• 16 Mar

    “DI INIZIO IN INIZIO…”

    FASI DEL CAMMINO E SUO SVILUPPO

    di p. Attilio Franco Fabris


    Scrive Allport nel suo studio su L’individuo e la sua religione: “A somiglianza di un tessitore di arazzi, l’uomo è obbligato a lavorare dietro al disegno che crea. Tenendo i fili separatamente ed inserendoli con cura, può soltanto sperare che il modello da lui formato sia intero quando lo vedrà dalla parte anteriore. Da dietro  il telaio l’intrico di fili appare sconcertante. Strutturare un modello integrale è compito la cui durata comprende una vita intera ed anche più”.

    Nella vita l’uomo si pone un progetto dinanzi, delle tappe da raggiungere, nella speranza che alla fine tale progetto si realizzi pienamente. Così anche nella vita spirituale bisogna aver chiaro quale è l’ideale che ci viene posto dinanzi dalla Parola di Dio. Questo fa sì che si abbia chiaro quale sia il filo conduttore ed unificatore di tutto il nostro cammino.

    Per evitare abbagli ci viene rassicurato dalla teologia spirituale che non si tratta di un ideale di  perfezione ontologica, ovvero del raggiungimento (impossibile) della perfetta misura della grazia santificante (ciò fu possibile solo in Gesù e in Maria sua madre). Non si tratta di un ideale di perfezione ascetica in conformità alle virtù. Tutto ciò sarà, ma solo come conseguenza del vero e autentico scopo della vita spirituale che è l’orientamento e la tensione di tutto noi stessi ad un dialogo di fede con il Padre, dialogo che si attua con Cristo e per Cristo nella forza dello Spirito d’amore nella Chiesa.

    Guida e modello del nostro cammino è Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita”, al quale siamo chiamati a conformarci.

    Tale orientamento dovrebbe idealmente essere il più possibile armonioso: ossia dovrebbe dipanarsi e svilupparsi nella totalità della persona e in tutte le sue dimensioni. Nei trattati di teologia spirituale ritroviamo degli itinerari ben delineati e precisi in questo senso.

    Ma sappiamo bene che ciò, il più delle volte, non può avvenire: l’esperienza dice che il ritmo di crescita non vede quasi mai un progresso strettamente parallelo tra le varie dimensioni presenti nell’uomo.

    In tal senso, detto per inciso, un obiettivo parallelo a quello fondamentale di carattere teologico, o meglio una conseguenza, è il poter giungere ad una sempre maggiore unificazione del nostro essere (i santi ci appaiono persone unificate e perciò pacificate). Questo tenendo conto che il peccato originale ha sovvertito l’ordine e l’equilibrio che erano dati all’uomo; l’unificazione e pacificazione appaiono uno dei frutti del cammino spirituale soprattutto di conversione.

    Non possiamo così aspettarci che il cammino spirituale sia piano e dritto. Esso segue invece ritmi alternati, imprevedibili, diseguali ( s. Ignazio parla di tempi di desolazione e di consolazione!). Esso infatti è “molto più vivo, mobile, imprevedibile, misterioso, ricco della vita biologica” (Thrular). Esso non procede meccanicamente quasi assommando i nostri meriti, ma in modo discontinuo a seconda dell’intensità delle nostre operazioni spirituali. Ed è altrettanto vero che è “sempre Dio che fa crescere”, ovvero che il progredire dipende direttamente da Dio e soltanto indirettamente dall’uomo.. In questi agisce, si muove e opera lo Spirito santo che “soffia dove vuole”(Gv 3,8).

    Forse l’immagine di cammino spirituale risulta generica ed imprecisa: essa rimanda infatti, in certo qual senso, solo a cambiamenti di luogo  più che a progressive trasformazioni interne della persona stessa. Qualche autore spirituale propone una visione spaziale più complessa: la spirale. La linea a spirale avanza e sale, ma nel medesimo tempo torna su se stessa se pur a livelli sempre superiori al precedente, incontra sì gli stessi punti di riferimento ma su un altro piano. Fuori di metafora quel che si vuol dire è un concetto importante: il progresso spirituale non consiste tanto e in primo luogo l’apprendimento di realtà nuove diverse dalle precedenti, (i paesaggi che cambiano), quanto invece sul tornare sulle nostre medesime realtà interiori ma viste con uno sguardo diverso, a diversa profondità, con una fede diversa (così ad es. la nostra vocazione, la nostra storia, il nostro limite, il nostro peccato…).

