• 10 Feb

    I SIMBOLI

    3. PANE E VINO

    La sera del giovedì santo, “mentre mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede (ai dodici), dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”.  Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.  E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti.  In verità vi dico che non berrò più del frutto della vita fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” (Mc 14,22-25).


    Gli alimenti base

    Il pane e il vino sono gli alimenti base, simbolo di tutti gli altri, almeno nella nostra civiltà occidentale.  Si mangia il proprio pane, lo si bagna nelle lacrime, o nella gioia, o nel sudore, o nel sangue; ci si guadagna il pane, cioè la nostra stessa vita; al Padre si chiede il pane quotidiano, cioè ciò che è necessario per vivere.

    Il vino, poi, è necessario per un pasto completo e festoso.  Altrimenti si è condannati a mangiare pane secco.  Aggiunge  certamente una nota di festa, di allegria, senza la quale “non è più vita”.  L’uomo infatti non vive soltanto di pane; ha bisogno, per digerirlo, di quel minimo di gioia di cui il succo dell’uva è il simbolo efficace:

    “Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura.

    Che vita è quella di chi non ha vino?

    Questo fu creato per la gioia degli uomini.

    Allegria del cuore e gioia dell’anima

    è il vino bevuto a tempo e a misura”.

    (Sir 31,27s).

    Fai crescere il fieno per gli armanti e l’erba al servizio dell’uomo,

    perché tragga alimento dalla terra:

    il vino che allieta il cuore dell’uomo;

    l’olio che fa brillare il suo volto

    e il pane che sostiene il suo vigore.

    (Sal 104,1,14-15)

    Frutti della terra

    Per preparare la vita e la festa eterne, Gesù “prende il pane e un calice di frutto della vite”.

    Questi elementi, per lui innanzitutto e anche per coloro che gli stanno intorno, sono carichi di tutto un simbolismo, e, prima ancora, di tutta una potenza evocatrice che chiameremo “naturale”, purché non dimentichiamo che per il semita – e per il cristiano – tutta la natura è dono e presenza di Dio.

    In primo luogo, come diceva la preghiera ebraica di benedizione ripresa oggi nella messa, il pane e il vino sono “frutti della terra“.  Radicati nella terra, vi raccolgono tutte le energie profonde e oscure del suolo per viverne e farcene dono.  Spuntando subito alla superficie e insieme continuando a succhiare tutte le potenze del terreno, fanno proprie, per crescere, tutte le energie del cielo: assimilano la pioggia e il vento, la luce e il calore, i raggi e le forze cosmiche.  Nel frumento e nell’uva si dà appuntamento tutto l’universo.

    Così, il cosmo intero si concentra sulla tavola dell’uomo, e costui è perciò invitato alla tavola da lui preparata dalla provvidenza del Padre.

    Alimenti vegetali

    Anche gli alimenti a base di carne sono, a loro modo, frutti della terra, perché gli animali traggono la loro sussistenza dall’aria, dal suolo e dal fondo marino.  Tuttavia, il Signore non ne farà la materia eucaristica.

    Il pane e il vino sono alimenti vegetali.  Si possono individuare alcune motivazioni:

    * La Genesi ci presenta le piante e i frutti come il menù esclusivo dell’uomo in un mondo senza peccato dove non si versa il sangue, né quello dell’uomo, né quello degli animali:

    “Dio creò l’uomo a sua immagine… e disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo” (Gn 1,29).

    Il creatore sottomette all’uomo tutti gli animali della terra; ma il suo cibo saranno i frutti e le piante… il suolo sarà avaro solo dopo il peccato.

    Da quel momento, saranno meno vegetariane le indicazioni date alla generazione peccatrice del diluvio: “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do’ tutto questo, come già le verdi erbe.  Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue” (9,3s).

    Per quanto riguarda il pesce, che non ha sangue, figura molte volte nel menù dei pasti evangelici di Gesù, prima e dopo la risurrezione.

    Per questo motivo rimase nel rituale eucaristico di alcune comunità primitive.  Non è inoltre il pesce, con le sue lettere greche, il simbolo del Messia?  Tuttavia, pur avendo (per due volte) moltiplicato dei pesci con i pani, Cristo, nell’ultima cena, consacrò e distribuì il pane e il vino…

    * Se la materia dell’eucaristia è costituita da elementi vegetali, ciò non significa certamente che Gesù voglia promuovere una dieta vegetariana.

    Era però assolutamente necessario prendere le distanze dai sacrifici di animali, il cui sangue scorreva a fiotti nei bacini del tempio: occorreva mettere in evidenza che si era di fronte a una nuova alleanza.

    * Era soprattutto necessario sottolineare che un solo sacrificio fu offerto una volta per tutte, un solo sangue versato una volta per tutte. E’ il grande tema della lettera agli ebrei, soprattutto ai capitoli 9 e 10.  Il pasto sacro dei cristiani non verserà dunque altro sangue: è memoriale, cioè ricordo e presenza sacrificale della croce, ripresentazione dell’unico sangue versato in sacrificio sul Calvario.

