L’Idiozia: debolezza di Dio e salvezza dell’uomo
di p. Silvano Fausti s.j.
Introduzione
Che cosa ne è della salvezza che il Figlio di Dio ha portato ai fratelli?
E’ semplice proiezione di desideri, belli consolatori, ma inconsistenti?
Il male è enigma insolubile: mette in crisi non solo noi, ma anche la realtà di Dio.
Se c’è perché non interviene?
Forse non può o non vuole?
Ma se non può, non è onnipotente; se non vuole, non è buono!
Che Dio è allora? Impotente o cattivo?
Il male, realtà innegabile, fa crollare la nostra idea di lui, che, se c’è, necessariamente è onnipotente e buono.
I greci cercano una divinità sapiente, in grado di fondare e spiegare le aspirazioni umane. Con essa ci si può rassegnare all’esistente, in attesa che si compia il cieco destino.
I giudei, come tutti i religiosi, cercano una divinità potente, in grado di far trionfare la sete di libertà e di giustizia.
Il Dio crocifisso.
Paolo parla di un Dio crocifisso che è stupidità per i sapienti del mondo e debolezza per i pii di ogni religione (1Cor 1,23).
Il paradosso del cristianesimo è non solo proporre un Dio stupido e debole, ma – doppio paradosso – pretendere che la sua stupidità convinca d’insipienza i sapienti e che la sua debolezza distrugga i potenti.
La Parola della Croce rivela un “assurdo”. La Croce è l’enigma con cui Dio risponde all’enigma dell’uomo.
Un Dio crocifisso non corrisponde a nessuna concezione religiosa o atea.
E’ una rappresentazione “oscena”: fuori della scena del nostro immaginario. E’ la distanza infinita che Dio ha posto tra sé e l’idolo.
Salvezza
Certo togliere la ricerca della salvezza è levare la molla che aziona l’uomo. Non ci sarebbe cultura, né storia, né libertà; ma solo natura, fato, necessità. Si rinuncerebbe anche a vivere: perché conservare la vita se la si perde inesorabilmente?
Chi rinuncia alla propria promessa di felicità, si condanna da subito al naufragio del non senso, nell’infinita vanità del tutto.
Si può salvare uno che è veramente perduto e che da solo non può uscire dalla sua situazione. Per noi cristiani il nostro salvatore è Gesù di Nazaret.
Salvezza è l’opposto di perdizione.
E la salvezza costituisce il progetto fondamentale di ogni uomo. La felicità è l’obiettivo assoluto e ogni nostra azione è mirata in tal senso.
L’uomo è cosciente di dover morire: questo ci distingue dall’animale.
Ognuno vive questa situazione come limitazione mortale e angosciosa da superare ad ogni costo, invece che come condizione naturale da vivere.
L’uomo vuol mettere le mani sul proprio principio invece di mettersi nelle sue mani, vuol possedere la vita invece di riceverla in dono: da qui il sorgere di ogni male. Ed ecco anche tutti i nostri tentativi inutili di salvarci dalla morte.
Nel cristianesimo parliamo di salvezza oltre la morte, che quindi si realizza oltre la storia individuale e collettiva.
Pensare la salvezza in questo modo è un’opzione che uno può fare o meno, come accettare o meno di essere figlio: ma è ragionevole farlo.
In questo secolo abbiamo avuto tanti tentativi di salvezza realizzate non oltre, ma dentro la storia.
In campo politico (marxismo, capitalismo…); lo scientismo, il selfismo psicologico; in campo pseudoreligioso (New Age).
Conosciamo pure salvezze oltre la storia, che sono anche fuori di essa: il fatalismo, la rassegnazione, lo stoicismo…
La salvezza nella Bibbia, correttamente intesa, è oltre ma non fuori della storia. Anzi agisce dentro di essa.
La meta dirige ogni passo dell’uomo, nessun istante è irrilevante, nessuna azione, per quanto piccola, insignificante. Il futuro dirige il presente e il presente ne è la paziente realizzazione.
Quando si parla di Cristo salvatore, si intende parlare di questa salvezza che va oltre la storia, ma che è dentro di essa come suo principio motore.
Ambiguità
Ci sono tante salvezze quanti gli ideali dell’uomo, e tanti ideali quante le idee sui Dio. E’ vero che c’è un solo Dio, ma in realtà ci sono molti idoli che ci tiranneggiano.
