Il Signore è in mezzo a te!
Un grido di giubilo inaspettato:
Sofonia 3,1-2; 7-8; 14-18
di p. Attilio Franco Fabris
Messaggio centrale
Se il profeta annuncia il “Giorno di JHWH” come il giorno del giudizio e della condanna, contemporaneamente annuncia il kerigma della salvezza: Dio sarà re e salvatore, il suo amore rinnoverà Gerusalemme. Ne scaturisce un invito alla gioia e all’esultanza: non scoraggiarti “il Signore è in mezzo a te”.
Sofonia svolge il suo ministero dopo la fine del governo tirannico del re Manasse e prima della riforma di Giosia. Siamo verso il 700 a.C. Siamo in uno dei momenti più difficili della storia di Israele: la corruzione e l’ingiustizia dilagano, si assiste da parte del popolo ad un progressivo abbandono della fede, dilaga una grave forma di sincretismo che vede un culto rivolto agli idoli pagani Baal e Astante. Non a caso il terzo capitolo del libro di Sofonia inizia con una violenta requisitoria contro Gerusalemme e tutti i suoi capi:
1 Guai alla città ribelle e contaminata,
alla città prepotente!
2 Non ha ascoltato la voce,
non ha accettato la correzione.
Non ha confidato nel Signore,
non si è rivolta al suo Dio.
7 Io pensavo: «Almeno ora mi temerà!
Accoglierà la correzione.
Non si cancelleranno dai suoi occhi
tutte le punizioni che le ho inflitte».
Ma invece si sono affrettati
a pervertire di nuovo ogni loro azione.
E’ una constatazione amara di un allontanamento, di un tradimento dell’alleanza nonostante ripetuti inviti e correzione: il popolo è infatti di “dura cervice” (cfr Es 32,9). Che fare in questa situazione? Che prospettive si presentano per il futuro?
Il profeta si fa annunciatore di catastrofi: esse appaiono inevitabili a causa del male dilagante, il male è castigo a se stesso, è fautore di morte, divisione, distruzione. Le prime parole che Dio pronuncia nel libro profetico lo testimoniano drammaticamente: “Tutto farò sparire dalla terra. Distruggerò uomini e bestie. Sterminerò l’uomo dalla terra” (1,1-3).
Sofonia annuncia imminente la venuta di JHWH come giudice tremendo (Gr 11,20) e il suo giudizio sarà un castigo inevitabile: “Giorno d’ira, d’angoscia e d’afflizione, di rovina, di sterminio, di tenebre, di caligine, di nubi, di oscurità, di squilli di tromba e di allarmi” (1,15-16: sequenza “Dies irae”). Si tratta di un castigo universale: esso non colpisce solo Gerusalemme, ma anche tutti i popoli del mondo:
8 Perciò aspettatemi – parola del Signore –
quando mi leverò per accusare,
perché ho decretato di adunare le genti,
di convocare i regni,
per riversare su di essi la mia collera,
tutta la mia ira ardente:
poiché dal fuoco della mia gelosia
sarà consumata tutta la terra.
Ma il discorso prende inspiegabilmente una direzione sconcertante, dall’annuncio di questa “ira ardente” improvviso si affaccia inspiegabile un invito alla gioia. È come il bagliore di un raggio di sole che squarcia inaspettato le tenebre riaprendo il cuore alla speranza:
14 Gioisci, figlia di Sion,
esulta, Israele,
e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
15 Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Sofonia definisce il “resto di Israele” [1]con l’immagine della Figlia di Sion (3,14-18): una piccola comunità che si affida unicamente alla fedeltà di Dio, che è sicura della presenza del suo Dio, e i cui occhi sono a questo punto illuminati dalla fede e dalla sicurezza nella vittoria di Dio; questa è l’immagine che Sofonia dà del “resto”, dell’Israele delle sue speranze.
“Gioisci…esulta…rallegrati!” (cfr Is 12,6; 49,13; 65,14; Zc 2,14; 9,9; Gr 31,7). Il cambiamento di tono è improvviso, e sembrerebbe, come detto, a prima vista inspiegabile. Come è possibile passare dalle minacce di un castigo incombente ad un annuncio improvviso di gioia e di speranza, a una “revoca della condanna”? Cos’è accaduto? Forse che Israele si è convertito, ha cambiato vita facendo penitenza dei suoi peccati? Ma questo non è accaduto e il profeta lo sa! Quindi la ragione deve stare da un’altra parte.
Dio promette gratuitamente salvezza: egli eliminerà i suoi rivali per restare solo lui unicamente come re e come sposo che ama la sua sposa. Egli non può rinnegare la sua parola, e l’alleanza stipulata con Israele. Questa revoca ha solo un motivo: la fedeltà dell’amore di Dio che non si arrende dinanzi a nessun tradimento e infedeltà dell’uomo, ma sempre si ripropone come Dio fedele: “unica roccia di salvezza” (Sal 61,3)
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non vedrai più la sventura.
