• 24 Feb


    IL    MONACO IN UN MONDO  CHE CAMBIA

    Thomas Merton

    Sarebbe illusorio pensare che il monaco possa vivere comple­tamente separato dal resto del mondo. Come singolo, è vero, mantiene pochissimi contatti con la società esterna. Egli vive nella solitudine, lontano dalle città abitate. Non esce a predicare o a insegnare. Resta nel monastero a contemplare e pregare Dio. Ciò nondimeno, è inestricabilmente coinvolto nelle sofferenze e nei problemi comuni della società in cui vive. Da queste soffe­renze e problemi non vi è e non vi può essere fuga. Anzi, nel monastero essi possono forse essere avvertiti con maggiore acu­tezza, perché colti in una forma più spirituale.

    Lungi dall’essere esonerato dalle battaglie della sua epoca, il monaco, quale soldato di Cristo, è designato a combattere queste battaglie su un fronte spirituale, nascosto – nel miste­ro, mediante la preghiera e il sacrificio di sé. Non può far questo senza essere in qualche modo a contatto con il resto del mondo, senza immedesimarsi con gli altri che soffrono fuori delle mura del monastero e per i quali sta lottando nella sua solitudine, una lotta “non contro sangue e carne, ma contro i prin­cipati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tene­bra, e contro gli spiriti malvagi che abitano le regioni celesti” (Ef 6,12).

    Pertanto, sebbene il monaco viva ritirato dal mondo, conser­va un intimo contatto spirituale con coloro che sono realmente o potenzialmente uniti “in Cristo”, nel mistero della nostra unità nel Salvatore risorto, il Figlio di Dio. Sente di averli tutti nel cuore, e che essi sono in lui e con lui, quando si pone dinanzi al trono di Dio. Le loro necessità sono le sue, i loro interessi sono i suoi, le loro gioie e i loro dolori sono i suoi, perché si è identifi­cato con loro non solo per la consapevolezza di condividere la medesima natura umana, ma principalmente per la carità di Cri­sto, riversata nei nostri cuori dallo Spirito santo che ci è stato donato in Cristo (cf. Rm 5,5).

    E così il monaco deve prendere coscienza del mondo in cui vi­ve. Non gli sarà tuttavia di giovamento perdersi nel dedalo delle complicazioni politiche che sono solo alla superficie della storia. Meglio forse comprenderà la vicenda della sua epoca se conosce di meno quanto occupa le prime pagine dei giornali. Avrà una prospettiva diversa, e forse più esatta.

    Deve chiaramente rendersi conto che il mondo del XX secolo si trova in uno stato di crisi perché sta attraversando una trasfor­mazione improvvisa e profonda come mai è avvenuto. È uno sconvolgimento di tutto il genere umano, e nessuno può dire con certezza quale sarà il risultato finale di questa trasformazio­ne. Una cosa soltanto è certa: il mondo come lo conosciamo, la società come la conosciamo subiranno, nei prossimi cinquant’anni, cambiamenti profondi, più di quanto è avvenuto nella prima metà del secolo. E questo significa che alla fine del XX se­colo la nostra società sarà irriconoscibile, rispetto agli standard del secolo scorso e delle epoche che lo precedettero.

    In questo mondo in trasformazione la chiesa, contro la quale non prevarranno le porte degli inferi (cf. Mt 16,18), ha un ruolo permanente. E il monaco, parte integrante del Cristo mistico, ha a sua volta un ruolo permanente nel mondo umano in trasformazione. Questo significa che in alcuni aspetti la chiesa e l’ordi­ne monastico devono cambiare, altrimenti non potranno rima­nere in contatto con il resto degli uomini. Certo, i cambiamenti saranno superficiali e accidentali, esterni, secondari. L’essenza profonda e nascosta della vita cristiana e monastica rimarrà sempre la stessa. Ma gli atteggiamenti secondari, le abitudini, le osservanze e le consuetudini sono sempre cambiate con i tempi e così avverrà ancora.
    Il monaco si trova quindi, nel nostro tempo, posto di fronte a una responsabilità nei riguardi di Dio, di se stesso e del mondo intero
    . Deve essere attento a che la sua vita monastica sia salda­mente radicata nelle verità essenziali del cristianesimo, che viva nel mistero di Cristo. Altrimenti, se la sua vita e il suo ideale monastico si appoggiano su quanto è secondario e accidentale, verrà tutto vanificato nel processo di trasformazione. Perché, lo ripetiamo, è certo che i cambiamenti attraverso cui deve passare il nostro mondo richiederanno il sacrificio di molti aspetti se­condari e transitori della vita cristiana e monastica. Ciò che è essenziale emergerà necessariamente in tutta la sua chiarezza e forza dopo questa trasformazione.

    Come esempio di quanto è “accidentale” e “secondario” nella vita monastica, possiamo includere tutto ciò che vi è di proprio di un’epoca o di una nazione o di una cultura particolare: per esempio, l’uso dell’architettura gotica per gli edifici monastici o alcune forme di consuetudini religiose o certe pratiche di pietà, quali la devozione a un particolare santo o l’attaccamento a pie pratiche che non siano universali. Nei loro aspetti accidentali, anche la prospettiva e la spiritualità dei monaci possono variare di epoca in epoca. Ma nella sua sostanza – solitudine, povertà, obbedienza, silenzio, umiltà, lavoro manuale, preghiera e con­templazione – la spiritualità monastica non cambia.

