• 27 Mar


    Primo intervento fallito

    Es 5,1-6,1

    di p. attilio franco fabris

    Visti i primi successi Mosè e Aronne forse immaginano che il loro compito possa risolversi velocemente. Il loro annunzio ai fratelli ebrei non ha forse suscitano entusiasmo? Vi è stata un’adesione immediata e inaspettata di fede, un’ondata di entusiasmo, una convergenza di progetti e di intenti attorno a Mosé. La missione sembra pienamente riuscita! Gli israeliti sembrano diventati, un po’ troppo in fretta a dir il vero un vero popolo consapevole della propria identità e pronti a rivendicarla dinanzi alle potenze di questo mondo.

    Quanti entusiasmi abbiamo sperimentato… euforie… successi. Tutto questo cosa suscitava in noi? Che ruolo vi aveva Dio?

    Ancora il fallimento

    Sull’onda dell’entusiasmo Mosè e Aronne vanno fiduciosi incontro al faraone per la loro richiesta. Il ministero di Mosè presso di lui inizierà sempre con una formula profetica: Così parla il Signore: Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto (5,1). Questa formula sarà d’ora in poi una sorta di ritornello che percorrerà tutta la sezione riguardante le piaghe d’Egitto (7-11).  In questa richiesta Israele si affaccia alla storia con la prerogativa di essere “popolo di Dio”( il mio popolo!) chiamato a celebrare la “festa in onore di Jwhw” nel deserto.

    Ormai Mosè crede di aver svolto il suo compito: non è tutto chiaro? Ora spetta a Dio pensare al suo popolo: non gli resta dunque che tirarsi da parte e scomparire. In effetti sono anche gli israeliti stessi che impugnano direttamente la loro situazione presso il faraone: c’è dunque entusiasmo, frenesia nel portare a termine il sogno. Non temono di far propria la vocazione  di Mosè: Il Dio degli ebrei si è presentato a noi…. Si sentono già popolo di Dio e con una certa arroganza scimmiottano presso il faraone la richiesta di Mosè: (5,3). Pensano d’esser già arrivati prima di partire. Per questo popolo che sta per nascere ci sarà al contrario bisogno di una lunga lotta e maturazione interiore affinché si dia concretizzazione al progetto di Dio.

    Quante volte anche a noi capita di illuderci di risolvere le cose in poco tempo, di essere già arrivati, di lasciarci trascinare dall’entusiasmo, di arrogarci pretese immediate… Ci illudiamo che le vicende della vita debbano rispettare i nostri tempi le nostre attese e desideri. Facciamo fatica a fare i conti con una realtà più faticosa e complessa degli schemi che abbiamo in testa.

    Il risultato della prima delegazione presso il faraone si risolve in un disastro. Infatti la risposta del faraone è perentoria e negativa colma di disprezzo. All’arroganza degli israeliti il faraone risponde con la sua arroganza feroce ed interessata (5,5). Non è forse normale da parte di un governo far i conti con i visionari e utopisti del momento? Che dire di questa minoranza semita che pretende diritti e accampa iniziative proprie? Essi sono e devono restare una  manodopera indispensabile e a costo zero, e per di più vi è sempre il rischio di una  loro fuga e alleanza con i nemici dell’est. I calcoli politici ed ecomomici dettati dal “realismo” obbligano dunque il re a questa dura posizione.

    Gli israeliti si vedono ripiombati improvvisamente e duramente nella loro schiavitù resa ora ancor più dura come conseguenza alla loro pretesa: quando il sogno svanisce quanto è duro il ritorno alla cruda realtà. Anzi lo stesso lavoro da schiavi ora, come risultato della richiesta fatta, è reso ancor più duro e stremante: «Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché sono fannulloni; per questo protestano: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio! Pesi dunque il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati; non diano retta a parole false!» (Es 5,7-9).

    Sta succedendo dunque esattamente il contrario di ciò che ci si aspettava. Tutte le iniziative non hanno fatto che aumentare la catena di mali. Come In certo qual modo Mosè è costretto a rivivere l’esperienza di quarantanni prima. Ma ora Mosè deve confrontarsi con una promessa fatta da un Altro. È mai possibile che i guai e le ingiustizie sembrino aumentare proporzionalmente all’intensità della speranza con cui si lavora per l’affermazione della libertà e della giustizia? Quante delusioni si presentano in tal senso nella vita?

