DEL VENIR MENO DELLA FEDE NELLA NOSTRA SOCIETA’
E’ un momento storico che vede una fede difficile da vivere, una fede che viene scossa continuamente.
Convinzioni semplici e familiari sono messe ormai apertamente in discussione: la società è ormai un cantiere febbrile. Non ci si riconosce più. E’ una prova dolorosa, un momento critico, che per chi sa leggere in profondità, diviene occasione per un autentica esperienza spirituale.
L’illusione che il cristiano possa installarsi comodamente nella sua fede sta per essere smascherata. E questo cammino è maestro di purificazione.
Sì, si parla della prova della fede, ma la vera prova non è quella prevista, programmata, letta sui libri. Quella vera giunge all’improvviso, spietata. E’ quella che toglie la terra sotto i piedi.
La mistica parla di purificazione, notte, come di quel momento in cui l’uomo è gettato a terra, il naso nella polvere con una preghiera ormai impraticabile, in un’angoscia senza fondo.
La prova della fede nella cultura moderna
Possiamo chiederci se oggi, molti cristiani non siano condotti per queste acque oscure. A volte nell’incapacità di scorgervi un’occasione di crescita spirituale.
E’ un dato di fatto che il cristianesimo nel nostro occidente è andato incontro ad una usura culturale.
Questo è un fattore di crisi culturale che si interseca con l’altro più individuale: la purificazione come fase critica conosciuta nella dottrina spirituale.
Una purificazione dall’illusione religiosa
La prova della fede è una purificazione. Di che cosa?
Fondamentalmente dell’illusione religiosa stessa: la sua funzione essenziale è quella di farmi passare dal mio Dio al Dio della rivelazione. E’ il momento della morte di quel Dio specchio che mi restituisce l’immagine ideale di me e /o delle mia paure.
Nel momento della prova lo specchio s’infrange (sette anni di guai!): si è frantumata l’illusione. Cosa resta?
Non resta più niente: il mio precedente cammino spirituale appare in tutta la sua fragilità, inconsistenza (pur nella sua necessità del portarmi fino a quel punto).
Mi ritrovo sbattuto a terra, cieco, come Paolo folgorato sulla via di Damasco.
La reazione illusoria è di credere che la purificazione si superi a sforzi di volontà: basta rimettersi più vigorosamente sulla giusta strada. Quello che il lavoro di purificazione mette giustamente in causa è questa pretesa di gestire secondo noi stessi, a nostro modo e sotto il nostro controllo, quel grande, profondo, irresistibile distacco al quale si deve pur arrivare da ciò che noi avevamo fatto di Dio.
Quando la fede non dispone più di un linguaggio
Dove va a finire questo passaggio attraverso il fuoco della purificazione?
Ci si aspetterebbe che esso venisse a rinverdire e riscaldare tutto il precedente linguaggio della fede. Ma il suo aspetto più temibile è che essa passi dentro tutto questo linguaggio distruggendolo: il linguaggio “cristiano” appare inabitabile.
Da cosa dipende ciò?
Dal fatto effettivo che la purificazione viene ad iscriversi in una cultura che fa apparire desueto, impraticabile, impossibile ciò che si riferisce al cristiano: scienza, politica, economia, filosofia, storia, etnologia, psicanalisi hanno questo effetto.
Chi attraversa la purificazione viene a trovarsi assolutamente senza appoggio dalla parte della fede manifesta; e ciò può venire a confondersi, per la coscienza, con la scomparsa di ogni fede. E’ il buio totale dell’anima.
Chi è nella prova vede una certa qual decomposizione del proprio cristianesimo: ed è questione di verità, perché pretendere diversamente sarebbe mentire, fare “come se…” sarebbe recitare, generosamente certo e con tutta la buona volontà, il personaggio che era il loro sul teatro della fede. Ma è venuto il vento a strappare tutti gli scenari, tutti i costumi e a lasciarli spogli sulla pubblica piazza.
Credenti che si sentono del tutto soli
Sarebbe necessario per chi attraversa la prova trovare un punto di riferimento e di dialogo.
Capita piuttosto che l’ambiente cristiano sia pronto a lasciare che questa gente si allontani, quando addirittura non la spinga fuori. Basta infatti presupporre che “noi siamo cristiani”, facendo funzionare alla bene meglio il buon vecchio linguaggio perché gli altri siano esclusi. C’è la tentazione da parte nostra di accusare o di scusare, evitando così un autentico ascolto.
Il fuoco della purificazione è anche la solitudine.
Nella notte del Sabato santo
Il primo effetto del “passare il fuoco” è senza dubbio quello di ricondurre duramente l’uomo che credeva di credere alla condizione umana. Tutte le sicurezze che non poggiavano su nulla crollano.
