• 19 Feb

    IL COMPIMENTO

    12. Finché venga il regno

    Il banchetto nuziale pone termine agli incontri fra fidanzata, non per annullarli, ma per completarli.  Fra gli sposi, infatti, tale banchetto non finirà più: inaugura la loro comunione per sempre.

    Così la cena di Gesù coi dodici (con noi, perché “i dodici” sono la totalità del popolo di Dio) dà compimento a tutti i banchetti di comunione con Dio, quelli del passato e quelli del futuro:

    – quelli del passato lontano delle antiche alleanze il cui culmine l’abbiamo sul Sinai: “Contemplarono Dio, mangiarono e bevettero

    – quelli del passato prossimo, quando “Gesù accolse i peccatori e mangiò con loro”, spezzò il pane “coi suoi discepoli”, o “colmò di beni gli affamati”;

    – quelli del futuro, le innumerevoli “frazioni del pane” della chiesa cristiana fino al banchetto eterno: “Fate questo in memoria di me.  Finché venga il regno” (Lc 22,18-19).

    E fino a quel momento, per tutto questo tempo, Gesù ripete ai suoi: “io sarò con voi, sino alla fine dei tempi(Mt 28,20).

    Senza la presenza reale del risorto al centro delle nostre eucaristie, le nostre messe non potrebbero essere “comunione”, ma solo un sogno sentimentale e vuoto; non potrebbero essere “memoriale”, ossia presenza reale dell’avvenimento pasquale, con tutte le alleanze che l’hanno preparato fin dalla creazione ma semplice e nostalgico ricordo.

    Le nostre messe sono comunione con Dio e con gli altri, perché sono presenza reale di Gesù Cristo.

    Ma quale presenza reale?

    Cristo risorto è presente a tutto il mondo, perché il suo corpo glorificato non è più condizionato dallo spazio e dal tempo: egli è ovunque, opera ovunque, “illumina ogni uomo”, anche chi non ne è cosciente.

    Si istruiscano i fedeli perché conseguano una più profonda comprensione del mistero eucaristico, anche riguardo ai principali modi con cui il Signore stesso è presente nella sua chiesa nelle celebrazioni liturgiche.  E’ infatti sempre presente nell’assemblea dei fedeli riuniti nel suo nome.  E’ presente pure nella sua parola, perché parla lui stesso, mentre nella chiesa vengono lette le sacre scritture. Nel sacrificio eucaristico, poi, è presente sia nella persona del ministro, perché colui che ora offre per mezzo dei ministero dei sacerdoti, è il medesimo che allora s’offrì sulla croce; sia, e soprattutto, sotto le specie (apparenze) eucaristiche.

    In quel sacramento, infatti, in modo unico, è presente il Cristo totale e intero, Dio e uomo, sostanzialmente e ininterrottamente.  Tale presenza di Cristo sotto la specie si dice reale, non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia. (EM 9: E V 11, 1309).

    Nei sacramenti abbiamo più che una presenza: abbiamo un incontro, consapevole da una parte e dall’altra, mediante una parola onnipotente, un gesto divinizzante: è Cristo che battezza, conferma, assolve, ordina, unisce, mediante il ministero della chiesaTuttavia non è personalmente presente nell’acqua, nell’olio, ma solo mediante la sua azione spirituale: si serve dell’acqua, dell’olio, ecc.

    Nell’eucaristia, invece, Cristo è presente realmente, personalmente, corporalmente, e non solo mediante la sua opera spirituale: “Questo è il mio corpo.  Questo è il mio sangue”.  Il termine “è” della Parola taglia come una spada affilata.

    A chi vorrebbe vedervi solo un paragone, una metafora, come quando Gesù aveva detto “Io sono la vera vite”, dovremmo rispondere con lo stesso Maestro nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,51 ss):

    Io sono il pane vivo disceso dal cielo.  Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne… – Come può costui darci la sua carne da mangiare? – In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna.  Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda… Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

    Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”

    Gli ascoltatori hanno ben capito che questo pane è la carne di Gesù.  Delusi e stomacati, se ne vanno via in massa; gli stessi discepoli “sono scandalizzati”.  Gesù li potrebbe trattenere dicendo: “Ma insomma, capitemi bene: è un modo di dire, un genere letterario, un simbolo”.  No, non dice nulla per trattenerli.  Loro hanno compreso bene: Gesù accentua il senso realistico che ripugna loro.  Non vogliono credere?  Che se ne vadano allora.  La verità rimane: “Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue”.  Presenza reale.  L’affermazione di Cristo non lascia adito a dubbi.