Dio riafferma la sua ferma volontà di prendere lui stesso in mano sua le sorti del suo popolo: “Re d’Israele è il Signore in mezzo a te” (v.14; cfr v.17). la sua presenza doveva essere simbolizzata dal Tempio dove JWHW manifestava la sua Gloria (1Re 8,12-19) e dall’istituto regale con la sua funzione di luogotenenza di Dio, ma, per i profeti, queste due realtà hanno mancato a questo obiettivo: al culto non corrispondeva una fedeltà vitale all’alleanza, la regalità si era pervertita nella ricerca di se stessa e del suo potere. È per questo che la gloria di Dio viene vista allontanarsi da Gerusalemme da Ezechiele (10,18), ma già dopo il primo peccato (originale) di idolatria ai piedi del Sinai la tenda del convegno dovette essere posta “fuori dell’accampamento”(Es 33,7). Questa triste situazione invocava presso i “poveri di JHWH-resto di Israele” un intervento decisivo e personale di Dio a favore del suo popolo (cfr Is 63,19). Ecco Sofonia annunciare che finalmente è giunto questo momento in cui Dio, sterminati tutti i nemici, personalmente instaurerà il suo regno eterno, egli sarà “Re d’Israele” (cfr Lc 1,32).
16 In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
17 Il Signore tuo Dio in mezzo a te
è un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te con grida di gioia,
18 come nei giorni di festa».
La profezia si tramuta in canto nuziale per un connubio ritrovato. La città-sposa tornerà ad essere bella, diverrà nuovamente la delizia per il suo sposo: “esulterà di gioia… si rallegrerà con grida di gioia come nei giorni di festa” (vv. 17-18). Gerusalemme diverrà realmente “Città della Pace”.
La gioia di Gerusalemme scaturisce dalla ritrovata relazione sponsale con JHWH: se il Signore gioisce con lei e per lei essa allora non ha da temere più nulla, non può più “lasciarsi cadere le braccia” in un atteggiamento di di-sperazione. Dio si presenta come re che lotta per la liberazione del suo popolo: “è un salvatore potente in mezzo a te”, è lui il primo soldato (cfr Is 9,5; 10,21) è “un guerriero che salva” mettendosi in prima fila; un’immagine questa frequente nei salmi di lamentazione (Sal 7,13-14; 10,15;) e nei profeti (cfr Is 9,6; 42,13; Gr 14,9; 20,11).
Ritorna la bellezza e la gioia dell’amore antico e il piacere di un matrimonio rinnovato e se ne celebra nel giubilo la festa. Lo sposo non allontanerà più la sua sposa da sé, anzi, sarà lui stesso “a rinnovarla nel suo amore”, da se stessa infatti ne sarebbe incapace!
Il protagonista di tutto sarà solo il Signore Dio!
E quanto ai castighi minacciati, e al giorno dell’ira e del giudizio? Il “Giorno di JHWH” non appare più come il momento terribile della punizione, del castigo implacabile che si abbatte sul popolo peccatore: esso si trasforma invece nel giorno in cui finalmente il Signore riesce a far trionfare il suo amore sul male del mondo. Dio infatti vuole solo compiere opere di salvezza! L’ira di Dio è rivolta contro il peccato non contro il peccatore. La paura del castigo ben venga se essa viene a richiamare alla coscienza di Israele gli effetti disastrosi che il male produce con i suoi frutti di morte (cfr Is 3,11).
Il piccolo “resto di Israele” trova in Maria “serva e sposa” la sua immagine emblematica. Non per nulla la vergine di Nazaret viene salutata con le stesse parole con cui il profeta si rivolge alla città santa: “Gioisci, non temere, il Signore è in te”. Per Luca la profezia trova dunque compimento in quell’istante: in Gesù discendente del trono di Davide, Dio stesso prende dimora in mezzo al suo popolo (cfr Gv 1,14), instaurando il suo regno eterno.
In Cristo, Dio metterà in atto il “Giorno di vendetta”: si compirà nel giorno del venerdì santo, giorno di tenebre e caligine, in cui Dio opera un giudizio finale sul peccato dell’uomo e offre a tutti in Cristo la sua vittoria sul male.
La gioia sarà grande: Dio è in mezzo al suo popolo (cfr Gv 20,19-20).
Per la riflessione
La paura del castigo accompagna l’esperienza religiosa di Israele e nostra: il nostro peccato non potrebbe attirare se non questo. Eppure proprio in questa amara constatazione la Parola ci invita alla gioia: essa è donata dal fatto che Dio “ci rinnova nel suo amore”, egli “è in mezzo a noi” come “salvatore potente”. Nessun male può permettere al credente di “lasciargli cadere le braccia”.
Preghiera
Ci si appoggia alla roccia,
ma non serve:
si sgretola la roccia.
Ci si appoggia a un tronco,
ma non serve:
imputridisce e cade.
Sostegno inalterabile,
tu solo,
padrone di tutte le cose.
Tu solo ascolti la nostra preghiera.
Tu che, solo, ci salvi,
o Creatore!
(Preghiera malgascia)
[1] Dio promette ad Abramo una discendenza “numerosa come le stelle del cielo” (Gn 15,5), e Dio, per bocca di Amos, avverte Israele: “Come un pastore salva dalla gola del leone due zampe o il lobo di un orecchio, così saranno salvati i figli di Israele” (Am 3,12). Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1Tm 2,4) ed annunzia che, al tempo della grande tribolazione, “se a motivo degli eletti, i giorni tristi non fossero abbreviati, nessuno avrebbe salva la vita” (Mt 24,22). Questo resto, risparmiato dal passaggio del giudizio, costituisce un elemento essenziale della speranza biblica. L’idea si collega all’esperienza delle guerre e dei loro massacri. L’annientamento del vinto praticato così spesso, poneva ad Israele il problema della sua sopravvivenza, e quindi del valore delle promesse divine. Secondo il contesto, la parola può caratterizzare l’ampiezza della catastrofe: “Non sopravvive che un resto” (Is 10,22), oppure evocare la speranza che sussiste con la sopravvivenza di un resto (il nostro caso).