LE PREPARAZIONI
6. Sacramento dell’alleanza
1. Introduzione
“Questo è il calice del mio sangue, il sangue della nuova ed eterna alleanza“. dicono tutte le preghiere eucaristiche.
Parole che fanno eco agli evangelisti e a s. Paolo: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti” (Mt 26,28; Mc 14,24); “questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,20; 1Cor 11,25).
I materiali di cui si serve l’eucaristia cristiana non sono affatto una semplice materia bruta, ma sono pietre già squadrate e sapientemente lavorate. Non uno iota solo di quanto già inciso sarà cancellato. Non possiamo partire da zero con le prime formule eucaristiche cristiane, come non si può partire da zero col vangelo. Nei due casi, per un disegno provvidenziale, abbiamo un antico testamento che non è possibile saltare a pie’ pari. Se infatti la provvidenza ha giudicato necessaria questa tappa, non abbiamo allora né il diritto né la possibilità di cancellarla con un colpo di spugna. (Bouyer)
L’eucaristia è perciò dominata dall’idea, dalla realtà dell’alleanza, radicata nell’alleanza, “compie” l’alleanza.
Sappiamo tutti che cosa sono le alleanze, di cui si porta al dito un piccolo segno; sappiamo che esse significano dono totale, corpo e anima, per tutta la vita, nell’amore.
E’ necessario approfondire questo tema nella prospettiva dell’eucaristia.
L’eucaristia, infatti, è il “sacramento dell’alleanza”; il sangue prezioso è il “sangue dell’alleanza”.
Come la intendiamo? Come la viviamo?
2. Le alleanze della promessa
Parlando del tempo della loro vita pagana, s. Paolo scrive ai cristiani di Efeso: “Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo” (Ef 2,12).
Giudica perciò d’estrema importanza per la salvezza questo diritto di cittadinanza nell’Israele spirituale.
E noi? Sappiamo che ci sono queste alleanze, questi “patti della promessa”, senza i quali saremmo “senza speranza e senza Dio in questo mondo”? Promessa di che cosa? In virtù di quali alleanze?
Se ci si accosta all’alleanza del Sinai, saremo rinviati ad Abramo: il Signore rinnova con Mosè l’alleanza conclusa con Abramo. Matteo e Luca, ritengono di capitale importanza sottolineare con una genealogia che Gesù era figlio di Abramo, a causa della promessa! (Cfr. Mt 1,1ss; Lc 3,23ss).
E i due grandi cantici evangelici – il Benedictus e il Magnificat – che la liturgia cristiana riprende ogni giorno, a lodi e a vespri, come i pilastri della sua fede e della sua speranza, questi due cantici ricordano Abramo a proposito dell’incarnazione di Gesù e della salvezza del mondo:
“Ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, dei giuramento fatto ad Abramo, nostro padre…”
“Si è ricordato della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, al Abramo e alla sua discendenza per sempre”.
3. Abramo: Il padre di tutti i credenti
Con Abram, che Dio chiamerà Abraham dopo l’alleanza (Gen 17,5), la Bibbia raggiunge la storia. Tutto ha inizio verso l’anno 1850 a.C., al tempo della prima dinastia di Babilonia, e in alcune città (Ur, Harran) che gli scavi archeologia degli ultimi cinquant’anni ci hanno restituite, con innumerevoli documenti dell’epoca, in particolare con migliaia di tavolette scritte, archivi dei re di Mari capitale della Caldea.
Giosuè disse a tutto il popolo: “Dice il Signore, Dio d’Israele: i vostri padri, come Terach padre d’Abramo e padre di Nacor, abitarono dai tempi antichi oltre il fiume e servirono altri dei. Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume e gli feci percorrere tutto il paese di Canaan”. (Gs 24,2-3)
Proprio in questo luogo e in questo tempo Dio prende l’iniziativa di “rivelarsi”. Abramo vive un’esperienza interiore che lo domina: Dio gli parla.
“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre…” (Gn 12).
Quando la parola di Dio esce dal silenzio è sempre per strapparci verso un “altrove”; verso lui stesso.
