Un pellegrinaggio a dodici anni
(Lc 2, 41-52).
Poniamo attenzione soltanto alle prime battute del brano. Un brano molto ricco che contiene l’ordito della nostra vita. Anzitutto vediamo gli elementi che vengono descritti: i personaggi (i genitori e Gesù dodicenne), il contesto sociale (l’usanza del pellegrinaggio al tempio), il contesto geografico (Gerusalemme), il contesto religioso liturgico (la Pasqua, che è una festa). Di ogni elemento cercheremo di comprendere il valore e di cogliere il messaggio per la nostra vita.
1- “ I suoi genitori ”. Sono presentati come osservanti, religiosi, devoti. Il fatto che entrambi siano religiosi e osservanti, consenzienti ad andare in pellegrinaggio a Gerusalemme ogni anno, non è indifferente. In fondo Gesù viene qui definito a partire anzitutto da quell’atmosfera di serenità, di fedeltà alla legge, che creano intorno a lui i suoi genitori.
Questa grande grazia di avere il padre e la madre saldamente concordi sull’educazione profonda da impartire al proprio figlio, l’hanno anche molti di noi. Tuttavia c’è chi ha soltanto uno dei due; e addirittura c’è chi non ha nessuno dei genitori ad aiutarlo nella fede.
– La riflessione si fa subito personale. E io come mi trovo in proposito? Quale apprezzamento ho dei miei genitori rispetto al mio credere, alla mia tensione morale e spirituale?
–la preghiera: “Ti ringrazio, Signore, per i doni che mi hai fatto attraverso la mia famiglia, i nonni, le persone che in qualche maniera hanno contribuito alla mia formazione Signore, so che tu disponi ogni cosa per il meglio, so che anche quello che a prima vista non mi è gradito, ha un significato salvifico per la mia vita. Fa’ dunque che io comprenda il senso delle grazie e il senso delle prove”.
2. L’età di Gesù – “ Quando egli ebbe dodici anni”.
C’è poi il secondo personaggio che è il “fanciullo Gesù”colto non in un momento qualunque della sua vita, ma in un’età di passaggio perché questo dei dodici anni è un passaggio importante, è simbolo di un passaggio di vita che Gesù compie come uomo, come israelita, come figlio
Gesù lo compie anzitutto come uomo E’ quel momento in cui una persona capisce che deve diventare uomo, cioè che comincia a prendere in mano la sua vita: quindi incomincia quella percezione che io devo decidere ciò che voglio fare di me nella vita; una percezione lenta, graduale che alla fine termina con la scelta dello stato di vita, della professione E’ un’età di cambio esistenziale profondo, misterioso,
*Egli compie questo passaggio anche come israelita, come figlio del suo popolo perché era l’età in cui uno si preparava a diventare “bar mitzwah” cioè “figlio della legge, del precetto” Quindi un’età in cui uno comincia ad assumere in proprio i doveri religiosi come membro cosciente- responsabile del suo popolo.
*E l’età in cui uno compie un forte passaggio anche come figlio di famiglia: è l’età in cui uno incomincia a ridefinire chiaramente il suo modo di essere figlio, fino a quel momento in cui Gesù si rivela rispetto al Padre suo nei cieli. Tutte le famiglie si accorgono che questo passaggio esiste. Mentre prima l’obbedienza andava quasi da sé, da quel momento si inizia a decidere quale rapporto tenere verso i genitori. Se è un rapporto accettato come rapporto di amore, di ubbidienza allora diventa cosciente, personale, vissuto.
Come sintetizzo il messaggio delle prime parole: “il fanciullo Gesù ebbe dodici anni”?. E’ l’età dei grandi cambiamenti! * fisicamente, ma non ci si accorge che i figli cambiano come persone. acquisti un’altra fisionomia. Io ho I’impressione che molti genitori colgono solo quest’aspetto prevalente che poi comporta la ginnastica,
Cosa vuol dire che cambiano come persone?
Cambiano perché anzitutto sorge in essi una coscienza morale, che prima esisteva come ubbidienza o disubbidienza ai genitori, ma è a quest’età che una coscienza morale comincia davvero a essere qualcosa dentro. Una coscienza morale che è percepita come una coscienza del male come qualcosa di facile, di gratificante; e una coscienza del bene come qualcosa di necessario, ma di difficile e arduo. Uno allora comincia davvero a fare delle scelte, capisce che fare il bene è qualcosa di bello, di giusto, di necessario, di difficile e arduo. E fare il male è qualcosa che non si deve fare, ma è più facile anche sotto le forme della pigrizia, del lasciarsi andare, del fare tutte le proprie comodità, del non prendersi mai a cuore niente, del lasciare che i genitori provvedano a tutto, del non rendersi responsabile. E’ più facile lasciarsi servire in tutto, esigere sempre nuovi divertimenti e svaghi.