C’è Mercurio il dio degli affari (Il dio della Borsa)
C’è Venere ( il dio Viagra e dell’erotismo)
C’è Vulcano (il lavoro)
C’è Cerere la dea delle messi (concimi e mutazioni transgeniche)
C’è Esculapio ( la farmacologia pronta per ogni rimedio anche contro la vita)
C’è Giove e le sue clonazioni più o meno malriuscite.
Altra forma sono le ideologie fatte di moda e consumismo.
C’è l’idolatria costituita dal proprio pensiero filosofico e religioso: tutto è sempre chiaro, non esistono dubbi: l’arroganza del pensiero che pretende di conoscere e spiegare tutto.
C’è l’idolatria allo stato puro fatto del culto dell’immagine: chi produce immagini ha in mano il potere.
Infine c’è l’idolatria del credente: servirsi di Dio come mezzo per ottenere le cose che interessano, che sono il proprio dio.
L’idolatria teorica e l’idolatria pratica si intrecciano sempre con dosaggi diversi nel nostro rapporto con Dio. Al nostro parlare con troppa certezza di lui, o al nostro chiedergli segni visibili, lui risponde con il suo silenzio.
Stiamo attenti a non riempirlo con chiacchiere vuote, per evitare di ascoltarlo.
Siamo tutti convinti che c’è un solo Dio Uno e Trino e un unico salvatore. Ma a questa rivelazione ognuno accede con una sua interpretazione “idiota”, propria e singolare, che non deve mai sostituirsi né all’esperienza di Dio né alla sua parola che lo rivela, né tanto meno a lui stesso.
L’uomo è fatto per “dire l’indicibile” ma non deve confondere il suo dire con l’Indicibile.
Già nel Vangelo troviamo un modello di cristologia idolatrica: ed è la professione di Pietro. Egli è il primo che dopo i demoni riconosce che Gesù è il Figlio di Dio.
Il problema di fondo di ogni discorso su Dio è vedere quali interpretazioni sono fuorvianti e quali no, quanto sia idiozia necessaria e legittima per dire l’indicibile, celebrarlo e amarlo, e quanto invece siano idolatria che fa dire ogni stupidità possibile e impossibile.
Che pietra di paragone abbiamo per risolvere l’ambiguità che sempre c’è in ogni nostra riflessione su Dio?
Chi ci garantisce di non modellarci un Dio a nostra immagine e somiglianza invece di modellare noi stessi a immagine di Dio?
La “carne” come criterio di salvezza
L’A.T. da’ un criterio preciso: non farsi immagini né di Dio né dell’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza.
Se in molte religioni si cerca una salvezza dalla carne e dai desideri, la Bibbia ci propone una salvezza della carne e dei desideri. Dio ce li ha donati e lui stesso li ha assunti su di sé facendosi uomo.
Caro cardo salutis: essa è la notitia dei.
L’uomo Gesù con la sua storia concreta, ci dona la vera conoscenza di Dio e ci salva. Ogni nostra idea su Dio e su Cristo deve misurarsi su questa carne.
Parlando di “carne” si intende la condizione di debolezza, fragilità, esposizione al male, che il Signore stesso ha condiviso con noi. Per questo Paolo scopre la croce come la grande rivelazione di Dio: Io ritenni di non saper altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso (1Cor 2,2). Solamente lì si può conoscere Dio nel Figlio.
I demoni lo proclamavano anche prima Figlio di Dio ma solo per ingannare gli uomini!
Davanti alla croce si frantuma ogni idolo.
I vangeli non furono scritti per provare che il crocifisso è risorto. Al contrario: vogliono proclamare che il risorto è il crocifisso. La croce non fu un incidente di percorso da dimenticare in fretta, perché Dio stesso vi ha posto rimedio con la risurrezione.
La croce è la gloria di Dio, rivelazione assoluta e indubitabile di lui come amore senza limiti. La sua comprensione è stata lenta: un lungo cammino per la comunità.
Se la croce fosse stata solo un episodio brutto e increscioso, allora ogni nostro male sarebbe e resterebbe solo un episodio brutto e increscioso, e non luogo di salvezza. La stessa vita che termina con la morte sarebbe solo un vuoto a perdere.
Il vangelo della croce è essenzialmente anti-idolatrico: smonta e smentisce ogni nostra idea di Dio.