    Gesù non dice nulla per spiegare la sua affermazione, per dire cioè il modo con cui è presente.

    Veramente, realmente, sostanzialmentepresente, dichiara il concilio di Trento.  Tre termini che hanno qui il medesimo significato e si rafforzano reciprocamente in una ripetuta affermazione.

    Quando il concilio parla di sostanza e di transustanziazione, non usa il termine  “sostanza” nel senso che gli dava Aristotele e ripreso dalla scolastica del secolo XIII, ma l’usa nel senso tradizionale della teologia.  Fortunatamente, dobbiamo dire, perché il linguaggio d’Aristotele è cosa da iniziati e non ha più corso fra gli uomini d’oggi.  Comunque, non può essere applicato a un corpo glorioso.

    Sfortunatamente, però, la teologia postridentina ha un po’ dimenticato che il corpo realmente presente nell’eucaristia è il corpo del Risorto.

    Nella teologia del XII secolo, in quella del concilio di Trento, come nelle lingue nazionali dal secolo XIV al XX secolo, “sostanza” significa ciò che c’è d’essenziale in una cosa o in un’idea, la realtà profonda d’un essere al di là delle apparenze. Diciamo, ad esempio: “Che cosa ha affermato, in sostanza, l’oratore?”, “Serviteci un Pasto sostanzioso… “

    Ebbene, nell’eucaristia la sostanza del pane e del vino è “convertita” nel corpo glorioso di Gesù Cristo.

    –  Gli elementi fisico-chimici (quanto chiamiamo le “apparenze”, i “fenomeni”, oppure, con un termine obsoleto, le “specie”) non mutano.  Un’analisi fatta in laboratorio mostrerebbe che il pane e il vino, dopo la consacrazione, appartengono come prima, materialmente parlando, all’universo fisico-chimico della biologia vegetale. E ‘falso pertanto affermare: Cristo ha “sostituito” il pane e il vino, come se un corpo glorioso potesse “prendere il posto” di cellule biologiche!  Il concilio di Trento ha rifiutato il termine “sostituzione” ma ha affermato: “la sostanza del pane e del vino è “convertita” nella sostanza del corpo e dei sangue del Signore”: lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete… lo sono il pane vivo, disceso dal cielo.  Se uno mangia di questo pane vivrà ‘n eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… in verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne dei figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.  Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.  Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.  Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono.  Chi mangia questo pane vivrà in eterno. (Gv 6,35-58)

    La sostanza, ossia la realtà profonda ed essenziale d’un essere, ciò che è per voi realmente.  Questa persona, per esempio, non è per te un certo peso tradotto in chilogrammi di materia albuminoide, ma tua moglie, o tuo marito, o tuo figlio, e niente altro.  Un giornale, per te e per me, è veramente, realmente, sostanzialmente l’insieme delle informazione del giorno, e niente altro; per il bottegaio è veramente, realmente e sostanzialmente un pezzo di carta per avvolgere la sua merce, e niente altro; per le termiti d’Africa è veramente, realmente e sostanzialmente un cibo prelibato, e niente altro.  La sostanza è quanto un essere rappresenta per noi: ciò che vi cerchiamo e vi troviamo.

    Ebbene, per i cristiani, il pane e il vino consacrati sono veramente, realmente e sostanzialmente Gesù risorto, perché Gesù stesso l’ha voluto, appunto lui vi cerchiamo e vi troviamo, niente altro.  Mediante il dono del suo amore e la potenza sacramentale della sua Parola, la realtà profonda del pane e del vino è “convertita” in una realtà d’un altro mondo, quello della risurrezione: lo stesso Cristo glorioso.

