• 07 Feb

    MORENDO E RISORGENDO GESU’

    OFFRE LA RIVELAZIONE SUPREMA DI DIO


    Scrive Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in Misericordia: “Il messaggio messianico di Cristo e la sua attività tra gli uomini terminano con la croce e la risurrezione. Dobbiamo penetrare profondamente in questo evento finale che, specialmente nel linguaggio conciliare, viene definito mistero pasquale, se vogliamo esprimere fino in fondo la verità sulla misericordia, così come essa è stata rivelata nella storia della salvezza” (n. 7).

    Guardando alla tragicità della storia della passione e morte di Gesù viene spontanea una domanda; una domanda che sorge istintivamente dinanzi all’assurdità di ogni sofferenza soprattutto se innocente: quale volto di Dio si può manifestare tramite essa?

    Sempre l’enciclica ricorda come quel giovedì e venerdì di passione introducono nella vita e nella missione di Cristo “un cambiamento fondamentale. Colui che passò beneficando, risanando e curando ogni malattia ed infermità (cfr. At 10,38; Mt 9,35) sembra egli stesso meritare la più grande misericordia e richiamarsi alla misericordia, quando viene arrestato, oltraggiato, condannato, flagellato, coronato di spione, quando viene inchiodato alla croce e spira fra tormenti strazianti” (DM 7).

    Entriamo nel Getsemani e osserviamo attentamente che cosa avviene: “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate. Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: Abbà, padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,33-36).

    Gesù in quel momento inizia una vera e propria lotta, la sua agonia. L’evangelista Marco non teme di rivelarci il cuore di Gesù straziato tra due gridi di preghiera: da un lato l’implorazione di essere esonerato dal calice di sofferenza postogli dinanzi, dall’altro il grido fiducioso dell’abbandono alla volontà del Padre.

    Sofferenza e amore: è questo l’impasto stupendo e drammatico della passione di Gesù. Ed è così che egli resta fedele alla sua missione di rivelare un Dio che si compromette per l’uomo fino a morire per lui.

    E questo che il Padre domanda a Gesù, e glielo chiede proprio in favore dell’uomo.

    Sul Calvario giungiamo al vertice di questo impasto di dolore e amore: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

    Un grido che non va indebitamente alleggerito quasi disturbasse la contemplazione del crocifisso, quasi fosse una nota stonata.

    E’ un grido di dolore, ma è pure l’inizio della preghiera di colui che innocente e perseguitato si affida a dio con la certezza che egli non abbandonerà il giusto fedele a lui (cfr. Sal 21,2; 23-30).

    Non è certo un grido di disperazione, tuttavia il racconto evangelico ne ha conservato tutta la drammaticità sottolineando  la solitudine immensa di Gesù che tocca il fondo dello sconforto umano.

    Sant’Ireneo commenta questo momento affermando che Gesù lo volle “perché non poteva esigere dai suoi discepoli nessuna sofferenza che egli non avesse già affrontato come maestro” (Adv. Haer. III,18).

    Vi sono altre parole che commentano il grido di Gesù sulla croce. Luca pone sulle labbra di Gesù le parole del salmo 31: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Giovanni scrive: “Dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: Tutto è compiuto” (Gv 19,30).

    Paolo dirà ai cristiani di Corinto: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (1Cor 5,19.21).

    Dando uno sguardo complessivo possiamo dire con il Papa che “la croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo – specialmente nei momenti difficili e dolorosi – chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco di eterno amore sulle ferite dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo” (DM 8).

    Già nella sinagoga di Nazaret, nel discorso inaugurale della sua predicazione, Gesù affermava chiaramente di voler essere rivelazione dell’amore di Dio per i poveri, i sofferenti e i prigionieri, verso i non vedenti, gli oppressi e i peccatori. Con la sua morte e risurrezione va oltre. Rivela che in lui vengono affrontate e vinte “le più profonde radici del male, che affondano nel peccato e nella morte” (DM 8).

    Croce e risurrezione si offrono come segno di speranza per il cammino dell’umanità intera e di ciascun uomo.

    “Il fatto che Cristo è risuscitato il terzo giorno costituisce il segno finale della missione messianica, segno che corona l’intera rivelazione dell’amore misericordioso nel mondo soggetto al male. Ciò costituisce al tempo stesso il segno che preannuncia un nuovo cielo e una nuova terra, quando Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (cfr. Ap 21,1; DM 8).

    Posted by attilio @ 10:36

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