• 04 Feb

    FARE A MENO DEL PADRE ?

    di p. Attilio Franco Fabris


    Appare ormai scontato la difficoltà di parlare di Dio “Padre”, e questo rientra nella difficoltà della predicabilità della relazione paterna.

    Ci troviamo in una cultura che ha rivendicato in modo radicale il diritto della soggettività.

    La modernità ponendo l’assolutezza del soggetto, ha colto nella figura paterna l’ostacolo fondamentale, sotto l’aspetto relazionale, socio-politico, religioso.

    La figura del padre riecheggia limitazione, coercizione, antagonismo.

    Si è parlato della “morte del padre”.

    Il dato antropologico da parte sua ci mette di fronte al fatto inequivocabile dell’indole “culturata”, sociale, storica di tutte le relazioni parentali, maternità e paternità incluse.

    A questo non sfugge neppure l’ambito culturale patriarcale della sacra scrittura con il quale è ineluttabile un serio confronto con lo sforzo attuale di culturazione della fede.

    A Dio nell’antico testamento sono attribuite valenze tipicamente maschili come signore, re, sposo, giudice. Circa dodici volte viene definito come Padre non tanto nel segno dell’autorità quanto piuttosto nel “farsi carico”, “prendersi cura”.

    Si tratta di una paternità materna, in tutta coerenza affidata anche ad audaci immagini femminili come quella della madre.

    Ad esempio in Osea 11:…(leggere)

    Qui non troviamo esplicito il termine di madre, ma ritorna questo prendersi cura, il “nutrire”: Dio si rivela esattamente il contrario di un padre-padrone. La sua paternità è viscerale, misercordiosa, compassionevole.

    In Is. 49,15 l’immagine è ancor più esplicita: Si dimentica una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai

    Ancora in Is 66,13: Come una madre consola il figlio, così io vi consolerò.

    Un elemento di rilievo è offerto dall’uso del termine rehem, che indica il grembo materno. Lo ritroviamo in Os. 11,8 e Is 49,15.

    Ancora troviamo l’espressione collegata di rehamim col significato di compassione. Misericordia.

    Quindi il riferirsi a Dio come misericordia, compassione, tenerezza, custodia ha come entroterra l’esperienza del grembo femminile con la sua capacità di accogliere, generare alla vita e nutrire.

    Nel nuovo Testamento sembra prevalere Dio come Padre a partire dal darsi a conoscere di Gesù come Figlio, ma scendendo più in profondità anche qui si rivela una paternità materna di Dio.

    Basti pensare alla parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32).

    Il Padre di Gesù sembra ancor eludere i parametri di una cultura tipicamente patriarcale.

    I tratti del volto del Padre di Gesù sono fatti di tenerezza, compassione, misericordia, amore, perdono, accoglienza.

    Tuttavia la declinazione al femminile di Dio come “madre” lascia intatto l’androcentrismo della cultura antica ed odierna.

    Vi è l’ipotesi radicale, che soppresso il “padre”, subentri la madre. Avremmo una teologia della femminilizzazione di Dio, un ribaltamento dei ruoli che però si rivelerebbe ancora insufficiente.

    Cosa cambierebbero la “dea”, la chiesa delle donne, una società nella quale le donne avessero leadership e autorità?

    Quale il vantaggio di tale organizzazione su quella andropocentrica?

    L’altra ipotesi è quella che domanda alla paternità di fare un passo indietro (R. Stella) per riacquistare cittadinanza. Si tratterebbe di una castrazione in cui sia il figlio che il piacere sarebbero riconsegnati al mistero di qualcosa che viene offerto gratuitamente all’uomo come opportunità e come tale accolta gratuitamente. (che bisogno c’è del padre quando è possibile generare la vita senza di lui?).

    Qui rientrano i fantasmi della fine del patriarcato e del delirio di onnipotenza dato dall’ingegneria genetica.

    Emancipati gli uomini e le donne dalle vie sin qui obbligate dei processi riproduttivi, maternità e paternità rischiano i divenire simboli contestati della mascolinità e femminilità.

    Tutto questo teniamo presente non può non avere ricadute sul pensare Dio come Padre.

    Tutta la difficoltà e spesso l’equivoco sta certamente nell’aver formulato in termini riduttivamente androcentrici la manifestazione economica di Dio.

    Sono stati meccanismi proiettivi dettati dalla nostra condizione umana legata ad una storia culturata, e dal mistero ineffabile di Dio.

    Siamo ben lontani dal saper esprimere in modo adeguato la paternità autentica di Dio!

    Posted by attilio @ 11:33

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