Ancora: il libro di Giobbe si interroga sul dolore senza ragione, il quale dà di Dio una così deturpata immagine. Esso viene composto in esilio (nel 620). Il pio israelita si interroga angosciato nella sua fede: Perché nonostante i nostri sforzi Dio ci tratta così duramente? E’ giusto tutto questo? Che senso ha? Come devo pormi dinanzi a Dio?
Giobbe diviene il simbolo, riassume in sé la vicenda di un popolo. Lui un pagano: il pio israelita può così gridare tutto il suo scandalo attraverso di lui.
Alle comode e ansiose giustificazioni degli amici “credenti” Giobbe non è né consolato né rasserenato. Esse appaiono solo teorie, parole, espressioni lontane e stereotipate, tentativi di difesa…
Così il grido di Giobbe giunge sino a noi, e si fa nostro, questo grido che è Parola di Rivelazione.
Il problema che viene affrontato nel libro di Giobbe non è l’esistenza di Dio, ma la stessa esistenza dell’uomo.
Evidenziamo tre fasi:
1.
Giobbe cap. 14:
1 L’uomo, nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
2 come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l’ombra e mai si ferma.
3 Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi <occhi
e lo chiami a giudizio presso di te?
4 Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno.
5 Se i suoi giorni sono contati,
se il numero dei suoi mesi dipende da te,
se hai fissato un termine che non può oltrepassare,
6 distogli lo sguardo da lui e lascialo stare
finché abbia compiuto, come un salariato, la sua
giornata!
Sono enunciati alcuni grandi motivi:
– La vita, il bene più grande, è recisa subito. Tutte le aspirazioni che l’uomo porta in sé sono tragicamente tranciate.
– Dinanzi a questo essere così fragile ed inconsistente Dio si presenta come giudice spietato. Perché non lo lascia in pace?
Perché uno deve vivere con il rimorso che lo attanaglia dentro?
2.
Gb cap. 10
20 non son poca cosa i giorni della mia vita?
Lasciami, sì ch’io possa respirare un poco
21 prima che me ne vada, senza ritornare,
verso la terra delle tenebre e dell’ombra di morte,
22 terra di caligine e di disordine,
dove la luce è come le tenebre.
Dunque lasciami in pace!
3.
Gb cap. 7
16 Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo.
Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni.
17 Che è quest’uomo che tu nei fai tanto conto
e a lui rivolgi la tua attenzione
18 e lo scruti ogni mattina
e ad ogni istante lo metti alla prova?
19 Fino a quando da me non toglierai lo sguardo
e non mi lascerai inghiottire la saliva?
20 Se ho peccato, che cosa ti ho fatto,
o custode dell’uomo?
Perché m’hai preso a bersaglio
e ti son diventato di peso?
21 Perché non cancelli il mio peccato
e non dimentichi la mia iniquità?
Ben presto giacerò nella polvere,
mi cercherai, ma più non sarò!
Perché questa sensazione di uno sguardo così penetrante, indagante, giudice di Dio?
L’uomo non si sente mai in casa propria: è sempre osservato e giudicato. Non può mai dire: nessuno mi vede. Situazione insopportabile.
Anche per Sartre l’angoscia venne da questa sensazione, egli definiva la relazione religiosa come un essere osservato “agli occhi di un altro”.
L’uomo si sente nudo e minacciato.
L’uomo può accusare Dio, pretendendo la sua innocenza? Troviamo in questa direzione l’incubo di Elifaz che tenta di consolare Giobbe:
Gb 4
12 A me fu recata, furtiva, una parola
e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro.
13 Nei fantasmi, tra visioni notturne,
quando grava sugli uomini il sonno,
14 terrore mi prese e spavento
e tutte le ossa mi fece tremare;
15 un vento mi passò sulla faccia,
e il pelo si drizzò sulla mia carne…
16 Stava là ritto uno, di cui non riconobbi
l’aspetto,
un fantasma stava davanti ai miei occhi…
Un sussurro…, e una voce mi si fece sentire:
17 «Può il mortale essere giusto davanti a Dio
o innocente l’uomo davanti al suo creatore?
18 Ecco, dei suoi servi egli non si fida
e ai suoi angeli imputa difetti;
19 quanto più a chi abita case di fango,
che nella polvere hanno il loro fondamento!
Come tarlo sono schiacciati,
20 annientati fra il mattino e la sera:
senza che nessuno ci badi, periscono per sempre.