    La trasformazione attraverso cui il mondo deve passare non sarà solo politica. E’ infatti illusorio pensare che le forze che agi­scono nella nostra società moderna siano, anzitutto, politiche. I grandi movimenti politici del nostro tempo, così complessi e spesso così insignificanti, almeno in apparenza, sono solo la cor­tina fumogena dietro al quale si vanno sviluppando i movimenti di una guerra spirituale troppo grande perché gli uomini possa­no affrontarla con strategie umane. E’ un qualcosa che sta avve­nendo in tutta l’umanità, e andrebbe avanti anche se non vi fos­sero movimenti politici. I politici sono solo strumenti di forze che essi stessi ignorano. Queste forze sono più potenti e più spi­rituali dell’uomo.
    Dietro e oltre l’azione delle forze create, siano esse umane o sovraumane, sappiamo che attraverso tutti questi agenti in con­flitto tra loro è inesorabilmente all’opera la suprema sapienza di Dio, per una soluzione che trascende gli interessi particolari di alcuni gruppi e porzioni di umanità. Il monaco, nascosto nel mi­stero di Dio, dovrebbe essere, tra tutti gli uomini, il più consa­pevole di questa azione nascosta della volontà divina. Lo sarà certamente se è pronto al sacrificio, se è puro di cuore,se è un uomo di preghiera.

    Il monaco non deve pensare che in un’epoca caotica come la nostra la sua unica funzione sia quella di conservare le antiche abitudini e usanze del suo ordine. Queste infatti sono necessarie­ e valide nella misura in cui sono vitali, portano frutto e ci aiutano a vivere più liberamente e consapevolmente nel mistero di Cristo. Il passato deve continuare a vivere, e il monaco è cer­tamente un custode del passato. Tuttavia, il monastero deve es­sere qualcosa di più di un museo. Se il monaco non fa altro che tenere in vita i monumenti della letteratura, dell’arte e del pen­siero che altrimenti andrebbero in rovina, non è quello che do­vrebbe essere. Decadrà con quanto attorno a lui va decadendo. Il monaco infatti non esiste per conservare alcunché, fosse anche la contemplazione o la stessa religione. Il suo ruolo non è tanto di tener viva nel mondo la memoria di Dio. Dio per vivere e agire nel mondo non dipende da nessuno, nemmeno dai suoi monaci! Il ruolo del monaco ai nostri giorni è invece testimonia­re che il contatto con Dio mantiene vivi.

    Mentre il resto del mondo si inchina davanti al denaro, al po­tere e alla scienza, il monaco respinge gli espedienti mondani e si dona, nella povertà, nell’umiltà e nella fede, all’Onnipotente. Mentre il resto del mondo adora la tecnica ed è impegnato in uno sfrenato culto del lavoro fine a se stesso, il monaco, mentre vive del lavoro delle proprie mani, ricorda che l’attività più alta e fruttuosa dell’uomo è il “lavoro” spirituale della contempla­zione. Mentre il mondo, reso schiavo dal propri bisogni e desi­deri materiali, impazzisce d’ansia, il monaco si innalza al di so­pra dell’angoscia per dimorare in pace nel “sabato” della carità divina.
    Nella nostra epoca, in cui chiunque altro è travolto dalle esi­genze di una grande lotta politica e culturale, il monaco ha, co­me sua prima funzione, il compito di essere monaco, di essere un uomo di Dio, che è come dire un uomo che vive solo grazie a Dio e per Dio. Solo così il monaco conserva ciò che vi è di ricco e vitale nella sua tradizione monastica e cristiana.

    Al fine di essere quello che dovrebbe essere, il monaco deve elevarsi al di sopra del livello etico comune, che è proprio di un paganesimo umanitario, e vivere la vita “teologica” incentrata su Dio, una vita di pura fede, di speranza nella provvidenza di Dio, di carità nello Spirito santo. Deve abitare nel “mistero di Cristo”. Deve percepire che Cristo e la sua chiesa sono uno e deve radicare tutta la sua esistenza in quest’unica fede e in quest’unica direzione, verso l’unità dell’unica chiesa di Cristo. Nell’oscurità della lotta, il monaco deve aggrapparsi, con tut­te le forze della propria anima, agli insegnamenti della Chiesa, alla sua autorità e al suo potere santificante. Non può contare sulla sua visione personale limitata o prendere decisioni cruciali in base al suo giudizio personale. Oggi, soprattutto, deve pensa­re e agire con la Chiesa.

    In breve, questa è la vocazione del monaco, in ogni epoca: vi­vere in Cristo, per Cristo e grazie a Cristo. Ma quando il miste­ro dell’iniquità (cf. 2Ts 2,7) agisce più apertamente nel mondo, allora più che mai è necessario che il monaco si dissoci da tutto quello che non è spirituale e cristiano, da tutto quello che mira ad altro che non sia Dio, al fine di mantenere viva nel mondo quell’atmosfera spirituale senza la quale tutto ciò che vi è di buono e di sano nella cultura umana morirà di asfissia. Nella notte della nostra barbarie tecnologica i monaci devono essere come alberi che silenziosamente esistono nell’oscurità e con la loro presenza vitale purificano l’aria.

    Posted by attilio @ 18:33

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