• 03 Feb

    RITORNARE AL PADRE

    sintesi della lettera pastorale del card. C.M. Martini

    1. I CAMMINI DELL’INQUIETUDINE PERSONALE: MI ALZERO’ E ANDRO’ DA MIO PADRE (Lc 15,18)

    Vi sono tanti modi per rifiutare il Padre e il cammino di ritorno a lui.

    Il più comune,anche se meno appariscente perché nascosto nelle nostre profondità è il rifiuto della morte.

    Un pensiero che viene allontanato anche se è la realtà più certa della nostra esistenza. Essa incombe sulla nostra vita, incombe nella forma di domanda: che ne sarà di me dopo la morte? Se bisogna morire che senso ha vivere? Dove vanno le mie fatiche, le mie speranze, le mie gioie, i miei dolori?

    La morte: essa si presenta come “una sentinella che fa guardia al mistero. E’ come la roccia dura che ci impedisce di affondare nella superficialità”.

    Essa costringe a chi si interroga a cercare una meta per la quale valga la spesa vivere.

    Non meraviglia che l’uomo quando si pone dinanzi a questi interrogativi, e spesso se li pone solo in momenti drammatici della propria vita, si senta in un certo senso sul fondo della vita stessa. Si accorge che in quel punto la vita stessa chiede una risposta. Un po’ la situazione del figlio prodigo che si ritrova a toccare il fondo, ma che proprio grazia a questa situazione è capace di far memoria della casa del padre abbandonato. L’esperienza della miseria gli consente di guardare in faccia la via della morte che sta percorrendo e di ribellarsi ad essa.

    Nella solitudine delle domande ultime si aprono solo due strade: l’angoscia e la disperazione del nulla o il presentimento, la nostalgia di un Altro che “possa accoglierci e farci sentire amati, al di là di tutto e nonostante tutto”.

    Il Padre rappresenta l’immagine di qualcuno a cui ci si possa affidare senza riserve, una roccia alla quale ancorare saldamente la nostra vita.

    Perché allora tanti rifiutano questo riferimento ad un Padre che darebbe sicurezza e ragione alla nostra vita?

    La psicologia ricorda come la figura del genitore rappresenta pure l’avversario da combattere, da cui emanciparsi, per rivendicare la libertà alla propria vita e alle proprie scelte. La sua “uccisione” rappresenta l’affermazione di noi stessi e del nostro destino, per fare in fin dei conti ciò che ci piace fare. Una cattiva esperienza compito nel seno della famiglia in questo senso rischia di oscurare l’immagine paterna di Dio, così pure si potrebbe dire di ogni altra forma di rapporto che risponde ad una dinamica di “paternità”.

    Lo scrittore Franz Kafka nella sua Lettera al padre (1919) scrive: “La sensazione di nullità che spesso mi domina ha origine in granm parte dalla tua influenza… Io potevo gustare quanto tu ci davi solo a prezzo di vergogna, fatica, debolezza e senso di colpa. Insomma potevo esserti riconoscente come lo è un mendicante, non con i fatti. Il primo risukltato visibile di questa educazione fu quello di farmi rifuggire tutto quanto, sia pur alla lontana, mi ricordasse di te”.

    Ma quando parliamo di ritorno alla casa del Padre cosa intendiamo? No di certo una regressione e dipendenza infantile, uno scaricare la propria responsabilità. Il Padre di gesù Cristo ci chiama alla libertà vera, corresponsabile, creatrice con lui. Questo padre non è un’aspèirazione, un sosprio interiore: è una persona che ci è stata rivelata, a cui possiamo appoggiarci come a roccia che non crolla, come ad un cuore che sappiamo palpitare d’amore per noi.

    2.I CAMMINI INQUIETI DI UN’EPOCA: IL SECOLARISMO E LA SOCIETA’ SENZA PADRI

    Questo rifiuto del padre si è operato in modo concomitante anche a livello culturale caratterizzato da un progressivo secolarismo.