E’ il movimento della salvezza. Dio non si rivolge a nessuno per lasciarlo al suo passato, alla sua terra, ai suoi idoli, alla sua personale sicurezza. Bisogna “passare” fiumi, deserti, e cambiare terra e divinità.
Prima tappa della fede: lasciare la presa, senza rete di salvataggio. Non saper nulla di quel paese… perché l’unico paese in cui ci si può fermare è Dio.
Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati da lontano, dichiarando d’essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi dice così, infatti, dimostra d’essere alla ricerca d’una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità dì ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città. (Eb Il, 13 -16)
La lettera agli Ebrei (1 1,8ss) l’autore ci mostra in tutta la sua grandezza la fede del patriarca: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso: la Gerusalemme celeste”.
Era il primo aspetto della “promessa”: una terra, nuova e sconosciuta.
Ed ecco il secondo: “Farò di te un grande popolo“, dice Dio, “e ti benedirò, renderò grande il tuo nome. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra“. A quest’uomo di settant’anni e a Sara che è sterile, Dio darà un popolo di discendenti; anzi di più: “in lui si diranno benedette tutte le famiglie umane“, i suoi figli saranno numerosi come la polvere della terra e come le stelle del cielo (Gn 13, 16; 15,5), “a lui e alla sua discendenza è data la promessa di diventare erede del mondo” (Rm 4,13), la promessa, cioè, che ogni uomo, ebreo o non ebreo, sarà debitore della vita eterna a colui di cui Abramo è l’antenato, Gesù, compimento di questa promessa.
Abramo “amico di Dio” (Is 41,8), partì: credette alla divina parola e attese l’impossibile. Per questo, “nessuno ci fu simile a lui nella gloria” (Sir 44,19).
Le tradizioni ebraica e cristiana lo proclamano “padre di tutti coloro che credono” (Rm 4,1 1).
Tutta la storia del popolo di Dio, tutta la storia della salvezza parte da questa chiamata e da questa risposta.
Da questa sorgente aperta nella sterilità di Abramo, sostituita dalla sorgente aperta nella verginità di Maria, e dalla loro duplice fede che dice sì senza batter ciglio.
“C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?” (Gen 18,14).
Questa frase annuncia il concepimento miracoloso d’Isacco, ed è ripresa dall’angelo dell’annunciazione per garantire a Maria il concepimento verginale di Gesù.(Lc 1,37)
Questa fede prepara e accoglie l’incarnazione del Figlio di Dio, figlio di Abramo, figlio della Vergine, fratello universale di tutti gli uomini, vita e salvezza del mondo.
4. Gesù: La nuova ed eterna alleanza
In realtà, con la sua pasqua – la sua morte e risurrezione – Gesù, “figlio di Abramo… figlio di Dio” (Lc 3),
– entra personalmente nella beatitudine eterna, la vera terra promessa che noi non conosciamo, e ne apre le porte a tutto il genere umano;
– attira a sé, orizzontalmente, “tutti gli uomini” (Gv 12,32), tutto il popolo di Dio, e ne fa una sola famiglia di fratelli; di più: un solo corpo (Rm 12,5), dunque una sola discendenza spirituale d’Abramo, il frutto della sua fede: “I figli che Dio mi ha dato” (dice Gesù) sono la “stirpe d’Abramo” (Eb 2,13 e 16);
– attira a sé verticalmente, verso il Padre presso cui è salito, questo popolo di Dio che nasce, cammina e muore, di generazione in generazione, fino alla parusia finale: discendenza universale promessa ad Abramo.
Per mezzo dell’eucaristia, egli continua e termina felicemente il suo “compimento” in una incessante migrazione, un incessante “passaggio”, “oltre il fiume” della morte, verso l’eternità: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).
Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza d’Abramo, eredi secondo la promessa. (Gal 3,26-29)
5. Alla maniera di Melchisedek
La Lettera agli Ebrei riassume questo mistero della storia della salvezza nei seguenti termini:
“Il Figlio, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Mechisedek ” (5,9-10).
Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek. Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek. (Eb 5,5-10)
Eccoci rinviati ad Abramo dallo stesso nuovo testamento. Per indicare che cosa?
Abbiamo visto che Abramo è superiore a Mosè.