Qui sorge il problema morale: io che cosa scelgo? Che cosa faccio? Faccio qualcosa di serio, di deciso? Accetto i sacrifici della vita oppure mi lascio andare a qualunque cosa? Ciascuno in questo momento sperimenta la propria libertà, la sperimenta come libertà di lasciarsi andare al male magari vissuto nelle piccole e semplici cose, che poi diventano complicate quando uno fa sempre i suoi comodi. Da qui nascono le pretese, le prepotenze, il lamentarsi per qualunque cosa … Oppure la sperimenta come libertà di fare il bene, il tenersi in mano, il sapersi sacrificare, il capire i bisogni degli altri … Con il problema morale della libertà nasce inoltre un problema che potremmo dire esistenziale: uno comincia, anche senza accorgersi, a interrogarsi: cosa faccio nella mia vita?
Sono domande molto importanti, che non possono essere banalizzate, non sono più sogni di bambini. Certo c’è sempre molto sogno e molta fantasia in tutto quello che facciamo; grazie a Dio noi per tutta la vita siamo capaci di sognare e di fantasticare. Ciascuno di noi è una creatura un po’ artista che sogna e che si entusiasma. Però dietro queste cose c’è il bisogno di definirsi di fronte al proprio avvenire, di fronte agli altri, agli stessi genitori.
3. Luogo fondamentale è certamente Gerusalemme, menzionato due volte: “si recavano tutti gli anni a Gerusalemme”, “il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme”.
Ed è menzionata Gerusalemme non solo in maniera statica come città che è là, ma è la città che è meta di un pellegrinaggio verso la quale si va. Quindi come elemento di luogo è menzionato anche il fare pellegrinaggio, cioè compiere un gesto sacro altamente simbolico che consiste nell’avviarsi verso un luogo sacro, indicando un primato di Dio nella propria vita. Fare pellegrinaggio è segno di adesione sacra ad un mistero di Dio, manifestato in maniera privilegiata in questo luogo.
Anche qui ci sarebbe tanto da dire perché noi sappiamo di quali significati è piena anche la menzione di Gerusalemme per un ebreo: Gerusalemme città di Dio, città Santa, città storica, capitale civile, luogo nella quale si rivela la gloria di Dio, luogo del tempio, della preghiera, della gioia, della festa, luogo nel quale soltanto si celebrano i sacrifici e le grandi feste di Israele.
Un pellegrinaggio a un santuario è simbolo del pellegrinaggio della vita: l’incontro con Dio. Quest’anno più di un milione di giovani sono in cammino verso Colonia. Per festeggiare proprio quanto stiamo meditando.
I tempi
Il tempo viene indicato come Pasqua, anzi come la festa di Pasqua, meglio specificato con “i giorni della festa di Pasqua”: quindi è la Pasqua intesa come festa prolungata, festa di una settimana.
Noi sappiamo quali evocazioni straordinarie ha la Pasqua per una famiglia ebraica per un fanciullo che ha sentito raccontare delle vicende di Mosè, dell’Esodo, dell’uscita dall’Egitto, dell’Agnello immolato il cui sangue era messo sugli stipiti delle porte perché l’angelo sterminatore risparmiasse gli Ebrei, del passaggio del Mar Rosso, del Sinai.
La Pasqua è tutto questo; è una grande serie di simboli che ricordano il proprio passato, la propria storia e religione; è un po’ la sintesi di tutti i valori: “Dio si è chinato su di noi, si è ricordato del suo popolo mentre eravamo schiavi in Egitto, ci ha liberati, ci ha reso un popolo degno, unito ci ha dato una legge, una costituzione. Ci ha dato dignità, libertà …”
Tutto ciò è collegato con questa Pasqua ed è anche un momento di gioia, festa.
Quale signifcato ha per me la DOMENICA? “Noi non possiamo vivere senza la domenica”(sine dominica non possumus esse) “Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana”. Pronunciate dai Martiri di Abitine queste parole manifestano quale importanza i cristiani abbiano dato, fin dai primi secoli, alla partecipazione all’Eucaristia domenicale. L’hanno considerata come un’esigenza irrinunciabile.