La benedizione
Gn 14,1-24
di p. Attilio Franco Fabris
Il testo narra, come il precedente, il rapporto tra Abramo e Lot, in una situazione difficile di guerra in cui Abramo apparirà come strumento di benedizione da parte di Dio.
Lot si è stabilito a Sodoma (13,12; 14,12) e Abramo alla Quercia di Mamre presso Ebron (13,18; 14,13).
La piaga di una guerra interminabile: vv. 14,1-4.4-12
Il testo biblico allarga i suoi orizzonti, a “tutto il mondo”. Vi si narra di una coalizione di quattro re d’oriente. Il primo viene da Sennaar, regione in cui fu tentata la costruzione della torre di Babele (Gn 11,2) Questi re decidono di entrare in guerra per occupare la terra di Canaan. E’ la prima volta che questo termine compare nella bibbia, e non sarà l’ultima se anche l’Apocalisse ne parlerà. La guerra d’ora in poi accompagnerà la storia dell’umanità. Da cosa è causata? Bramosia, ingiustizia, vendetta. In una catena di violenza interminabile e insensata. Chi ne va di mezzo non sono i potenti, ma i poveri, i deboli che debbono sottostare alla decisione del forte.
Questi quattro re ingaggiano guerra contro cinque re di Canaan tra cui i re di Sodoma e di Gomorra, i quali portano nomi significativi: Bera (=nel male), e Birse (=nella malvagità). Tutti questi re abitano la valle del Giordano e la zona del Mar Morto.
In questa guerra sono coinvolte tutte queste terre. Una maledizione per tutti!
L’oppressione dura “dodici anni”, cifra perfetta, ma alla fine i popoli occupati non ne possono più. Essi insorgono al “tredicesimo anno”, ma l’anno dopo la situazione ricadrà ancor più disastrosa su di loro. La storia di questa guerra si aggrava ancor più. Essa infatti si estende anche ad altri popoli (v.5-7).
Al termine della nuova guerra la coalizione dei re dell’ovest viene sconfitta e distrutta. Gli aggressori “presero tutte le possessioni di Sodoma e Gomorra e tutti i loro averi e se ne andarono” (v.11).
Qui il testo aggiunge: “Andandosene presero anche Lot, figlio del fratello di Abram, e i suoi beni. Egli risiedeva appunto a Sodoma” (v.12).
Lot ha dunque compiuto veramente una pessima scelta separandosi da Abramo garante di benedizione, lui che aveva creduto separandosene di accaparrarsi il meglio.
Fortunatamente un fuggitivo corre a dare la notizia ad Abramo che ad Ebron, guarda caso, è al riparo dalla guerra distruttrice.
Abramo bendizione per tutti: vv. 13-16
Abramo entra ora in scena divenendo il protagonista del racconto.
Alla notizia del sequestro di Lot, della sua famiglia e dei suoi beni, Abramo, come reagirà?
Noi come reagiremmo?
Abramo non avrebbe potuto dire a ragione: “Ben gli sta! Peggio per lui! Ora si arrangi!”.
Abramo non ha questa reazione.
Per lui Lot, in virtù dell’alleanza, è “fratello”, non può rimanere indifferente.
Eccolo allora all’inseguimento dei quattro re dell’est fino a Dan, il punto più a nord della terra di Canaan (da Dan fino a Bersabea per indicare i confini: cfr Gdc 20,1), con 318 volontari combattenti. Abramo sembra non ragionare: come sconfiggere con un piccolo manipolo di soldati un esercito di quattro sovrani? E per chi correre questo rischio spropositato? Per quel “disgraziato” di nipote che gli ha soffiato la terra migliore.
Cosa diremmo noi ad Abramo, cosa gli suggeriremmo?
Ma Abramo prosegue nell’impresa, “sbaraglia” i quattro re e riesce a fare ciò che cinque re non erano riusciti a compiere. Egli “recupera tutta la roba e anche Lot e tutti i suoi beni”.
Il seguito del racconto specificherà che la missione di Abramo non è al fine di arricchirsi, ma unicamente per ristabilire una situazione di giustizia.
Il testo vuole esplicitamente fare riferimento alla promessa delle benedizione che Abramo rappresenta per tutti i popoli. Egli è presentato quale mediatore di salvezza.
Abramo nuovamente benedetto: vv. 17-24
Al termine della battaglia Abramo incontra il re di Sodoma nella valle dei re, vicino a Gerusalemme.
Accanto al re di Sodoma troviamo un nuovo personaggio: Melchisedek.
Il suo nome può avere diversi significati: il dio Milku è giusto, il mio re è giusto. Il nome fa perciò riferimento alla giustizia. Egli è re di Salem che la tradizione giudaica identifica con Gerusalemme (Sal 76,3). La parola Salem sta indicare pace (= shalom). La pace e la giustizia, doni di Dio, sono dunque simbolizzati da questa misteriosa figura.
Oltre ad essere re, Melchisedek è anche sacerdote di El Elion, il Dio Altissimo. E’ il primo sacerdote menzionato nella Bibbia.
Egli va incontro ad Abramo: “uscì facendo portare pane e vino”. E’ un gesto tipicamente orientale di accoglienza. Non offre solo pane e acqua, ma pane e vino pasto degno di un re (1Sam 16,20).
Egli benedice Abramo (3 vt) in quanto mediatore di salvezza per tutti. Egli ha sconfitto il nemico ristabilendo la giustizia e la pace. Egli è stato strumento nelle mani del Dio Altissimo. Viene riconosciuto pubblicamente dinanzi a tutti in questa sua missione
Al termine della benedizione Abramo gli consegna la decima di tutto ciò che è stato recuperato in guerra. Manifesta così la sua gratitudine a Dio. Riconosce che ciò che ha compiuto è stato possibile solo grazie all’intervento di Dio. Non si inorgoglisce, non decanta le sue capacità strategiche, non sfrutta la sua posizione a suo vantaggio.
Quanto interviene il re di Sodoma dicendogli: “Dammi le persone e prendi per te i beni” Abramo esprimerà nuovamente un atteggiamento nuovo e sorprendente. Egli alza la mano in giuramento verso il Dio Altissimo (El Elion) riconoscendo la sua dipendenza da lui. Rifiuta di accaparrarsi i beni di cui avrebbe diritto come bottino di guerra. Non vuole arricchirsi sulle spalle delle sofferenze altrui.
Ma nello stesso tempo sa di poter parlare solo per se. Ai compagni si dia pure quel che si vuol pattuire.
E a Lot non dirà: “Adesso ritorna con me, vedi che cosa ti può capitare. Facciamo una coalizione tra noi”. No, ma come il padre della parabola ridà tutto a Lot: la sua libertà e i suoi beni. Decida lui del suo futuro.
Il racconto all’inizio sembrava estraneo al ciclo di Abramo, mentre alla fine si rivela importante. Sviluppa infatti il tema della promessa fattagli da Dio di essere benedizione per tutti.
Il comportamento qui da lui tenuto contrasta fortemente con quello da lui tenuto in Egitto.
Non pensa a salvare se stesso, non vuole approfittare per arricchirsi: Abramo sembra poter vivere di una gratuità inaspettata. Da dove tutto questo?
La risposta è una sola: Abramo sta sperimentando l’unica sua vera sicurezza e ricchezza che è la promessa di Dio. Questo gli basta, non ha bisogno di nient’altro. “Sei tu Signore, l’unico mio bene, mia parte di eredità”.
Ecco gli effetti del Kerigma sulla vita. Ricchi della promessa di Dio veniamo liberati dalla paura di perderci, dalle avarizie, dalle grettezze, rivendicazioni, invidie.