21 La funicella della loro tenda non viene forse
strappata?
Muoiono senza saggezza!
L’uomo un piccolo, insignificante verme, cosa può pretendere?
Si può accampare una propria innocenza?
Il fatto che “non sono peggio degli altri” mi può giustificare?
DOPPIO SCANDALO
Giobbe sperimenta un doppio scandalo.
1. L’assurdità di un Dio onnipotente che spinge la sua creatura verso la morte. Una creatura colma di desideri e di speranze, che “scivola verso la morte come l’acqua che si disperde e fugge dalle screpolature della cisterna” (cf Gb 12,1-8).
2. E perché Dio non salva? Anzi sembra che ancor più schiacci con rimorsi, angosce. Dio demolisce e condanna.
L’augurio di Giobbe è che Dio se ne stia lontano e non venga più ad angosciare l’uomo.
Bildad consiglia a Giobbe di non domandare i conti a Dio. Allora Giobbe pronuncia la sua “bestemmia”. Ci si addentra così ancor più nella tenebra.
Ma a Dio saranno più gradite le parole sincere di chi ricerca e domanda pur nella apparente impudenza che le “pie raccomandazioni”, “sentenze di cenere” (13,12) delle vecchie massime.
UNA SPERANZA
Giobbe sa che morrà senza aver ottenuto giustizia: ma il suo grido rimane (l’ultima parte del libro probabilmente è un’aggiunta).
Così il sangue innocente grida la sua “vendetta”.
Ci deve essere una giustizia: ed è qui che poggia la speranza di Giobbe.
Una speranza che non si sa né come né quando si potrà realizzare: essa è pura e nuda.
Gb cap 16
12 Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato,
mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato;
ha fatto di me il suo bersaglio.
13 I suoi arcieri mi circondano;
mi trafigge i fianchi senza pietà,
versa a terra il mio fiele,
14 mi apre ferita su ferita,
mi si avventa contro come un guerriero.
17 Non c’è violenza nelle mie mani
e pura è stata la mia preghiera.
18 O terra, non coprire il mio sangue
e non abbia sosta il mio grido!
19 Ma ecco, fin d’ora il mio testimone è nei <cieli,
il mio mallevadore è lassù;
20 miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti,
mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio,
21 perché difenda l’uomo davanti a Dio,
come un mortale fa con un suo amico;
22 poiché passano i miei anni contati
e io me ne vado per una via senza ritorno.
E così arriviamo al passaggio centrale: allo spiraglio di luce che riesce a forare quelle fitte tenebre:
Gb cap. 19
23 Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
24 fossero impresse con stilo di ferro sul piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
25 Io lo so che il mio Vendicatore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
26 Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,
senza la mia carne, vedrò Dio.
27 Io lo vedrò, io stesso,
e i miei occhi lo contempleranno non da straniero.
Le mie viscere si consumano dentro di me.
Giobbe fa appello ad una speranza. Una risurrezione come possibilità. E’ solo questa che può ristabilire una retta giustizia.
E così forse può profilarsi contemporaneamente una nuova immagine di Dio.
Forse Dio non è più il giudice spietato verso l’uomo.
Ma quando? Come? Solo Dio conosce i tempi:
cap 14
7 Poiché anche per l’albero c’è speranza:
se viene tagliato, ancora ributta
e i suoi germogli non cessano di crescere;
8 se sotto terra invecchia la sua radice
e al suolo muore il suo tronco,
9 al sentore dell’acqua rigermoglia
e mette rami come nuova pianta.
10 L’uomo invece, se muore, giace inerte,
quando il mortale spira, dov’è?
11 Potranno sparire le acque del mare
e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi,
12 ma l’uomo che giace più non s’alzerà,
finché durano i cieli non si sveglierà,
né più si desterà dal suo sonno.
13 Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba,
occultarmi, finché sarà passata la tua ira,
fissarmi un termine e poi ricordarti di me!
14 Se l’uomo che muore potesse rivivere,
aspetterei tutti i giorni della mia milizia
finché arrivi per me l’ora del cambio!
15 Mi chiameresti e io risponderei,
l’opera delle tue mani tu brameresti.
A questo punto però appare lecito domandarsi: perché Dio deve apparire all’uomo così duro, spietato, crudele?
Perché l’uomo non trova istintivo l’affidarsi a Dio?
Cosa è successo perché si sia instaurata questa sfiducia e questa diffidenza?
E’ l’interrogativo che si propone il libro della genesi.