Di conseguenza, il sacerdozio di Aronne, fratello di Mosè, sarà ugualmente sostituito, in Gesù Cristo, da un sacerdozio superiore, “alla maniera di Melchisedek” (Eb 7,1-28), dal sacerdozio che Abramo ci fa scoprire: quello delle nostre eucaristie.
Ecco i fatti: alcuni re predoni hanno rapito Lot, suo nipote, con la famiglia e i beni. Abramo e la sua truppa li inseguono, li raggiungono e riportano indietro nipote, famiglia, beni e il “di più” di un ricco bottino. Sulla via del ritorno, passano per una città chiamata Salem – “la pace” – che diventerà poi celebre e santa sotto il nome di Gerusalemme. Ora, questa “città-la-pace” è governata da un re di cui non si conoscono né gli ascendenti né i discendenti, e che ha nome Melchisedek, “re-di-giustizia”. Egli è anche sacerdote: “sacerdote del Dio altissimo, creatore del cielo e della terra” (Gen 14,18-19), sacerdote del vero Dio, l’unico, quello di Abramo e di Gesù Cristo.
Questo personaggio misterioso è presentato dal Salmo 110 come una figura del Messia, re e sacerdote. Tale applicazione al sacerdozio di Cristo è sviluppata nella lettera agli Ebrei al cap. 7.
La tradizione patristica ne sottolineerà gli aspetti importanti:
A. Melchisedek comincia con l’ “offrire pane e vino”. A che scopo? Per un’offerta rituale? No! Per condividerli con Abramo e il suo seguito. E’ un gesto di ospitalità, un rito di accoglienza per gli stranieri. E’ anche un pasto – sacro o no, è secondario -, un pasto condiviso tra due stirpi, in segno di alleanza fraterna.
In questo pane e questo vino presentati ad Abramo, i santi padri vedranno una figura dell’eucaristia, e insieme un vero sacrificio. Tale interpretazione è entrata nel canone della messa (canone romano).
B. Poi Melchisedek “benedisse Abramo” e questi “gli diede la decima di tutto”. Come è stato sottolineato, il ruolo principale è tenuto qui da Melchisedek, sacerdote non ebreo; di fronte a lui Abramo l’ebreo, antenato dei sacerdoti levitici, occupa un grado inferiore. Attraverso Melchisedek, Abramo si inchina davanti a Gesù Cristo e riceve da lui il pane e il vino.
C. Inoltre, il personaggio, il nome, i titoli di re-sacerdote, il fatto che non ha ricevuto un’investitura terrena, tratteggiano così bene le caratteristiche di Gesù che molti padri hanno affermato che in lui era apparso il Figlio di Dio in persona. Gesù, in ogni caso, sarà “sacerdote alla maniera di Melchisedek”.
“Anzitutto il suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno” (Eb 7,2-3).
Sul portale di Reims, Melchisedek, in abiti sacerdotali, tiene in mano una pisside e presenta un’ostia ad Abramo che è vestito come un guerriero medioevale, con le mani giunte per ricevere il sacramento. Anche l’atrio settentrionale di Chartres rappresenta Melchisedek con in capo la tiara di sommo pontefice e in mano un incensiere e una pisside. Gli scalpelli degli scultori hanno tenuto conto di tutta la tradizione patristica e liturgica. Il sacerdote eterno, Gesù, dà l’eucaristia a tutto il popolo di Dio nella persona del suo antenato nella fede, Abramo.
6. L’alleanza senza condizioni
Prima di Abramo e da sempre, l’alleanza era una pratica giuridica e sociale molto in uso tra gli uomini. Questo rito era un contratto, con diritti e doveri reciproci. Patti di amicizia, di pace, di vassallaggio, tra individui o tra gruppi stipulati attraverso un rito specifico: “Le parti si impegnano con giuramento. Si dividono in due degli animali e si passa tra le metà pronunciando delle imprecazioni contro gli eventuali trasgressori (si invoca su chi sarà infedele la sorte di quegli animali fatti a pezzi). Infine si stabilisce un memoriale: si pianta un albero. o si erige una pietra che saranno ormai i testimoni del patto” (DTB).