    Lasciamo stare i miracoli, raccontati nel medioevo, d’ostie sanguinanti o di Bambin Gesù visti nelle mani del prete.  Altro non furono che delle “apparenze” per rinfocolare la pietà.  Poiché il bambin Gesù non esiste più, è diventato adulto; e il suo corpo non sanguina più, nemmeno nell’ostia: è glorioso.

    L’eucaristia è stata istituita per essere mangiata, ci richiama il concilio di Trento. E’ volere di Gesù Cristo che il pane e il vino siano consacrati per essere cibo e bevanda.  Non possiamo disgiungere il “Questo è il mio corpo” dal “Prendete e mangiate tutti!”.

    La tradizione dei primi secoli, come quella ancora viva dell’oriente cristiano, non conoscono la riserva del sacramento dopo la messa se non per il viatico dei morenti e per la comunione dei malati, e non per un culto o una comunione al di fuori della messa.

    Tuttavia, questa permanenza dell’eucaristia è un mistero significativo:

    1)    Esso ci ricorda che l’avvenimento pasquale non è solamente un fatto del passato, ma l’avvenimento permanente della vita celeste di Cristo, risorto e glorificato nell’atto supremo della sua morte d’amore.

    2)    Ci ricorda che la nostra messa del mattino o della domenica ha coinvolto anche noi, in maniera permanente, nella sua morte d’amore

    Un tabernacolo abbandonato, quindi, non è necessariamente un tabernacolo davanti al quale nessuno è inginocchiamo in adorazione, ma piuttosto quello d’una comunità cristiana che non ha nessun membro impegnato, in base alla comunione che ha fatto, in un’opera concreta d’unità e di dono di sé.

    Dovremmo allora parlare d’eucaristia “invalida”, poiché lo scopo del Signore in questo sacramento non è di “convertire” del pane e del vino, ma di “convertire” i nostri cuori e le nostre comunità in modo da essere noi stessi, personalmente e come gruppo cristiano, “il corpo di Cristo”.

    Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?  Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli.  Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi.  Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue.  Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.  Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate le giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova. (Is 1,12-17)

    Il vero problema è appunto qui.  Non si tratta affatto di sapere se e per quanto tempo, Cristo rimane sacramentalmente presente nel “cuore” di chi s’è comunicato…

    “Quando l’eucaristia è stata consumata, la presenza del Signore non viene a mancare, ma si traspone.  Il sacramento ha terminato la sua funzione, Cristo è dato alla chiesa, il pane non deve essere più mangiato e può cessare d’essere il mezzo di presenza del Signore.  Non c’è ragione per rendere un culto d’adorazione a un’eucarestia che prolungherebbe ancora per un po’ la sua esistenza nel corpo di chi s’è comunicato.  Questo corpo non diventa né ciborio né tabernacolo, ma è ormai esso stesso consacrato nello Spirito santo e diventa a sua volta, assunto nel suo Signore, sacramento della presenza pasquale di Cristo nel mondo. L’eucaristia trasforma sempre maggiormente la chiesa in ciò che già è mediante la fede e il battesimo: la sposa di Cristo, il corpo di Cristo nel mondo”‘(F.X. Durrwell).


    “La certezza bimillenaria”

    Prima di chiudere questo capitolo, vogliamo ascoltare la testimonianza data, nel suo ritiro in Vaticano (1970) davanti al papa e alla curia romana, dal padre Jacques Loew, per qualche tempo scaricatore di porto, passato dall’ateismo alla fede cristiana, e poi prete, domenicano, fondatore della Missione saint-Pierre-saint-Paul e della Scuola della fede a Friburgo: “Vi dicevo stamattina che, quando ero ancora un non credente, ero stato alla Valsainte.  Avevo domandato ai certosini, se volevano accogliermi per qualche giorno di riflessione.  Desideravo veramente sapere se Dio esistesse o no.  Orbene, alla Valsainte mi sono trovato come messo alle strette col mistero dell’eucaristia, al quale io non pensavo per nulla.  E se oggi sono in mezzo a voi, è ben a causa di esso.  Il padre incaricato degli ospiti m’aveva accolto bene.  Mi aveva ascoltato.  Mi aspettavo che mi facesse tutto un discorso apologetico ed ero preparato a questo.  Mi dicevo: “Vai dai preti, ti racconteranno tutto un catechismo”.  Ma lui m’aveva ascoltato e m’aveva semplicemente detto: “Va bene, è sulla buona strada, continui”.  Mi aveva mostrato la cappella: “Se vuole andarci, ci vada pure”.  Quando un ufficio cominciava, io mi mettevo in ginocchio, perché pensavo che fosse il contegno corretto: ma quegli uffici di certosini non finivano mai e, stanco d’essere in ginocchio, alla fine mi sedevo.  Crac!  Era il momento dell’elevazione e tutti si mettevano in ginocchio.  Andavo proprio fuori tempo!