    Riassumendo: questi vegetali – pane e vino – sono sufficientemente diversi dai sacrifici pagani e ebraici per evitare ogni equivoco. E sono sufficientemente espressivi a livello simbolico del sacrificio di Gesù.


    Se il chicco di grano non muore

    Il frumento e l’uva, infatti, non sfuggono al passaggio attraverso la morte per giungere alla loro utilizzazione.  Per diventare pane, i chicchi di frumento sono macinati; per diventare vino, i grappoli d’uva torchiati e come dissanguati.

    Nella scrittura e nel linguaggio corrente, la macina evoca la sofferenza, e il torchio lo stritolamento della tortura, il sangue versato.

    Il Signore ha pigiato come uva nel tino la vergine figlia di Giuda (Lam 1,15)

    Gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio (Ap 14,19)

    Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo (Gv 12,24)

    E’ necessario insistere sull’alimento del pane.  Se il vino è privilegiato alle nozze di Cana (Gv 2), il pane lo è maggiormente, moltiplicato sul monte e commentato nel discorso del pane di vita (Gv 6).  E Gesù stesso si paragona al chicco di grano (12,24): se non muore, rimane solo, sterile; ma se cade in terra e muore, produce molto frutto.

    Il suo futuro è di morire in terra per risorgere e moltiplicarsi in messe.  Ma il significato della messe è di essere nuovamente falciata, battuta, macinata, impastata, cotta e, finalmente, spezzata.

    Attraverso questa duplice morte essa dà il pane che farà vivere l’uomo.

    Immagine espressiva di Gesù stritolato nella passione, morto in croce, sepolto, per risuscitare e diventare, sotto l’umile apparenza del mangiare, quel pane vivente e che fa vivere: l’eucaristia.

    Nel pane e nel vino è rappresentata la tragedia della morte dell’Unigenito per la vita di tutti gli altri.

    Il calice del mio sangue

    La vendemmia rappresenta un destino simile a quello della mietitura: essere schiacciati per saziare l’uomo e inebriarlo.

    Fermiamoci un momento su ‘ questo “calice”.  Cristo “prende un calice” di vino rosso.  Dice: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1Cr 11,25), nel mio sangue versato.

    Un sangue può essere versato in un incidente, in una emorragia, in una operazione chirurgica, in un delitto.  Tale sangue non ha più alcun valore, proprio perché è versato, perduto: il paziente ne è privato, svuotato. E’ un sangue che non si raccoglie, perché non si sa che cosa farne.  Lo si getta negli scarichi e se ne lavano i segni.

    Ma il  sangue può essere prelevato da un donatore. E allora è raccolto con molta cura: è una partecipazione di vita in favore d’un malato anemico o d’un ferito dissanguato.

    Un sangue può infine essere versato in sacrificio religioso.  Allora è scelto: si sacrifica il meglio che si ha. E’ versato, ma raccolto perché non vada perduto.  Deve infatti essere offerto. E forse sparso in libagione o condiviso in aspersione, se non addirittura come bevanda.

    Il “calice” ci dice dunque subito di quale sangue si tratti nell’eucaristia: sangue prezioso, raccolto per essere offerto, in un calice per passarlo a tutti, perché ciascuno ne beva.  “Il sangue della nuova alleanza versato in un calice” significa il dono della vita e dei sangue di Cristo, offerto al Padre come sacrificio di valore infinito e ai cristiani in comunione di salvezza.

    Il calice della benedizione” (1 Cor 10, 16) sostituisce in modo definitivo “il calice dell’ira” (Ger 25,15ss).

    Così mi disse il Signore, Dio d’Israele: “Prendi dalla mia mano questa coppa di vino della mia ira e falla bere a tutte le nazioni alle quali t’invio, perché ne bevano, ne restino inebriati ed escano di senno dinanzi alla spada che manderò in mezzo a loro”.  Presi dunque la coppa dalle mani del Signore e la diedi a bere a tutte le nazioni alle quali il Signore m’aveva inviato: a Gerusalemme e alle città di Giuda, ai suoi re e ai suoi capi, per abbandonarli alla distruzione, alla desolazione, all’obbrobrio e alla maledizione, come avviene ancora oggi; anche al faraone re d’Egitto, ai suoi ministri, ai suoi nobili e a tutto il suo popolo; alla gente d’ogni razza e a tutti i re del paese di Uz…

    (Ger 25,15ss)


    Frutto della terra e del lavoro dell’uomo

    Il pane e il vino, “frutti della terra”, non sono prodotti grezzi; sono anche i “frutti del lavoro dell’uomo”.  “Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane” (Gen 3,19).  Perciò il pane e il vino sono anche degli uomini.

    Degli uomini con la loro dimensione spirituale, con la loro attività intelligente. Infatti, il pane e il vino sono alimenti elaborati, perciò propri dell’uomo.  Il Signore non ha scelto frutti di alberi, carne, miele: di questi si cibano anche gli animali; basta brucare, raccogliere, cacciare.  Il pane e il vino invece è necessario produrli, e saperli produrre bene.