Dio contratta ufficialmente con il suo amico Abramo secondo questo rito abituale. E’ utile leggere, al capitolo 15 della Genesi, la messinscena degli animali divisi e di Dio, sotto forma di fiaccola ardente, che accetta di essere “tagliato in due”, se viene meno alla sua promessa!
(Dio) condusse fuori (Abram) e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. Egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: “lo sono il Signore che ti ha fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese”. Rispose: “Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?”. Gli disse: “Prendi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione”. Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra…. Quando, tramontato il sole, s’era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi.
In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram. (Gen 15,4-18)
Si tratta d’una promessa. Dio non chiede nulla, non mercanteggia. E Abramo non dà nulla, non promette nulla, non dice nulla. Abbiamo qui la differenza radicale con le alleanze umane.
Dio promette tutto e darà tutto. Un volta per sempre, Dio s’impegna a condurre l’uomo alla felicità nella terra di Dio.
Questa promessa ci riguarda, ciascuno personalmente, allo stesso modo di Abramo! Per quanto grandi possano essere i nostri peccati, Dio non potrà contraddirsi, e ne è una testimonianza “a caldo” la straordinaria contrattazione del capitolo 18 in favore di Sodoma, in cui Abramo si stanca alla fine di intercedere per il perdono. L’amicizia, la misericordia, da parte di Dio, non verranno mai meno, mentre Dio attende in cambio solo la fiducia e l’amore: “Cammina davanti a me e sii perfetto“.
Neppure questa è una “condizione”. L’amore infinito di Dio è incondizionato:
“Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tm 2,13).
Abramo ha lasciato tutto, ma d’ora in poi la sua sicurezza – e la nostra – sarà la fedeltà di Dio.
Fedeltà fino alla morte… Per noi che siamo infedeli, lui sarà “tagliato in due” in occasione della pasqua, nell’alleanza di sangue del suo sacrificio. “Corpo spezzato… sangue versato”… sulla croce, sull’altare.
“Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio” (1 Pt 3,18).
7. Il sacrificio di Abramo
L’altare? Abramo ne dovrà innalzare ora uno sul monte Moria (Gn 22) e, come il Padre celeste, sacrificarvi sopra il figlio. Dopo dieci anni di vita errabonda e di fede, ha infatti avuto un figlio, Isacco. Un unico figlio: attraverso di lui e solo attraverso di lui potranno realizzarsi le promesse di Dio: “Sarai padre di un popolo e questo popolo avrà una terra; e questa terra sconosciuta radunerà tutti i popoli, tuoi figli‘ .
Ora Dio gli dice: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco e offrilo in olocausto! “.
Abramo non lo sa, ma noi sappiamo che Dio ha un figlio, un unico Figlio, il prediletto. Sa che cosa domanda. (Anche Maria conoscerà questo strazio).
Abramo, l’amico di Dio, “il credente”, dà subito la testimonianza assoluta: “Abramo si alzò di buon mattino, spaccò la legna…” (Gen 22,3).
Pensa forse che Dio si smentisca?
Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; (è nostro padre) davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono. Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio. (Rm 4,16-20)
Ascoltiamo ancora la lettera agli ebrei 11,17ss:
“Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti. Per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
Un simbolo del sacrificio e della risurrezione di Gesù Cristo.
Era il mese di Nisan (dalla metà di marzo alla metà di aprile). E’ questa la vera fecondità di Abramo: per virtù della fede, egli genererà l’Isacco della risurrezione.
Ed è questa la vera nascita di Isacco: quella notte in cui questo “primogenito”, quest’unico, fu “saltato” dalla morte, perché la fede di Abramo lo vedeva già “risorto”…
Pasqua del primogenito Isacco sull’altare di Abramo, “saltato” dalla morte sterminatrice per virtù della fede di suo padre.
Pasqua di Gesù Cristo, primogenito del Padre, sgozzato sull’altare della croce e risuscitato perché la morte ”salti” per sempre tutti coloro che non rifiuteranno di aver fede in lui.
Pasqua dell’Eucaristia “carne data per la vita del mondo” (Gv 6,51) – in cui coloro che non la “salteranno” troveranno vita e risurrezione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno“ (6,54).
IL SACRAMENTO DELL’ALLEANZA