    Era la settimana santa.  Un mattino, durante l’ufficio, a un certo momento vedo i monaci lasciare i loro stalli e venire a schierarsi attorno all’altare dove celebrava il padre abate, poi vedo i fratelli uscire da dietro le grate del coro e venire ugualmente a mettersi attorno all’altare; e infine gli ospiti in ritiro scendere da una scala a chiocciola e andare anche loro a prendere posto in quel medesimo cerchio attorno all’altare.  E io mi trovai solo in un angolo, lontano da tutti, al momento in cui la santa comunione veniva distribuita: era la messa del giovedì santo.  Tutto solo, nella tribuna! E là veramente ho sentito che o quegli uomini, monaci, frati, ospiti in ritiro, erano pazzi – e andavano a inghiottire non so quale pastiglia oppure veramente ero io il cieco che non capiva di che cosa si trattasse.  Ora, vedevo quei certosini, notavo la loro calma, il loro equilibrio, scoprivo uomini capaci di vivere una vita intera nel silenzio e nella solitudine, non potevo dirmi che erano pazzi.  Ero ben obbligato a pensare, anche inconsciamente, che davvero vi era là un non-so-che il quale mi superava, una Presenza santa al di là del visibile.

    Ciò è stato il punto di partenza: non credevo ancora in Dio, ma ormai mi mettevo a cercarlo con la certezza che l’invisibile poteva esistere.  Più tardi Dio si è rivelato a me come una certezza; ma Gesù Cristo non era una leggenda?  Un giorno ho potuto capire che se Dio era Dio, al di là di tutti i nostri limiti, era capace d’amare il mondo fino a dargli il suo Figlio: allora ho creduto al Signore Gesù.

    Ma si poneva ancora una questione: ero stato battezzato cattolico, ma educato vagamente nel protestantesimo; sarei stato cattolico o protestante?  Decisi di frequentare la Cena protestante per vedere com’era, ma ogni volta che domandavo ad amici protestanti o a pastori di spiegarmi che cosa avviene alla Cena, ognuno mi dava una risposta personale: un ricordo,… una memoria,… un pasto fraterno… Ero solo e non vedevo nessun prete (avevo lasciato la Valsainte dopo otto giorni); ma quando leggevo nel vangelo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, mi ritrovavo alla Valsainte alla tribuna, solo nell’angolo sinistro, di fronte a tutti quei monaci che, dal tempo di Gesù fino a oggi, ripetevano: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, e ricevevano con adorazione il corpo di Cristo.

    E se alla fine, con la grazia di Dio e da essa certamente sospinto, ho scelto il cattolicesimo; se, dopo sei mesi di riflessione, sono andato da un sacerdote dicendogli: “Voglio essere cattolico”, è a causa di questo tesoro unico dell’eucaristia e perché solo la chiesa mi sembrava essere fedele al “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.  Ciò è stato più forte di tutte le mie difficoltà, perché essendo senza fede, educato in una famiglia socialista, capite bene che la chiesa era un boccone grosso da trangugiare con tutte le idee false che si possono avere nella testa: c’era Galileo, c’erano i papi del rinascimento e tante altre cose.  Ma tutto questo non pesava nulla, in conclusione, di fronte alla fedeltà della chiesa cattolica alla parola: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.  Che niente venga a diluire o a svuotare la certezza bimillenaria di questo tesoro che sostiene e riassume la nostra fede!”.