    Il pane e il vino non rappresentano perciò soltanto la vita dell’uomo in ciò che ha di più istintivo – nutrirsi -, ma anche in ciò che comporta di più attivo, di più industrioso, di più intelligente.  Sono più espressione dell’uomo creatore, che del consumatore.

    Offrendo a Dio il pane e il vino, perché siano trasformati nel suo corpo e nel suo sangue, gli offriamo anche la nostra attività manuale e intellettuale, la nostra storia umana, ed egli le integrerà al suo sacrificio per comunicare loro una dimensione divina ed eterna.  La nostra, e quella di tutto il mondo del lavoro.

    Il pane e il vino sono inoltre rappresentano la fatica, le speranze, il sudore degli uomini con le loro pene. Sono stati dei lavoratori a seminare, mietere, macinare e impastare questo pane.  Dei vignaioli hanno scassato il terreno roccioso e piantato la vigna, hanno irrigato, sarchiato, potato, solfatato ogni pianta molte volte, sotto il sole a picco, per produrre questo vino.  Vi hanno sudato sangue e acqua, come Cristo nella sua agonia.

    Sulla nostra tavola e sui nostri altari ci sono i loro sudori e le loro pene. E vi sono rappresentati tutti i lavoratori del mondo.  Il sacrificio eucaristico sarà fatto anche dalle loro giornate di fatica, dalla vita che hanno dato anche per i loro fratelli.

    Il pane e il vino, infine, sono degli uomini insieme al lavoro, ognuno fedelmente al suo posto nella lunga catena che ci permette di spezzare il pane e riempire i bicchieri.  Dal lavoratore agricolo che apre il terreno con la vanga o il trattore, fino al garzone del fornaio che corre di primo mattino, perché alcuni amano il pane appena sfornato.  Nativi e immigrati, conservatori e progressisti, credenti e non credenti, capitalisti e socialisti… Insieme.  Si sono dati la mano per questo pane e questo vino.  Tutti sono dunque presenti, insieme, per noi, in questo boccone di pane, in questo sorso di vino.

    Sulla tavola eucaristica, come sulla tavola della mia famiglia, trovo così la solidarietà degli uomini nella loro diversità, la catena dei lavoratori nelle loro dissomiglianze, addirittura nelle loro opposizioni.

    Tutta questa convergenza degli uomini è ripresa da Cristo – “Attirerò tutti a me” -, assunta da Cristo, offerta al Padre in sacrificio da colui che è “la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione(Ef 2,14).  Tutti quanti gli uomini che lavorano si danno perciò convegno, senza saperlo, alla messa, in quel pane e quel vino che sono il loro lavoro collettivo!

    A noi tocca saperlo e essere, con Cristo, il loro legame cosciente e stupito, la loro preghiera e la loro “comunione”, e non soltanto coloro che ne “approfittano”.  Tale raccolta, attraverso di noi, di tutto il mondo dei lavoratori è uno dei maggiori compiti del nostro sacerdozio di battezzati.

    Come questo pane spezzato era prima sparso qua e là su per i colli e, raccolto, divenne una cosa sola, così si raccolga la tua chiesa dai confini dei la terra nel suo regno; poiché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli! (Didaché)


    I SIMBOLI: IL PANE E IL VINO

    Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

    Al centro della celebrazione dell’Eucaristia si trovano il pane il vino i quali, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo diventano il Corpo e il Sangue di Cristo… i segno del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione. Così, all’offertorio, rendiamo grazie al Creatore per il pane e per il vino (cfr. Sal 104,13-15), “frutto del lavoro dell’uomo”, ma prima ancora  “frutto  della terra” e “della vite”, doni del Creatore. Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote che offrì “pane e vino” (Gn 14,18), la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria offerta (cfr. Canone Romano).

    Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell’esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre ad Israele che egli vive del pane della Parola di Dio (cfr. Dt 8,3). Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse.

    Il “calice della benedizione” (1Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme.

    Gesù ha conferito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del vino.

    I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico Pane che è la sua Eucaristia (cfr. Mt 14,13-21; 15,32-39).

    Il segno dell’acqua trasformata in vino a Cana (cfr. Gv 2,11) annunzia già l’Ora della glorificazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto di nozze del regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo (cfr. Mc 14,25).

    nn. 1333-1335


    Esercizio di meditazione sul segno del pane e del vino

    Ti invito a compiere oggi una meditazione semplicemente sul pane.

    In u n primo tempo limitati a meditare su questo alimento così comune sulle nostre tavole. Lascia che il pane ti parli. Lascia entrare in te tutta la sua ricchezza di senso.

    Formula a te stesso domande sulla sua origine e il suo cammino, che l’ha portato sin qui, davanti a te.

    In un secondo tempo fissa la tua attenzione sulla necessità di nutrirti per vivere.

    In un terzo tempo lascia che il pane ti parli attraverso il suo valore simbolico.

    Fermati più che puoi su un punto.

    Lascia poi che la parola “pane di vita” risuoni dentro di te.

    Tutto questo di preparerà ad accogliere il mistero dell’Eucaristia nello stupore e nel rendimento di grazie.

    Posted by attilio @ 14:00

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