    L’illuminismo ha introdotto il concetto di età di ragione, un mondo ormai adulto, padrone di sé e del proprio destino ormai governabile dalle sicure leggi della scienza.

    Quest’ambizione lentamente è andata sgretolandosi. Essa aha dato origine alle grandi ideologie in cui erano presenti subodli sotituti del padre a cui ancorare la sicurezza della vita e del futuro: il capo carismatico, il ruolo del partito, la scienza e il progresso…

    La morte di Dio era considerata condizione essenziale per il futuro felice dell’umanità.

    Ma questa ideologia ha prodotto in mezzo ad innegabili conquiste soprattutto frutti di morte: lo dimostrano i genocidi, i campi di concentramento, la solitudine, la massificazione, la distruzione della natura, la sperequazione economica fra i popoli…

    La società senza Padre non ha riunito l’umanità, l’ha al contrario frantumata in miriadi di solitudini.

    L’uomo di oggi è indifferente, incapace di passione per la verità e di grandi speranze. Si è chiuso in un corto orizzonte legato al proprio interesse o a quello del gruppo. La frammentazione ha preso il posto dei grandi sistemi totalitari.

    La fine della società senza padri non ha dunque equivalso ad un ritorno alla casa del padre come forse alcuni speravano. Anzi: si è fatto largo l’atteggiamento del relativismo come abbandono delle certezze ideologiche, l’indifferenza ai valori, una vita spesa alla ricnorsa frenetica dell’effimero.

    In questo contesto la situazione di allonmtanamento dal padre si è ulteriormente aggravata: “il padre non è più figura di un avversario da combattere o di un despota da cui liberarsi, ma è figura priva di ogni interesse o attrattiva. Ignorare il padre è in fondo più tragico che combatterlo per emanciparsi da lui.

    Crollarono le grandi ideologie facendo nascere un pensiero debole che riconosce il fallimento di quelle vecchie pretese. Il pensiero debole non nega Dio, in quanto non sente il bisogno di farlo. Esso svuota di significato e di attrattiva il trascendente. Al massimo si può convivere con lui come uno delle tante cose o “ornamenti”. Esso non segna per nulla l’esistenza.

    In fin dei conti il figlio maggiore viveva sì nella casa del Padre, ma di fatto lo ignorava.

    Guardando a questa realtà saremmo tentati di applicarla agli altri, a quelli di fuori.

    Si tratta invece di prendere atto che questi rigurgiti esistono anche in noi. Li sperimentiamo anche in noi stessi, non sentiremo i lontani come fuori di noi, ma li riterremo compagni di cammino, in questa nostra storia.

    Lo Spirito di gesù continua a gridare in noi, in ciascuno: Abbà! Padre!.

    Si tratta di far sì che impariamo ed aiutiamo gli altri ad imparare a riconoscere in noi questo grido.

    3. LA VITA COME PELLEGRINAGGIO VERSO IL PADRE

    Da quanto accennato comprendiamo come all’uomo in fin dei conti non si aprano che due possibili vie.

    Da un lato, l’uomo chiuso in se stesso in una proteica pretesa d’essere padrone di sé e del proprio destino, intento a conseguire i corti rizzonti dei propri progetti: il risultato è solitudine, scontentezza, non senso.

    Dall’altro un uomo che si pone in ricerca di un orizzonte più grande che gli è dato come promessa da un Altro, un Padre che ci corre incontro e ci chiama.

    Per il credente vi è dunque l’invito a porsi come un pellgrino in cammino, un ritorno alla casa del Padre nella certezza che non si vive per la morte ma per la vita, che il nostro porto è legato ad un Padre che dona la vita. E’ un Padre che ci  costringe a ripartire continuamente, che ci pone in cammino insieme ai nostri fratelli, non lascia che ci ripieghiamo sulle nostre tristezze e solitudini.


    Posted by attilio @ 18:11

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