    Che fare? Occorre tornare dal faraone dicono gli scribi degli ebrei e chiedere giustizia. Eccoli allora intenti a preparare un bel discorsetto per commuovere il regnante e fargli perdonare la loro “colpa”: in esso non temono di rinnegare già il loro essersi definiti “popolo di Dio”, essi si protesteranno al contrario “servi” del faraone dichiarandogli “fedeltà”:Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: «Perché tratti così i tuoi servi?” (5,15).

    Nella paura è sempre facile porsi sotto le ali del potente di turno: ciò accadrà spesso nella storia di Israele, nel pretorio il popolo rivendicherà di “non aver altro re che Cesare”! E’ arduo nella prova restare servi fedeli del proprio vero padrone, non se ne possono servire due contemporaneamente.  Nell’onda del loro timore giungono ad affermare: “Se noi oggi siamo bastonati, questa è un’ingiustizia contro il tuo popolo” (5,16). In altre parole senza accorgersi dichiarano niente di meno di essere “popolo del faraone”. Altro che “popolo di Dio”…

    Il lamento degli ebrei e di Mosè

    E Mosè? Egli assiste a tutta questa faccenda che intercorre tra gli ebrei e il faraone. Lo scandalo di ciò che accade al suo popolo, come conseguenza del suo annuncio, raggiunge inevitabilmente anche lui.  E’ il dramma del profeta, del Servo del Signore:

    Per te ogni giorno siamo messi a morte,

    stimati come pecore da macello.

    Svègliati, perché dormi, Signore?

    Dèstati, non ci respingere per sempre. (Sal 43,23-24)

    Anzi: tutta la rabbia repressa del popolo dinanzi al faraone ora ricade tutta su Mosè e Aronne: dissero loro: «Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!» (5,21). Essi invocano lo stesso Dio che vuole la loro liberazione come giudice contro i suoi stessi “presunti” messaggeri.

    E questa stessa rabbia ritornerà più volte all’interno del popolo liberato nei quarantanni di cammino nel deserto. Ci è così sconosciuto questo sentimento nella nostra vita? Quante volte abbiamo scaricato la rabbia contro qualcuno, qualcosa, contro forse Dio stesso… a motivo delle nostre delusioni, sconfitte? Un’ira che cerca un colpevole ad ogni costo… ma l’ira acceca e non discerne il vero.

    Lo scandalo suscita lamenti e proteste di ogni genere, ma l’aspetto più scandaloso sta nel fatto che spesso nella rabbia si smarrisce l’obiettivo e la misura delle proprie lamentele. Così anche Mosè impara a lamentarsi (e lo farà molte altre volte): Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: «Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!» (5,22-23).

    La sua è una preghiera pura di lamentazione, in cui il credente denuncia presso Dio lo scandalo del trionfo del male sul bene. Dio viene rimproverato per il suo operato, (Ger 12,1; Sal 13; 22; 43; 88; Giobbe; …) per l’ingiustizia dilagante a cui egli sembra non porre rimedio e che ricade sul credente stesso che prega.

    Se ho peccato, che cosa ti ho fatto,

    o custode dell’uomo?

    Perché m’hai preso a bersaglio

    e ti son diventato di peso? (Gb 7,20)

    Dirò a Dio, mia difesa:

    «Perché mi hai dimenticato?

    Perché triste me ne vado,

    oppresso dal nemico?» (Sal 41,10).

    I tempi e le modalità di Dio sconcertano: è faticoso entrare nella sua pedagogia fatta di sapienza e pazienza. La risposta di Dio alla lamentazione non è una spiegazione, né un ragionamento: essa consiste in una nuova promessa: “Vedrete!” ovvero saranno i fatti a parlare.

    Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa. Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà. Il mio giusto vivrà mediante la fede; ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui. Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima. (Ebr 10,36-39)

    E gridarono a gran voce:

    «Fino a quando, Sovrano,

    tu che sei santo e verace,

    non farai giustizia

    e non vendicherai il nostro sangue

    sopra gli abitanti della terra?».

    Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. (Ap 6, 10-11)

    Posted by attilio @ 08:29

Leave a Comment

Please note: Comment moderation is enabled and may delay your comment. There is no need to resubmit your comment.