Non è una crisi religiosa passeggera che lascia tutto il resto intatto, come quando si cambia l’impiego. La prova sta molto più alla radice, alla base dell’essere umano. La Parola coinvolge la totalità dell’uomo, non solo una parte. Non può esistere zona di ripiegamento, una zona franca in cui rifugiarsi per mettersi al sicuro.
Una via di passaggio è indispensabile perché ne va della propria salvezza.
“Voglio aprire una porta. Questo voglio. Questo desidero. Invoco. Grido. Piango. Desidero.” (P. Neruda).
E’ vivere con Cristo la spiritualità del grande silenzio del Sabato santo: “Rovina del Tempio, Sabato della de-creazione: è in sospeso la nascita dell’uomo. E’ solo se la croce ha questa forza (di distruzione, di morte), che l’altro versante, la vita, potrà essere l’amore senza misura e non la cosa pia alla quale sono tanto attaccati i cristiani” (Bellet)
E’ facile cadere nel nulla: è importante cadere ai piedi del crocifisso disceso negli inferi, identificarsi col Cristo agonizzante: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Padre nelle tue mani rimetto la mia anima!
La posta in gioco è la genesi dell’uomo
E’ un immenso lavoro sotterraneo, nascosto, una gestazione lenta opera della grazia. Per il momento non si ha da vivere che giorni grigi, uno dopo l’altro.
Tutto è ridotto all’essenziale: all’avere il coraggio della verità, al non affermare di più di quel che non si possa e neppure di meno, lasciare davanti a sé le cose che non si comprendono più, aver cura degli altri, farsi prossimo. Non schiacciare gli altri sotto il peso delle nostre infelicità, non cadere nel lamento, nel risentimento, nell’asprezza.
Un Vangelo in presa diretta, che va all’essenziale
La fase della purificazione permette che si apra dolosamente un luogo in cui il Vangelo si ponga a contatto con la vita. Gesù, nei confronti della pratica religiosa sterile e asettica è stato quanto mai duro: ha spinto i suoi uditori fuori dal recinto religioso del tempio rassicurante: “Pagate la decima della mente e del comino e dimenticate l’essenziale: la giustizia, la misericordia”.
Chi è nella prova non è lontano dalla fede, è vicino alla sua essenziale e vitale posta in gioco. Avviene infatti una semplificazione estrema del messaggio evangelico: forse potrebbe apparire un impoverimento rispetto a tutto il contenuto di dottrina, costumi, riti… Ma ciò è necessario per ritrovare il nocciolo: che non è fatto di rigidezza e chiarezza che si attenderebbe, può darsi anzi che sia semplicissimo, balbuziente, parziale, momentaneo.
Allora lungi da ridurre la Paola a quel che noi ne diciamo, si resta in ascolto, disposti a che avvenga in noi il cammino che non più noi costruiamo.
Questo rapporto è l’essenziale: perdiamo ad un tempo la nostra bella “soggettività” individuale, chiusa in se stessa e in quel che crede e il bell’ordine oggettivo sempre completo, immobile e in verità disponibile al nostro controllo.
Il luogo della fede non è più la soggettività o l’oggettività (così complici): ma è la relazione stessa, la fede come tale. E’ vuoto e ricerca nello stesso tempo.
La lunga pazienza delle gestazioni
Che occorre fare? Aderire alle cose cristiane così come sono, riprendere il linguaggio comune e abituale, ritornare alle pratiche, ritornare all’ambiente cristiano?
Tanti lo faranno, tanti altri no. Per questi la morte della cultura cristiana è in essi: si sono resi conto che il rianimare un cadavere non è affatto il risveglio della resurrezione.
Sarà indispensabile per loro imparare la pazienza: forse fino ad accettare di non vedere nella loro vita mortale prender forma questo stile di pensiero, di pratica di poetica e di comunità, che è il loro voto più profondo.
Spesso agli altri cristiani questa pazienza manca: si vuole una soluzione immediata, scordando che la gestazione, la nascita non si fanno per decreto, non basta nemmeno obbedire.
Attenzione! Per quel che sa di prova e crocifissione, si può essere tentati di respingere questa esperienza, in cui la fede è come bruciata al fuoco di una esigenza implacabile di verità, senza che si sia padroni di quel che ne uscirà. Si può respingerla in sé, respingerla negli altri… E sarebbe, naturalmente in nome della fede, per mantenerla, difenderla, confortarla presso i deboli, farla parlare alto e forte. Ma la rigidezza di questa fede così sicura di se stessa, la sua intolleranza, la sua durezza verso coloro che sono nella prova del fuoco, danno da pensare alla segreta paura che l’abita. Credo di vedere o capire, qui o là, una sicurezza di questa specie; temo che prepari solo duri risvegli; nel frattempo pratica con vivacità l’ingiustizia verso coloro che dovrebbe aiutare, poiché la fede senza amore è una fede morta.