    Forse anche l’immagine della crescita organica e psichica della nostra natura umana è la più adeguata a descrivere il tipo di crescita spirituale: l’organismo attraversa varie fasi, cambia, si trasforma pur rimanendo sempre lo stesso.

    Nella storia della spiritualità si sentì subito la necessità di una riflessione sistematica sul progredire della vita cristiana. Già s. Paolo ad es. comincerà a distinguere cristiani “bambini” bisognosi di latte e “adulti” capaci di cibo solido.

    Furono tentate diversissime sistematizzazioni basate ad es. sui gradi della carità, sui gradi dell’ umiltà (RB)… La suddivisione di origine patristica fu quella maggiormente accolta essa distingueva tre fasi: la purificazione l’illuminazione e l’unione.  Nei secoli seguenti essa fu ripresa vista però con i termini di:  fase dei principianti, dei proficienti dei perfetti.

    Gli incipienti.

    Sono coloro che intraprendono deliberatamente la via interiore, generalmente  motivato da una prova o da una illuminazione, le quali generano un desiderio di una perfezione più alta e di una vita cristiana più autentica. Si verifica conciò una vera e propria conversione all’interiorità. Nell’intraprendere questa discesa in sé stesso l’incipiente percepisce gli ostacoli e le ripugnanze verso la vita soprannaturale: il primo esercizio è l’esame di coscienza, la pratica delle virtù, la penitenza. Scopo di questo periodo è principalmente la purificazione dell’anima sempre più in profondità. I dinamismi della persona (mente, cuore, affetti) sono sempre più indirizzati a Dio.

    I Proficienti.

    Qui l’anima sperimenta una fase spirituale più pacificata. L’illuminazione spirituale è più intensa e quasi nulla è concesso al peccato anche veniale. Sarà importante conservare la tensione del fervore dello Spirito perché il progresso divenga continuo. La maggior parte si arrestano qui. Nel grado dei proficienti si cerca la conformazione a Cristo. Cristo diviene l’oggetto di un amore personale, il che implica la custodia del cuore e il raccoglimento dello spirito. Tutte le creature ormai non sono più considerate in se stesse, ma in relazione alla volontà di Cristo per la gloria del Padre. Le virtù preponderanti sono l’abnegazione di sé affinché Cristo possa crescere in noi e l’umiltà. scopo di questo grado è l’illuminazione della mente e la conformità a Cristo nell’azione, grazie all’eucaristia e alla familiarità col vangelo.

    I Perfetti.

    Questo terzo grado non indica uno stato senza possibilità di ulteriore progresso, ma piuttosto uno stato in cui le condizioni per un progresso continuo sono possedute in modo permanente e stabile. Qui l’uomo spirituale è ormai abitualmente docile alle ispirazioni dello Spirito Santo e la sua vita è tutta permeata dalla virtù teologale della carità.

    Come non ricordare il cammino classico proposto dal grande mistico Giovanni della Croce: la vita spirituale interpretata come salita al Monte Carmelo verso la cima “dove abitano soli l’onore e il piacere di Dio”. Lungo la salita l’anima andrà incontro alla purificazione dei sensi, il cui scopo è di sottometterli alla ragione sorretta dalla grazia, procede poi la purificazione dello spirito, grazie al quale questo si sottomette all’azione dello Spirito santo.

    Sulla linea della teologia narrativa verrà proposto ad es. l’itinerario simbolico della ricerca del santo Graal in cui il battezzato deve mettersi in cammino per partecipare alla pienezza del mistero. I cavalieri devono passare successivamente per i tre luoghi dell’iniziazione per giungere alla vera conoscenza – il castello di Corbenye, la Nave di Salomone, la città di Sarraz.

    Interessante anche “Il viaggio del pellegrino” di John Bunyan, il grande scrittore allegorico inglese del ‘600. Il suo racconto narra, in forma di sogno, le vicende di Bunyan-Cristiano che fugge, col suo pesante fardello dalla città della Distruzione in cerca di salvezza verso la Città Celeste. Nel suo pellegrinaggio Cristiano passa attraverso la Palude dello Sconforto, la Valle dell’Umiliazione, il Colle del Lucro, la Valle dell’Ombra della Morte, il Castello della Disperazione, la Fiera della vanità… e incontra decine di personaggi che ora lo ostacolano, ora lo distraggono, ora lo accompagnano: Fedele, Vergogna, Poca-Fede, Speranzoso, Chiaccherone, il Gigante Disperazione, il Demone Apollion che raffigurano vizi e virtù che abitano in ognuno di noi.

