• 10 Mar

    La discendenza: Una promessa confermata

    Gn 18,1-16a

    di p. Attilio Franco Fabris

    Abramo esce dall’incontro con Dio confermato ma confuso: egli ha già un figlio, Ismaele, circonciso su richiesta di Dio per entrare nell’alleanza, ma l’alleanza Dio non la farà con lui ma col figlio che non è ancora nato e che è solo promesso.

    Dio ora riconferma la promessa. Abramo ne ha bisogno!

    Tre visitatori alla tenda di Abramo: vv. 1-8

    E’ la terza volta che Dio appare ad Abramo.

    L’incontro ha luogo “alle querce di Mamre” dove Abramo si era stabilito e dove aveva costruito un altare al Signore (15,18).

    Abramo è seduto alla porta della tenda verso la metà giornata. “ed ecco…”  è una sorta di sorpresa vedere questi tre viaggiatori. Che ci fanno in giro con tutto questo caldo? Da dove vengono? Dove stanno andando?

    Nella cultura orientale e soprattutto nomade l’ospitalità rappresenta una dei doveri (e diritti) principali, connotata da caratteri fortemente religiosi. L’ospite ha diritto di essere accolto e difeso: “l’ospite è sacro”.

    Abramo che fa? “Corse loro incontro… e si prostrò a terra”: i due verbi sottolineano l’ospitalità di Abramo. Si corre incontro come ad uno di famiglia che torna da un viaggio, ci si prostra in segno di rispetto. Qui Abramo adora Dio, senza saperlo “Mio Signore!”.[1]

    Segue il pressante invito, rivolto al singolare, come mai? Si sta rivolgendo a colui che sembra il capo? Il testo gioca molto su queste ambiguità di forme verbali.

    Egli promette “un po’ d’acqua e un boccone di pane” ma sapremo che non sarà così. Abramo al modo orientale vuol fare l’umile per manifestare poi la sua magnanimità e generosità.

    La preparazione del pranzo è concitata e premurosa “si affrettò… Presto!… corse… si affrettò…”. La qualità del pranzo è straordinaria. Abramo prende “fior di farina” che è la farina richiesta per le offerte cultuali (cfr Lv 24,5) e prende addirittura “un vitello tenero e gustoso”. La quantità è esorbitante: sono “tre staia” (1 staia = otto litri). Abramo fa la sua parte di accoglienza e di padrone, Sara rimane in penombra a lavorare in cucina. Il pranzo viene servito. Abramo sta in piedi come un servo pronto a rispondere alle esigenze dei visitatori. E quelli “mangiarono”. Che si saranno detti nel frattempo?

    Abbiamo perso molta di questa cultura dell’accoglienza. L’altro, soprattutto se sconosciuto, che bussa alla porta ci infastidisce, ci obbliga a cambiare i nostri piani. Spesso ci sentiamo minacciati. L’altro da amico da accogliere diviene un “estraneo” da cui difendersi. E’ cultura dell’isolamento.

    La promessa confermata e derisa: vv. 9-16a

    Il pranzo termina e ha inizio la conversazione che rivela il motivo di quella visita inaspettata.

    La prima domanda è retorica: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Essi ovviamente sanno dov’è, ma fanno intendere l’oggetto della conversazione.

    Il testo continua al singolare: “Tornerò di sicuro da te, tra un anno (lett. al tempo della vita, ovvero del rinnovamento) e Sara avrà un figlio”.[2]

    Sara, “al quale da tempo erano cessato ciò che accade regolarmente alle donne”!, ovvero molto anziana, sterile, senza menopausa, sta ascoltando. Ella si mette a ridere “dentro di se”: la sua reazione è più che comprensibile. Fra se dice: “Proprio adesso che sono vecchia dovrò provare piacere?” (Di che piacere si tratta, del figlio o dal marito?).

    Dio reagisce al riso-dubbio di Sara. “C’è forse qualcosa (una parola) che sia impossibile per il Signore?”. Ecco la fede: credere l’impossibile possibile![3]

    Sara non esita a smentire, nega, nemmeno lei è perfetta. Lo fa per paura e vergogna.

    Il dialogo continua a vertere ironicamente (!) sul “ridere”, preannunciando in sottofondo la nascita di Isacco (= colui che ride).

    Ora Abramo e Sara non possono fare proprio nulla, non resta a loro che credere (vv.9-16a). Messi con le spalle al muro vivono il passaggio dal “fare per” al “ricevere da”.[4]

    Alla fretta della loro soluzioni umane, dettate dalla paura e quindi fragili e anch’esse sterili, Dio contrappone la sua azione che non può non essere feconda e stabile “come il cielo”.

    I nostri progetti sono anch’essi il più delle volte fragili, di breve durata. Scaturiscono dalla fretta e dalla paura: sono il più delle volte intrapresi al fine di “salvare noi stessi”. Essi per divenire autentici e fruttuosi non possono non scaturire dall’ascolto della Parola. E’ la Parola il germe, la fonte, da cui tutto deve trarre energia e vita vera.


    [1] Ebrei 13:2 Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo.

    [2] Romani 9:9 Queste infatti sono le parole della promessa: Io verrò in questo tempo e Sara avrà un figlio.

    [3] Luca 1:36-37 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio».

    [4] Romani 4:19-22 Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.

    Posted by attilio @ 09:12

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