    La chiesa cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e dei sangue di Cristo nell’eucarestia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande sacramento.  Di questo culto s. Agostino scrive: “In questa carne (il Signore) ha qui camminato e questa stessa carne ci ha dato da mangiare per la salvezza; e nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata… sicché non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo, se non l’adoriaino”. Non solo durante l’offerta dei sacrificio e l’attuazione del sacramento, ma anche dopo, mentre l’eucaristia è conservata nelle chiese e negli oratori, Cristo è veramente I”‘Emmanuel”, cioè il “Dio con noi”.  Poiché giorno e notte è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e verità; restaura i costumi, alimenta le virtù, consola gli afflitti, fortifica i deboli, e sollecita alla sua imitazione tutti quelli che si accostano a lui, affinché col suo esempio imparino a essere miti e umili di cuore, e a cercare non le cose proprie ma quelle di Dio.  Chiunque perciò si rivolge all’augusto sacramento eucaristico con particolare devozione e si sforza d’amare con slancio e generosità Cristo che ci ama infinitamente, sperimenta e comprende a fondo, non senza godimento dell’animo e frutto, quanto sia preziosa la vita nascosta con Cristo in Dio e quanto valga stare a colloquio con Cristo, di cui non c’è niente più efficace a percorrere le vie della santità (Paolo VI)

    Finché venga il tuo regno

    Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa quasi il “coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti” (s. Tommaso d’A.) nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è “contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero” (Conc. Trid.) “Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sistanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente” (Paolo VI).

    E’ per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa nell’efficacia della Parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo per operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio afferma: “Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue del Signore, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa Parola trasforma le cose offerte”.

    E sant’Ambrogio, parlando della conversione eucaristica, dice: “Non si tratta dell’elemento formato da natura, ma della sostanza prodotta dalla formula della consacrazione, ed è maggiore l’efficacia della consacrazione di quella della natura, perché, per l’effetto della consacrazione, la stessa natura viene trasformata… La parola di Cristo che poté creare dal nulla ciò che non esisteva, non può trasformare in una sostanza diversa ciò che esiste? Non è minore impresa dare una nuova natura alle cose che trasformarla”.

    E’ oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi sotto il suo aspetto visibile, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell’amore con il quale ci ha amati “sino alla fine” (Gv 13,1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi (cfr Gal 2,20), e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore.

    “Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo “non si può apprendere coi sensi – dice san Tommaso – ma con la sola fede, la quale si appoggia sull’autorità di Dio”. Per questo commentando il passo di san Luca 22,19: “Questo è il mio Corpo che viene dato per voi”, san Cirillo dice: “Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità non mentisce”. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1374-1381 (passim)

    La Cena di Gesù con i Dodici è il compimento di tutti i banchetti di comunione con Dio: sia passati che futuri.

    Sino a che la Chiesa camminerà sulle strade del mondo non verrà meno la parola di Gesù: “Io sarò con voi sino alla fine dei tempi” (Mt 28,20).

    Questa sua presenza è nella Chiesa viva reale nel sacramento dell’Eucaristia.

    Cfr     Mt 28,20

    Lc 22,18-20

    ***

    Nell’eucarestia è “veramente, realmente, sostanzialmente” presente il Corpo e il Sangue di Gesù Risorto. Quel pane e quel vino per l’azione dello Spirito santo sono convertiti, trasformati nella loro sostanza: sono Corpo e Sangue del Signore. E’ Gesù che ha voluto questo.

    ***

    L’eucaristia è stata istituita non anzitutto per essere adorata, ma per essere da noi mangiata, consumata. Non possiamo distinguere il “Questo è il mio Corpo” dal “Prendete e mangiatene tutti”.

    E questo mi rimanda al fatto che Cristo vuole entrare nel profondo della mia esistenza per trasformarmi in lui. Sono dalla potenza dello Spirito “cristificato”.

    ***

    La presenza del Cristo nelle specie eucaristiche non è momentanea, essa permane come permane la sua offerta al Padre e a noi. L’eucaristia presente nel tabernacolo mi richiama all’adorazione, alla lode e al ringraziamento, al fare memoria del sacrificio di Cristo, alla preghiera perché la mia vita si trasformi in un dono continuo, costante ai miei fratelli e al Padre.

    Il tabernacolo abbandonato è anzitutto una comunità incapace di vivere l’eucarestia nella carità di ogni giorno.

    Posted by attilio @ 11:37

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