    Più vicina a noi vediamo Teresa di Lisieux. In lei vediamo un’alternativa nell’intraprendere il cammino spirituale: piuttosto che spendere le proprie forze per camminare o per scalare la montagna, l’anima preferisce essere portata. In questo cammino  di carattere “passivo” i simboli sovrabbondano. Teresa percepisce la sua vita come una attraversata verso la riva del Cielo. Ella usa l’immagine della “Navicella”: “quando ero triste – ci dice – ripetevo le parole che mi facevano sempre rinascere nel cuore la pace e la forza: La vita è la tua nave e non la tua dimora. Già da piccolissima queste parole mi restituivano il coraggio; ancora adesso, nonostante gli anni che cancellano tante impressioni di pietà infantile, l’immagine della nave affascina ancora la mia anima e l’aiuta a sopportare l’esilio…La Sapienza stessa non dice forse che “La vita è come il vascello che solca i flutti agitati senza lasciare alcuna traccia del suo rapido passaggio”?”.  Ella vede la montagna da scalare, la sua salita al Carmelo, il sentiero del Nulla: non le sembra però possibile inerpicarvisi per la sua debolezza. Ella dunque si industrierà a ricercare “una piccola via dritta dritta, corta corta, una piccola via tutta nuova”: si tratterà di farsi piccola per farsi portare e “l’ascensore che deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia o Gesù”.

    Perché questo bisogno di sistematizzazione, simbolizzazione del cammino spirituale? Perché in modo particolare l’uomo deve raffigurarsi le diverse tappe e soprattutto i pericoli che incontrerà?  “Se il tempo fosse semplicemente sinonimo di continuità, basterebbe incamminarsi fiduciosamente sulla via spirituale;: essa ci condurrebbe al termine prefissato. Ma i Maestri che ci hanno preceduto sanno che il percorso di questa via è lungo, incerto, insidioso: di qui la tentazione di tornare indietro: Ne conoscono l’angustia, mentre ampie sono le vie che conducono alla perdizione o al fallimento: Ecco perché ci hanno spesso narrato il loro faticoso cammino, il cui esito felice non può non incoraggiare il  discepoli: Alcuni, con maggior precisione ancora, hanno voluto tracciare un itinerario tipico: chi potrebbe ancora temere di smarrirsi?” (A: Bernard).

    Nel parlare di progresso spirituale forse è meglio evitare di parlare di tappe della vita spirituale: la tappa indica l’acquisizione definitiva di un tratto di strada per iniziarne uno del tutto nuovo che non ha nulla a che fare né col precedente né col successivo. E’ preferibile parlare di fasi: ovvero di momenti forti, di situazioni (cfr Rahner) decisive per la crescita. Le fasi si prestano a confini più sfumati, esse si possono mescolare, frapporre, saltare sia per iniziativa di Dio sia per il possibile interferire di eventi esterni o interni significativi.

    La meta del cammino spirituale qui in terra non sarà mai pienamente raggiunta. La nostra santità può  essere semplicemente una santità in via. “Da un inizio ad un altro inizio fino all’inizio senza fine della vita eterna” (Gregorio Niss.). Questa santità ha una caratteristica sua, tipicamente evangelica: non si tratta come già detto di perfezione ontologica o ascetica in cui siamo noi, per sola nostra iniziativa che vogliamo e possiamo essere santi.

    Prendiamo invece coscienza che la santità non è raggiunta attraverso i soli nostri sforzi, una santità ricercata volontaristicamente è destinata a rivelare prima o poi la sua illusione. Proprio perché santità in via si tratta di una santità “non più desiderata nella ricerca della nostra perfezione, ma vissuta nell’offerta della nostra povertà” (R. Voillaume).

    Essa trova la sua dinamica nella carità: nella comunione vitale con Dio e i fratelli. E sarà proprio l’amore la misura e la meta della vera perfezione e il criterio di discernimento.

    Dobbiamo perciò fare molta attenzione sul come percepiamo e pensiamo la santità, mettendo al bando quelle immagini standardizzate e molto idealizzate (per non dire disincarnate) di santità cristiana.

    Sarà utile ripercorrere il proprio cammino; segnalarne le tappe significative… dare loro un nome e un significato…

    Posted by attilio @ 09:31

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